Jesi: Mariangela, il "Rjuso", il Natale - Italia Caritas

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Il Natale può essere una splendida occasione per ridare vita alle cose, reimparare l’arte, la bellezza e il valore del riciclo. Rigenerarsi e rigenerare. Il laboratorio di decorazioni natalizie è stato l’ennesima espressione della vitalità dello Spazio del Rjuso. A Jesi (ecco spiegata la “j” utilizzata nel titolo del progetto), cittadina delle Marche abbracciata da una cinta muraria del Quindicesimo secolo, la Fondazione Caritas Jesina ha sentito qualche anno fa l’esigenza di riqualificare un’area posta quasi nel centro della città, quartiere San Giuseppe. Una zona frequentata da famiglie e giovani, poco valorizzata fino ad allora. Il progetto Spazio del Rjuso, promosso dal braccio operativo della Caritas diocesana di Jesi, nasce da questo desiderio di rigenerare, e quindi di rafforzare i legami di comunità, di proporre attività di inclusione. Insomma, contrastare la cultura dello scarto in ogni senso. Nel laboratorio di decorazioni natalizie Mariangela Boiani ha imparato a creare un piccolo Babbo Natale. Mariangela è la coordinatrice dello Spazio del Rjuso e facilitatrice dei gruppi di comunità.

Presentazione Spazio del Rjuso | Pagina Facebook | “Spazio del Rjuso: fine del finanziamento ma il progetto continua”

Lo Spazio del Rjuso in poche parole, meglio di come abbiamo scritto nell’introduzione.
«È un progetto che mira a rigenerare spazi, oggetti e relazioni attraverso azioni di sviluppo di comunità. Ha anche l’obiettivo di ridurre la povertà abitativa di alcune persone del nostro territorio che si rivolgono alla Caritas e di includere le persone con fragilità».

Quali i principali spazi e oggetti che avete rigenerato?
«La rigenerazione degli spazi è avvenuta soprattutto con la ristrutturazione di un angolo del Campo Boario – ex mercato cittadino –, una tettoia sotto la quale regnavano degrado e incuria. La rigenerazione degli oggetti si è realizzata attraverso la raccolta e la riparazione di mobili ed elettrodomestici usati in buone condizioni».

E la rigenerazione delle relazioni?
«Quella è passata dagli incontri di comunità, organizzati con cadenza mensile in uno spazio pubblico messo a disposizione dal comitato di quartiere attraverso il Comune e a cui partecipano i partner del progetto, diverse associazioni e singoli cittadini. Questi incontri hanno l’obiettivo di favorire la coesione delle persone che vivono nel quartiere San Giuseppe. Abbiamo poi proposto tirocini e percorsi di inclusione sociale di persone con fragilità. Sono stati inoltre organizzati diversi eventi per coinvolgere la cittadinanza tutta, ma in particolare i giovani, con l’obiettivo di promuovere anche la cultura dell’ecologia integrale e dell’economia circolare».

Un singolo cittadino perché viene agli incontri di comunità?
«Intanto perché ha il desiderio di migliorare il luogo in cui vive, quindi il proprio quartiere, e poi perché pensa di avere delle risorse da donare: tempo, idee, voglia di stare insieme».

Mariangela, una tua definizione della parola chiave di questo progetto: rigenerare.
«Far tornare in vita qualcosa che c’è ma non viene fuori, come soffiare sulla brace per ridare slancio a un fuoco che di fatto esiste, sta sotto, ma è sopito. Far sbocciare di nuovo».

Operatori e volontari del magazzino dello Spazio del Rjuso

C’è una rete intorno a questo progetto. Tanti i soggetti coinvolti, i sostenitori, i partner. L’impatto sul territorio è pertanto significativo. Quali le difficoltà incontrate?
«La difficoltà a volte è nel cercare di parlare lo stesso linguaggio. Ai nostri incontri di comunità partecipano persone di religioni diverse – alcuni sono rappresentati del Centro culturale islamico –, persone anziane, ragazze e ragazzi che provengono dall’associazionismo giovanile con obiettivi e identità ben definite, magari diversi da quelli di Caritas. Quindi il grosso lavoro è stato quello di darci il tempo per ascoltarci, capirci e trovare una via comune. Siamo partiti chiedendoci cosa potessimo fare di concreto, anche di piccolo. Devo dire che poi i risultati sono arrivati».

Un’iniziativa che definisci “piccola” è l’evento natalizio dello scorso anno?
«Sì. Con l’associazione Jesi Bassa, che vuole creare uno spazio collettivo di socialità nel quartiere San Giuseppe, siamo riusciti a organizzare una tombolata e una festa per i bambini, con il contributo anche di gruppi scout».

A proposito di Natale, avete organizzato durante l’Avvento di quest’anno un laboratorio di decorazioni natalizie. Come è andato?
«Il laboratorio è andato bene; è stato un momento molto bello, creativo. Tutti i partecipanti erano persone di età diverse, di culture diverse. Si è messo a sedere con noi anche chi non è abituato alla manualità, così come il direttore della Caritas di Jesi, Marco Mario D’Aurizio. Mentre realizzavamo addobbi abbiamo parlato tanto. Sì, è stato davvero un bel momento».

