La supremazia industriale della Cina nella produzione ed esportazione di clean tech ridisegna gli equilibri geopolitici globali. Nel periodo 2020-2025 le esportazioni cinesi di tecnologie verdi hanno raggiunto la cifra astronomica di 905 miliardi di dollari, consolidando il ruolo del Paese come indiscusso fornitore mondiale della transizione energetica. I numeri parlano chiaro: le batterie dominano con 313 miliardi di dollari di export, seguite dal fotovoltaico (212 miliardi) e dai veicoli elettrici (201 miliardi). Queste tre categorie da sole rappresentano oltre l’80% del commercio globale cinese di tecnologie verdi, evidenziando una specializzazione industriale senza precedenti.
Fonte: rielaborazioni I-Com su dati Ember (Adattato da: General Administration of Customs of the People’s Republic of China (GACC))
L’Unione Europea rappresenta il 32,6% dell’import globale di clean tech cinesi, con un totale di quasi 295 miliardi di dollari nel quinquennio analizzato. Una quota che solleva interrogativi cruciali sulla sovranità tecnologica europea nel contesto della transizione verde. Il panorama europeo rivela dinamiche interessanti. I Paesi Bassi guidano gli acquisti con 69 miliardi di dollari, seguiti dalla Germania (66 miliardi) e dal Belgio (35 miliardi). Questi tre paesi fungono da hub logistici e di redistribuzione per l’intero continente, centralizzando i flussi commerciali. La Spagna emerge come quarto importatore (30 miliardi), beneficiando del boom del fotovoltaico nella penisola iberica. Francia e Polonia seguono con circa 13 miliardi ciascuno, mentre l’Italia si posiziona in settima posizione con 12,85 miliardi di dollari.
Il fotovoltaico rappresenta la maggiore dipendenza europea dalla Cina, con il 36,9% dell’intero export mondiale che entra nel Vecchio Continente. Un dato che assume particolare rilevanza alla luce degli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione europei e della recente crisi energetica.
Anche per batterie (33,9%) e veicoli elettrici (34%) l’Europa assorbe circa un terzo della produzione mondiale cinese, segnalando una dipendenza strutturale che gli attuali tentativi di reshoring industriale faticano a scalfire. Proprio sull’industria automotive è recentissima la proposta della Commissione di ridurre l’obbligo al 2035 per la produzione di veicoli a emissioni zero dal 100% al 90%. Il restante 10% della produzione della catena di montaggio che non è carbon neutral dovrà essere compensato da altre misure ecologiche in fabbrica, tra cui l’uso di acciaio ecologico prodotto in Europa o l’uso di biocarburanti nei veicoli non elettrici. La proposta potrebbe subire modifiche significative con il passaggio al Parlamento europeo, segnando un momento cruciale per il futuro del Green Deal ma soprattutto per i comparti industriali coinvolti e per i consumatori.
L’ITALIA: UN MERCATO IN TRASFORMAZIONE
Il caso italiano merita un’analisi approfondita. Con 12,85 miliardi di dollari di import nel periodo 2020-2025, l’Italia rappresenta solo il 4,4% del mercato europeo di clean tech cinesi, una quota relativamente modesta rispetto al peso economico del Paese.
