Le ripetute assunzioni giornaliere di sali di bicarbonato e di potassio incidono fortemente sulla qualità di vita dei pazienti, soprattutto se si tratta di bambini
È una malattia in cui, per cause genetiche o per una compromissione del tubulo renale distale, il rene non è più in grado di espellere gli ioni idrogeno nelle urine: di conseguenza, si alterano gli equilibri ionici dell’organismo, che entra in uno stato di diffusa acidosi con complicazioni che includono disturbi gastro-intestinali, ritardo nella crescita, nefrocalcinosi, problemi alle ossa, astenia e debolezza muscolare. Parliamo dell’acidosi tubulare reale distale (dRTA), una rara condizione per cui non esiste ancora una terapia risolutiva ma che viene tenuta sotto controllo con l’assunzione di sostanze alcalinizzanti (principalmente sodio bicarbonato o sodio citrato). Fin qui sembra tutto semplice, ma quando si parla di malattie rare non è mai realmente così: nei neonati, in particolare, la gestione della terapia - che dura per tutta la vita - è affidata ai genitori, i quali devono imparare a mantenere costante il pH interno dei bambini facendo loro assumere i sali di bicarbonato, grazie a cui evitano l’acidosi.
Nei giorni scorsi, la redazione di Osservatorio Malattie Rare ha avuto l’occasione di partecipare a un incontro online del “Gruppo genitori dell’acidosi tubulare renale distale”, costituitosi nel 2019 grazie agli sforzi di Tommaso Balasso, ex atleta e padre di un bambino affetto dalla malattia. Punto di riferimento per i malati di dRTA all’interno dell’associazione “Il Sogno di Stefano”, Balasso ha realizzato questa iniziativa all’inizio della pandemia di COVID-19, mosso dalla necessità di accorciare le distanze tra le famiglie, cominciando a ‘fare rete’ per condividere soluzioni con cui migliorare la quotidianità di tutti. Grazie al suo impegno si è formato un gruppo coeso di genitori che si ritrova mensilmente, stringendo un legame che fa sentire tutti meno isolati.
UN REGIME TERAPEUTICO DIFFICILE DA SEGUIRE, SOPRATTUTTO PER I BAMBINI
Roberto e Sandra – i nomi sono di fantasia – sono un papà e una mamma che hanno partecipato per la prima volta alla riunione del “Gruppo Genitori dell’acidosi tubulare renale distale”, descrivendo la situazione della loro figlia Giulia, una bambina di 10 anni che ha ricevuto la diagnosi di dRTA piuttosto tardivamente. Purtroppo, l’esperienza iniziale della famiglia non è stata buona: Giulia è stata presa in carico dai medici di un ospedale che non conoscevano a fondo la malattia, un punto che richiama alla necessità di rivolgersi sempre ai centri di riferimento per la dRTA. “All’inizio il dosaggio dei sali era troppo basso ed è stato corretto solo dopo che ci siamo rivolti all’Ospedale Gaslini di Genova per una consulenza”, raccontano i genitori. “Ci siamo ritrovati a dover somministrare tante dosi a intervalli cadenzati di tempo, e questo ci ha inizialmente messi in seria difficoltà. Ci è stato inoltre suggerito di far bere alla bambina molta acqua, fino a 2 litri al giorno. Allora noi, per facilitare l’assunzione del citrato di potassio cercavamo di scioglierlo nell’acqua, ma dopo un po’ ci è stato spiegato che, così facendo, l’efficacia del trattamento risultava ridotta. Fin dal momento successivo alla diagnosi abbiamo avvertito la mancanza di precise indicazioni sulle corrette modalità di assunzione della terapia”.
I pazienti affetti da dRTA, infatti, devono assumere sodio bicarbonato o sodio citrato (e un integratore a base di citrato di potassio) per correggere la tendenza all’acidosi, ma i bicarbonati hanno un’emivita ridotta, pertanto vanno assunti a intervalli regolari durante il giorno e la notte. “Tra sali di bicarbonato e citrato di potassio si arriva fino a 8 somministrazioni al giorno”, affermano i genitori di Gaia, una bambina di 9 anni che ha ricevuto la diagnosi ad appena 30 giorni di vita. “Dobbiamo far coincidere gli orari della sveglia e del sonno con quelli delle somministrazioni dei farmaci, intervallandole di 4-6 ore. Ciò significa che Gaia è abituata a svegliarsi nel cuore della notte per assumere la terapia. Inoltre, è molto difficile programmare gite scolastiche, o persino una semplice uscita domenicale, poiché bisogna fare in modo che Gaia non rimanga a lungo senza farmaci, che oltretutto devono essere conservati al fresco, evitando che si surriscaldino: cosa che potrebbe facilmente accadere durante una gita al mare o in un pomeriggio al centro estivo”.
