Clausole specchio

Compatibilità
Salva(0)
Condividi

La necessità di clausole specchio nei trattati commerciali internazionali spiegata facile

Non occorre essere esperti di trattati commerciali internazionali per capire perché Slow Food chiede che l’Unione europea imponga clausole specchio ai Paesi terzi dai quali importa alimenti. Basta ragionare, lo scriveva Fritz Schumacher nel sottotitolo del suo “Piccolo è bello” del 1973, “come se la gente contasse qualcosa”. E, aggiungiamo noi, come se contassero anche l’ambiente, gli animali allevati, la fertilità dei suoli.

Le regole dell’agricoltura europea

L’Unione europea ha fissato una serie di norme (divieti, limiti massimi, regolamenti) relative alla produzione di cibo, che riguardano sostanze vietate (insetticidi, diserbanti, ormoni…) per ragioni di carattere ambientale o perché sono nocive per la salute umana; sostanze consentite ma strettamente regolamentate (gli antibiotici, per esempio); procedure vietate (come utilizzare il glifosato, che è un diserbante, subito prima di raccogliere il grano). Ci sono poi regolamenti a tutela del benessere degli animali (e certo che abbiamo visto e vi raccomandiamo di vedere Food for Profit di Giulia Innocenzi, ma se quei comportamenti si possono – meritoriamente – denunciare è proprio perché violano normative esistenti) o che riguardano la deforestazione causata da determinate produzioni.

Il cibo degli europei viene prodotto anche fuori dall’Ue

Tuttavia, l’Unione europea importa una importante parte del cibo che le serve e poiché quelle regole valgono solo all’interno dell’Ue, il problema è: come facciamo a importare alimenti che abbiano gli stessi requisiti, in termini di sicurezza alimentare e ambientale, di quelli che produciamo?

È semplice, verrebbe da dire, se i cibi dei paesi extra-Ue non hanno le stesse caratteristiche dei nostri, non li compriamo. E però i nostri allevamenti hanno bisogno di soia e noi ne produciamo pochissima; e in ogni caso i nostri allevamenti non sono sufficienti, e infatti importiamo anche molta carne bovina. Oppure: consumiamo parecchio riso ma ne produciamo pochissimo, perché solo poche zone d’Europa sono vocate per questa coltura. Insomma, “dobbiamo” comprare.

I residui massimi delle sostanze consentite

Come comportarci, allora, con alimenti prodotti con regole meno rigide delle nostre?

Il primo passo sta nella questione dei limiti dei residui. Per ogni sostanza consentita in agricoltura, c’è, in Ue, un limite massimo di residuo (LMR) contenuto nel prodotto.

Se i contratti commerciali internazionali avessero clausole specchio che prevedono gli stessi limiti anche per i prodotti che importiamo sarebbe già un bel passo avanti. Invece al momento le cose non funzionano così, anzi: quei limiti vengono modificati alzando la soglia dei residui consentiti nelle derrate da importare!

Come la mettiamo con le sostanze vietate?

Che succede, invece, con le sostanze non consentite in Ue? La logica vorrebbe che il LMR coincidesse con il minimo rilevabile, cioè lo 0,01 parte per milione. Su richiesta delle aziende produttrici (degli alimenti o delle sostanze vietate) questo limite viene alzato, anche di 200 volte.  Quindi, anche qui, bisogna inserire nei trattati clausole specchio che fissino – senza deroghe! – allo 0,01ppm il limite massimo dei residui negli alimenti.

Effetti positivi delle clausole specchio

Slow Food chiede dunque ai candidati alle elezioni europee di lavorare affinché vengano inserite clausole specchio nei futuri trattati commerciali al fine di:

  1. proteggere la salute dei cittadini europei;
  2. evitare situazioni svantaggiose per i produttori europei, che rispettando normative restrittive hanno costi maggiori, ma sui mercati europei trovano poi alimenti prodotti altrove a costi minori e di minore qualità, che risultano economicamente concorrenziali;
  3. motivare i Paesi terzi a ridurre l’uso di sostanze e pratiche dannose sia nelle produzioni destinate all’esportazione sia, a tendere, in quelle per il mercato interno. I consumatori e i lavoratori agricoli dei Paesi terzi hanno diritto alla salute proprio come quelli europei, e l’ambiente da difendere è uno solo: il pianeta Terra.

A cura di Cinzia Scaffidi

stampa@slowfood.it

Recapiti
Press Slow Food