Anche il Piemonte aveva un Nero… La storica razza Cavourese era particolarmente diffusa in Piemonte sino agli anni ’30 e ‘40, poi è andata perduta, con l’affermarsi di un sistema zootecnico industriale fondato sui grandi numeri e sui suini Large White, Duroc, Landrace e loro incroci.
Ma le razze autoctone come la Cavourese e le altre razze locali italiane erano molto più adatte all’allevamento estensivo, perché più resistenti, rustiche, ma allo stesso tempo bisognose di tempi più lunghi di allevamento per raggiungere dimensioni adatte alla norcineria tradizionale. Tuttora chi alleva allo stato brado o semi-brado trova nelle razze autoctone animali ideali per un allevamento più sostenibile e carni eccezionali per una norcineria artigianale di alta qualità.
Ma se la Cavourese era perduta, perché non provare, tramite incroci di altre razze autoctone sopravvissute, a ritrovare un animale dalle caratteristiche simili? Grazie al prof. Riccardo Fortina dell’Università di Torino, presidente dell’Associazione Razze Autoctone a Rischio di Estinzione (RARE) e l’entusiasmo dell’allevatore Roberto Costa, al quale se ne sono aggiunti altri negli anni successivi, dopo una decina di anni di incroci, nel 2020 è stato riconosciuto ufficialmente come razza autoctona il suino Nero Piemontese: mantello nero, muso e piedini bianchi, orecchie pendule in avanti, grandi dimensioni, in tutto simile alle immagini che si conservano della Cavourese e della Garlasco, altra razza autoctona ormai estinta e allevata in Lomellina e nel Novarese.
A Pollenzo, in provincia di Cuneo, nella tenuta sabauda di Cascina San Lorenzo, Roberto Alesso, 37 anni e tanta passione, ha avviato un allevamento semibrado. È uno degli otto allevatori che hanno creduto in questo progetto e che stanno puntando sul Nero Piemontese.
Conosciamo l’allevatore
Roberto inizia a lavorare nel mondo dell’allevamento ancora molto giovane, in un grande allevamento intensivo da oltre 30.000 capi e proprio qui matura la voglia di intraprendere un percorso diverso: un progetto piccolo, che rifiuta la logica produttivistica e punta in primis sul benessere degli animali, sull’accrescimento lento e sulla stretta relazione con il territorio e l’ambiente. Tra le varie attività che Roberto porta avanti in azienda c’è anche la coltivazione di circa 30 ettari a mais, grano e soia, in rotazione, con l’obiettivo di autoprodurre una buona parte degli alimenti per i suoi animali. L’alimentazione è infatti un aspetto cruciale per Roberto e inizia dalla terra, ovvero il suo mais è coltivato secondo il sistema simbiotico con la micorrizazione dei terreni. Questi preparati a base di funghi, spore e batteri benefici favoriscono lo scambio di nutrienti con le radici della pianta, migliorano l’assorbimento di acqua e nutrienti, proteggono la pianta da malattie e aumentano la resistenza agli stress.
L’allevamento è costituito da 23 scrofe fattrici e tre verri. Nessuna gabbia per i parti, ma casette di legno, dove la scrofa rimane su paglia in una zona separata rispetto a quella riscaldata dedicata ai piccoli. In questa struttura i suinetti rimangono più protetti nei primi giorni successivi al parto.
Il risultato è un notevole benessere per i suini e una grande qualità della carne: il colore rosso intenso, un grasso intramuscolare importante, una marezzatura molto riconoscibile, dovuta anche al peso che l’animale raggiunge al momento della macellazione, a circa i 200 kg. Un peso ideale per ottenere tagli da impiegare nell’alta salumeria, come prosciutti e pancette.
Per Roberto non sono però mancati i problemi: negli anni scorsi l’allevamento ha dovuto adeguare le strutture per fronteggiare, come tutti gli allevatori piemontesi e non solo, il rischio della peste suina, che di fatto ha limitato la possibilità di aumentare le superfici all’aperto. Eppure, anche all’interno dei limiti stabiliti dalla normativa di gestione della PSA, continua il lavoro di miglioramento complessivo dell’allevamento: soluzioni di gestione ritarate sul clima umido locale, a pochi passi dalle rive del Tanaro, zone d’ombra con salici e pioppi, pozze d’acqua temporizzate per il caldo estivo, lettiera gestita con piccole balle di paglia.
Ne esce l’immagine di una suinicoltura contadina contemporanea: attenta al carattere e alle caratteristiche degli animali, fondata su una relazione tra animale e allevatore: gli animali sono molto mansueti ed è evidente che hanno una fiducia totale in Roberto.
Una carne di questa qualità aveva necessità di un trasformatore particolarmente attento e capace, da qui l’impegno de La Granda, che aggiunge alla sua linea di carni fresche e trasformati di razza bovina Piemontese Presidio Slow Food, i salumi di suino Nero Piemontese quali: pancetta tesa, mortadella, prosciutto cotto, guanciale, lardo tradizionale e salame crudo.
La Granda – produttrice dei salumi di suino nero Piemontese allevati da Alessio – sarà presente a Distinti Salumi 2026, l’evento che vuole tutelare e rilanciare la norcineria artigianale italiana.