INFEZIONI GASTROINTESTINALI: UN PROBLEMA IN PIU’ PER I PICCOLI PAZIENTI
Nell’acidosi tubulare renale distale un’ulteriore problematica è rappresentata dal rischio di contrarre un’infezione del tratto gastroenterico che, comportando sintomi come diarrea, nausea e vomito, può non soltanto provocare disidratazione, ma anche compromettere la corretta assunzione della terapia. “Un disturbo gastrointestinale è un’eventualità che per la maggior parte delle persone significa trascorrere un paio di giorni a casa col mal di pancia, ma che per i bambini con dRTA può implicare il ricovero in ospedale”, spiegano i genitori di Gaia. “Se nostra figlia non riesce a trattenere i liquidi deve essere ricoverata in nefrologia, dove le somministrano un medicinale antiemetico per fleboclisi, insieme ad acqua e sali minerali”. In simili circostanze occorre quindi arrivare in fretta al centro di riferimento più vicino e non tutti hanno la possibilità di farlo: si pensi agli abitanti delle isole, come Ischia o l’Elba, per cui si rendono necessari trasporti d’urgenza in elicottero o via mare. In Italia esistono diversi centri specializzati nella dRTA, dislocati in varie Regioni, ma il problema dei collegamenti risulta ancora uno dei più ardui da risolvere.
L’ADERENZA TERAPEUTICA NELL’ADOLESCENZA E IL PASSAGGIO DA ETA’ PEDIATRICA AD ADULTA
Le difficoltà nel trattamento della dRTA, tuttavia, non si fermano ai neonati o ai bambini in tenera età ma riguardano anche gli adolescenti, per i quali un protocollo terapeutico che richieda l’assunzione di varie dosi di farmaco al giorno rappresenta non un semplice impedimento, bensì un’autentica ‘prigione’. “Mio figlio oggi ha 18 anni e, come tutti i suoi coetanei, desidera uscire con gli amici e andare in vacanza da solo”, racconta Manuela. “Oggi per fortuna sta bene: è in trattamento da quando aveva pochi giorni, ha messo le protesi per i problemi di sordità connessi alla dRTA [nelle forme autosomiche recessive della malattia spesso si presenta anche questa manifestazione, N.d.R.] e, negli anni, ha fatto tante sedute con il logopedista. La terapia funziona ma è poco pratica. Gli adolescenti sono spesso distratti e, soprattutto, non vogliono sentirsi differenti dagli altri”. Nonostante con la crescita vi sia la possibilità di passare dalle fiale alle compresse di bicarbonato, l’aderenza a un regime terapeutico così rigido è messa a dura prova man mano che i bambini con dRTA crescono, pertanto i genitori confidano molto nell’arrivo di farmaci a rilascio prolungato, in grado di consentire un minor numero di dosi giornaliere di bicarbonato.
Il passaggio dall’infanzia all’età adulta, poi, costituisce un momento delicato per il paziente con acidosi tubulare renale distale, non solo nell’ottica della gestione della terapia ma anche in quella dell’individuazione di medici specialisti che seguano i pazienti una volta usciti dalla sfera di competenza del pediatra. Lo testimonia anche Anna, cinquantottenne con dRTA e madre di una ragazza di 23 anni a sua volta affetta dalla malattia, che racconta: “Presso l’Ospedale di Brescia è attivo un ambulatorio dedicato alla malattie nefrologiche rare con specialisti per l’ambito pediatrico, ma si fatica a trovare figure mediche più indirizzate sull’adulto”.
QUANDO LA BUROCRAZIA NON AIUTA
Per i genitori la coesistenza con la dRTA è un sacrificio enorme, che si aggiunge a quello di vedere i loro figli vincolati a una patologia contro cui si vorrebbe una soluzione di trattamento più pratica e definitiva. Uno dei maggiori ostacoli che incontrano le famiglie rimane quello della burocrazia, specialmente quando i pazienti vengono presi in carico in centri specializzati collocati in regioni differenti da quella di residenza. “Spesso il piano terapeutico stilato dal centro di riferimento non viene riconosciuto nella propria regione, oppure le varie ASL non comunicano tra loro in maniera efficiente, per cui subiamo ritardi o intoppi che aggravano ulteriormente la nostra routine quotidiana”, sottolinea Romina, madre di una ragazza con dRTA di 16 anni. “Quando si sta male si vorrebbe che le cose fossero più agevoli e non più complesse”. Una situazione che in Italia, purtroppo, non riguarda solo i malati rari.