I “frutti” del laboratorio di decorazioni inatalizie

Che valore aggiunto rappresenta il Natale per i temi rispetto ai quali lo Spazio del Riuso stimola a una riflessione?
«Il Natale è nascita, scoperta. Natale significa donare, ma allo stesso tempo ricevere un dono. Quindi per noi è un momento in cui vediamo il frutto di quello che abbiamo costruito insieme».

Natale spesso è anche consumismo. Questo rende la riflessione sui “vostri” temi ancora più stringente?
«Sicuramente. E la scelta di creare degli addobbi con materiali di riciclo va proprio in questa direzione. Anche il fatto di stare insieme privilegiando cose davvero semplici: abbiamo realizzato oggetti piccoli, scelto di addobbare alberi piccoli ma diffusi nel quartiere, in modo che tutti, anche i bambini, potessero appendere gli oggetti da loro realizzati. Abbiamo addobbato un albero davanti a un circolo ACLI e ci hanno aiutato tante persone anziane».

Qual è l’oggetto o il luogo che secondo te racconta meglio questo progetto?
«Ce ne sono tanti, ma mi vengono subito in mente gli abiti usati dei ragazzi della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto comprensivo Federico II di Jesi. Quella scuola è frequentata dai bambini e ragazzi del quartiere San Giuseppe, molti dei quali di origine straniera. Abbiamo loro proposto ciò che inizialmente era un progetto di sensibilizzazione sul tema della fast fashion, modello che va spesso a scapito della sosteniblità ambientale, con relativa swap party, cioè un evento con scambio di abiti usati e altri oggetti. Poi da cosa nasce cosa. Le insegnanti ci hanno proposto di attivare un laboratorio di sartoria creativa con abiti usati. Ogni ragazza e ragazzo ha messo nella rigenerazione del proprio abito davvero tanta creatività. Con quello che è stato prodotto, abbiamo poi deciso di organizzare una sfilata pubblica sotto la tettoia del Campo Boario».

I ragazzi dell’Istituto comprensivo Federico II di Jesi che hanno rigenerato abiti usati e partecipato alla sfilata

Del tema del recupero, del riciclo cosa colpisce di più i giovani: la parte ambientale, quella sociale o lo stretto legame tra le due?
«Il legame tra le due. Il nostro obiettivo è proprio riuscire a far capire ai giovani che l’ambiente e le persone sono strettamente legate. Quindi se fai bene all’ambiente fai bene anche a te stesso e alla comunità in cui vivi. E per favorire il tuo benessere personale e della tua comunità è necessario realizzare delle cose insieme nello spazio in cui vivi».

Cosa succede alle persone quando recuperano un oggetto, rigenerano uno spazio?
«Hanno la possibilità di vedere il mondo da un altro punto di vista, a partire dal fatto che si sorprendono ad apprezzare ciò che fino al giorno prima consideravano uno scarto».

Ristrutturare, pulire, riparare sono azioni molto pratiche. In che modo diventano anche azioni educative?
«Nel momento in cui quell’attività si fa insieme ad altri e si fa anche per portare solidarietà. Quindi ristrutturare non soltanto perché devo rendere più bello uno spazio, ma soprattutto perché lo devo rendere accogliente. Se una famiglia riceve un tavolo perché ne ha bisogno, da quel momento può invitare un amichetto del figlio a casa a fare merenda o i compiti».

Una possibilità che date alle persone ma anche a voi stessi: le cose le fate insieme.
«Sì, alcuni componenti del gruppo dei volontari che hanno aderito alle nostre attività nemmeno conoscevano Caritas prima di venire nello Spazio del Rjuso. Questo progetto aveva come obiettivo anche quello di rispondere al bisogno di tante persone di donare».

Qualcuno che hai visto letteralmente rigenerarsi mentre si prendeva cura di un luogo o uno spazio… scartato.
«Un ragazzo si è reso disponibile per tinteggiare una parete di un magazzino che abbiamo ristrutturato e l’ha fatto gratuitamente. Un atto di generosità che si è rivelato utile anche per lui perché usciva da un momento personale molto difficile. Per noi è stato un grosso regalo, ma è lui che ci ha ringraziati! Il progetto ha comunque “dato il la”, riattivato qualcosa, ha reso possibile un’idea di tanti membri della comunità che poi si è riverberata nelle storie personali di ciascuno».

Una presentazione pubblica dello Spazio del Rjuso

Il progetto Spazio del Rjuso, che per quel che riguarda il soggetto finanziatore, Fondazione Cariverona, si è formalmente chiuso lo scorso mese, ha generato consapevolezza e un nuovo progetto.  
«Sì, si chiama EcoConnessioni e prevede azioni per la sostenibilità ambientale e per l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili».

Cosa sogni per questo progetto che oggi ancora non c’è, per le attività nate da questo progetto che oggi ancora non ci sono?
«La sfida grande su cui ancora vogliamo lavorare è quella di riuscire a tirar dentro al gruppo anche le persone che fino ad oggi non si sono avvicinate e quindi riuscire a essere più inclusivi, più attrattivi».

Secondo Mariangela Boiani, Fondazione Caritas Jesina, coordinatrice del progetto Spazio del Rjuso, come ci si può riuscire?
«Bisogna bussare a ogni porta, trovare un modo per creare una relazione individuale e nel contempo anche invitare pubblicamente, cioè presentandosi in spazi in cui queste persone vivono ogni giorno».

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