Fonte: rielaborazioni I-Com su su dati Ember (Adattato da: General Administration of Customs of the People’s Republic of China (GACC))
Le batterie dominano l’import italiano con 4,5 miliardi di dollari (35% del totale nazionale), riflettendo la crescente elettrificazione del parco auto e lo sviluppo dei sistemi di accumulo per le rinnovabili. I sistemi di riscaldamento e raffreddamento seguono con 2,6 miliardi (20%), testimoniando la domanda per pompe di calore ed efficienti sistemi HVAC nel contesto della riqualificazione energetica degli edifici, incentivata dai bonus edilizi. Il fotovoltaico, con 2,1 miliardi (16,4%), conferma l’Italia come mercato maturo per il solare, anche se il picco di gennaio 2023 (98 milioni mensili) sembra ormai superato, probabilmente a causa della saturazione degli incentivi e delle modifiche normative. Particolarmente interessante è il trend dei veicoli elettrici, che negli ultimi 12 mesi hanno registrato una crescita esplosiva del +217%, raggiungendo 928 milioni di dollari di import. Il picco di agosto 2025 (156 milioni) segna un record assoluto, evidenziando come l’elettrificazione della mobilità abbia potenziale per decollare anche in Italia, trainata però dai modelli cinesi competitivi. Anche l’eolico mostra una crescita straordinaria (+261% negli ultimi 12 mesi), pur partendo da valori assoluti molto più contenuti (80 milioni annui). Questo boom riflette probabilmente l’installazione di componenti cinesi nei nuovi parchi eolici italiani.
Sorprende invece il calo del 53,7% nell’import di batterie negli ultimi 12 mesi rispetto all’anno precedente. Questo dato, apparentemente controintuitivo in un contesto di lenta ma pur crescente elettrificazione, potrebbe segnalare diversi fenomeni:
- Una diversificazione dei fornitori, con l’Europa e gli Stati Uniti che iniziano a produrre localmente le batterie per ridurre la dipendenza cinese
- Un effetto saturazione dopo il picco del 2023, con magazzini pieni e investimenti in accumulo che rallentano
- Una possibile ristrutturazione della supply chain, con produttori europei di veicoli elettrici che internalizzano o localizzano la produzione di batterie
Portare la produzione di alcune di queste tecnologie chiave nel nostro paese è un obiettivo decisivo per l’autonomia strategica europea ed italiana. In questo spirito, la Commissione UE ha recentemente approvato un regime di aiuti di Stato italiano da 1,5 miliardi di euro per sostenere la capacità produttiva di tecnologie pulite, contribuendo agli obiettivi del Clean Industrial Deal. La vicepresidente della Commissione Teresa Ribera ha dichiarato che “questo schema contribuirà ad aumentare la capacità produttiva di clean tech in Italia sostenendo investimenti chiave. Gli aiuti del governo italiano, uniti ai fondi del Recovery and Resilience Facility (RRF), ci aiutano a raggiungere gli obiettivi del Clean Industrial Deal, riducendo al minimo le potenziali distorsioni della concorrenza.”
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Con un terzo delle importazioni mondiali di tecnologie verdi, l’Europa è strutturalmente dipendente dalla Cina per realizzare i propri obiettivi climatici. Questa dipendenza è particolarmente marcata nel fotovoltaico, dove alternative competitive sono praticamente inesistenti. Il calo nelle importazioni di batterie potrebbe essere un primo segnale di successo delle politiche di rilocalizzazione industriale (come le gigafactory europee), ma i volumi sono ancora troppo piccoli per parlare di vera autonomia strategica. Infatti, la competitività cinese è inattaccabile nel breve termine. Con prezzi che sottoquotano sistematicamente la concorrenza occidentale del 30-50%, i produttori cinesi hanno costruito un vantaggio competitivo difficilmente erodibile. Le economie di scala, gli investimenti pubblici massicci e il controllo della supply chain delle terre rare garantiscono alla Cina una posizione dominante per almeno un altro decennio.
L’Europa e l’Italia si trovano di fronte a una scelta: accelerare drasticamente gli investimenti in autonomia industriale, accettando costi più alti nel breve termine, oppure abbracciare una relazione di interdipendenza con Pechino, gestendo i rischi geopolitici attraverso diversificazione e stockpiling strategico. Quello che è certo è che senza tecnologie cinesi, la transizione verde europea rallenterà drammaticamente, rendendo irrealistici gli obiettivi di neutralità climatica al 2050. La sfida per i policymaker è bilanciare urgenza climatica e sicurezza strategica ed economica, un equilibrio che nei prossimi anni definirà il successo o il fallimento del Green Deal europeo.