Quest’anno, come sempre, al pranzo di Natale mangeremo tortelli fatti in casa: di patate e “di erbi”, come si dice da noi in Toscana. Al sugo o al burro in combinazioni incrociate. E parte integrante del rituale è la disquisizione sul connubio migliore: “quelli d’erbi al burro sono i più buoni!”, “eh no, quelli di patate sono più saporiti”, “quelli di patate van mangiati col sugo, sennò non rendono…” e via così.
La realtà di quei pasti chiassosi, disordinati, in cui ci si macchia, i bambini urlano, gli adulti pure, e si litiga sui tortelli, implica il fare: tempo, energia, cura e una mobilitazione collettiva di nonne, zie e mamme, i mariti per i compiti più semplici.
Mi domando se la trave nel piatto natalizio non sia credere che la gioia risieda nel consumare, quando invece è nel fare.
D’altronde il verbo consumare, di origine latina, significa portare a termine, ridurre a nulla. E infatti: luminarie energivore, plastica monouso a profusione, acquisti compulsivi… spreco. Spreco alimentare: 575.000 mila tonnellate in Italia di cibo sprecato, equivalenti a più di 80.000 elefanti, tra Natale e Capodanno, un po’ tanto…
Pasolini anticipava come un modello consumistico avrebbe soddisfatto con immediatezza ogni desiderio, ma lasciando per contro un profondo senso di tristezza e un impoverimento di significati. Che significato, dunque, attribuiamo allo spreco su un Pianeta che vede quasi un miliardo di persone affamate? Che valore attribuiamo alla cultura del necessario nel contesto della sovrapproduzione? In una logica ecologica, oggi, l’unica azione valida è comprare meno.
Le azioni concrete che ci permettono di pensare e agire di conseguenza sono alla portata di tutti: guardare cosa abbiamo dimenticato in dispensa, decidere un menù stagionale e territoriale, fare una lista della spesa oculata e dedicare tempo, per una volta, ad approvvigionarci nei mercati contadini, nelle botteghe di quartiere, o direttamente nelle aziende agricole dove possiamo conoscere chi produce il nostro cibo e chiedergli “come va?”. Possiamo decidere che non sprecheremo niente e che quindi alcuni pasti reinventeranno gli immancabili avanzi.
Forse uscire dalla gabbia del consumismo per diventare creatori è possibile: abbassiamo le luci, spalanchiamo lo sguardo sulla vita e sulla sua autenticità ruvida, riposiamoci dalle smanie degli acquisti e cediamo alla meraviglia. Anche noi esseri umani potremmo splendere di autentica bellezza se ce ne diamo la possibilità.
Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
da Il Fatto Quotidiano del 14 dicembre 2025
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