E’ da poco trascorso il 25 novembre, la “giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne”: tantissimi gli interventi, le belle parole e i post condivisi sui social, ma poi? Quello che accade tutto il resto dell’anno lo sappiamo fin troppo bene e ce lo raccontano quotidianamente i telegiornali. Per questo, in data 27 novembre presso Villa Altieri (RM) si è tenuto un incontro organizzato dalla Regione Lazio e dalla Città Metropolitana di Roma Capitale intitolato “Un patto di libertà: le comunità che dicono “no” alla violenza di genere”, con l’obiettivo di riunire in un unico spazio le autrici delle politiche attive impegnate sul tema. Tra le presenti la Consigliera metropolitana Tiziana Biolghini, delegata alle pari opportunità, politiche sociali, cultura etc… della Città di Roma Capitale; Eleonora Mattia, consigliera regionale; le presidentesse del Municipio I, II e XIII e varie sindache dei comuni della provincia.
L’incontro nasce dalla necessità di allearsi, di unire le forze e di fare rete per cambiare davvero le cose. La narrativa per la quale gli episodi di violenza di genere derivano da raptus e momenti d’ira improvvisi è ormai superata: si tratta di un fenomeno a carattere strutturale, che trova le sue radici nel linguaggio che utilizziamo quotidianamente, dagli stereotipi che i media ci propongono e, in generale, dalla nostra cultura. “Dove la scuola tace, a parlare sono i modelli tossici”, afferma Gino Cecchettin nel discorso tenuto l’11 novembre 2025 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. E’ necessario che i bambini e le bambine, sin dalla tenerissima età, siano educati a vivere l’amore in maniera sana, priva dal macigno del possesso.
Tutt’ora, nel 2025, i libri di testo dai quali i nostri bambini imparano propinano rappresentazioni essenzialmente patriarcali ed androcentriche: l’uomo è forte, coraggioso, ambizioso; la donna è dolce, paziente, gentile. Il genere diventa una gabbia, e tutto ciò che non vi trova spazio risulta “sbagliato” o, appunto, fuori posto. La violenza è figlia di tutto questo, e di molto altro ancora.
Ed intanto, sono oltre 13 mila le donne che, in 2 anni, hanno chiesto aiuto presso i centri antiviolenza o le case di rifugio della Regione Lazio: di queste, solo poco più di 4 mila sono state effettivamente accolte. Le strutture sono, evidentemente, insufficienti. Si stima che ce ne vorrebbero 10 volte tante per soddisfare tutte le vittime. Con riferimento alle case rifugio, rappresentano soltanto il 2% rispetto agli standard europei. La situazione, già drammatica di per sé, si acuisce ancora di più allontanandoci dai grandi centri abitati: dei 45 centri antiviolenza del Lazio, circa 1/3 si trovano nella Capitale. Pertanto, la maggioranza delle donne della nostra regione, ma in realtà di tutta la penisola, non possono contare su un centro antiviolenza nel raggio di 15 km, raggio d’azione adeguata per raggiungere i centri anche con i mezzi pubblici.
Dove le risorse sono poche, emerge l’esempio di un padre che, a due anni dalla scomparsa violenta di quella che era la sua bambina, ha voluto dare un senso a quel dolore, e fare di quell’indignazione del cambiamento: tutto questo, per non piangere altre Giulia. Gino Cecchettin ritiene che anche essere genitori costituisca, in un certo senso, un mestiere, forse uno dei più duri, al quale spesso ci si presenta fin troppo impreparati. E come in tutti i lavori, servono delle competenze. E’ per questo che la Fondazione Giulia Cecchettin sta promuovendo dei corsi di formazione nelle aziende, per educare i dipendenti alla genitorialità. Così che i figli del domani nascano privi del seme della violenza.