Intervista di Giada Fazzalari
“Stati Uniti d’Europa” è un sogno coltivato un secolo fa da Turati e, più recentemente, da Colorni, Rossi e Spinelli. Uomini che avevano la capacità di guardare non al domani, ma al futuro, tenaci nell’immaginare una fratellanza che si sta costruendo con fatica. Perché crede che proprio adesso sia il momento giusto per rivitalizzare quel sogno?
«Il ricordo e la lezione dei padri fondatori, il loro pensiero e il loro coraggio sono le basi su cui è nata l’Europa. Tramandarne la storia, gli insegnamenti, è un dovere per ogni sincero europeista. E naturalmente aggiungo al vostro elenco anche i grandi europeisti del mondo cattolico, da De Gasperi e Adenauer».
Oggi però, è il tempo dei figli sognatori.
«Il riformista non vive trincerato nel passato ma fa della storia un prezioso bagaglio, oltre ogni nostalgia, da cui partire per immaginare il futuro. E i figli sognatori hanno il compito di portare a compimento quel cammino iniziato dai padri che porta verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa».
Il mondo brucia: dall’Ucraina, al Medio Oriente, non c’è un dossier in cui l’Europa faccia sentire la sua voce.
«Per questo serve accelerare nel difficile cammino del processo di integrazione europea: l’elezione diretta del Presidente della Commissione, l’abolizione del diritto di veto, un esercito comune ma soprattutto una politica estera comune. Esercito e diplomazia, accelerazione e freno: tutto questo manca a un’Unione che non può più permettersi di essere una via di mezzo fra una organizzazione internazionale e uno Stato, ma deve farsi Nazione e incidere nel mondo».
L’insieme delle forze che compongono la lista Stati Uniti d’Europa non è molto diverso dalla compagine politica che ha condotto l’Unione europea nell’ultimo quinquennio; le famiglie europee che hanno guidato la Commissione sono riuscite ad arginare sovranisti e nazionalisti. C’è il rischio che questo argine si rompa dopo il 9 giugno?
«La maggioranza Giorgia è un progetto difficile da realizzare: non solo servono i numeri ma anche la volontà di tenere insieme popolari, conservatori e sovranisti. Con tutte le difficoltà del caso: come può un popolare polacco accettare in maggioranza un sovranista filorusso? E un cristiano democratico tedesco, un estremista di AFD? Quello che è certo, è che se la lista Stati Uniti d’Europa farà un bel risultato, sarà con il gruppo Renew Europe determinante nella formazione di una maggioranza europeista. Non mi piace la maggioranza Giorgia, non mi basta la maggioranza Ursula, vorrei la maggioranza Mario. Con Draghi sarebbe tutto più semplice.»
I Paesi europei, nel corso degli ultimi anni, hanno visto l’arrivo di una preoccupante “onda nera”; molte democrazie europee si sono sposate a destra. Come si può fermare questo corso?
«Il fascismo è una pagina triste della nostra storia che non vedo però tornare. Quello che sta tornando, più che l’onda nera, è una destra populista, sovranista e incapace di proporre soluzioni credibili. Questa destra è quella sgangherata di Matteo Salvini e Marine Le Pen, ma anche quella inconcludente di Giorgia Meloni. Prendiamo appunto il caso italiano: in un anno e mezzo di Governo, non c’è una sola riforma. Hanno aumentato i reati, non hanno riformato la giustizia. E però, la migliore alleata di questa destra è la sinistra populista: la sinistra governa quando è riformista, resta all’opposizione quando si posiziona agli estremi. In Gran Bretagna vince con Blair, perde con Corbyn, tornerà a vincere con Starmer».
In Italia si sta governando con gli annunci, che possono indurre speranza ma non mettono nel piatto di aziende e famiglie quello che è necessario. Senza contare che il governo arranca nell’attuazione del Pnrr e non riesce a ridurre deficit e debito pubblico a sufficienza per rientrare nei parametri di Bruxelles. Non le sembra si stia navigando un po’ troppo a vista?
«È un governo di influencer: Giorgia comunica alla perfezione ma lascia il Paese in una palude. La riforma della giustizia si è fatta a parole, con le dichiarazioni pur condivisibili del ministro Nordio. Nei fatti, non c’è nessun testo all’orizzonte. Il fisco? Non pervenuto. Per non parlare del lavoro. Giorgia Meloni ha passato anni a chiamare gli 80 euro del mio governo mancette. Per poi inventarsi una brutta copia, i 100 euro. La verità però è che i 100€ di Meloni a differenza degli 80€ di Renzi, sono lordi, non netti ; annuali, non mensili; per determinate categorie di persone, non per tutti, attivabili a richiesta, non automatici. Insomma, come sempre un’ottima comunicazione ma i fatti stanno a zero».
Se il risultato elettorale dovesse consolidare Fdi, il governo ne uscirebbe rafforzato o indebolito? La Presidente del Consiglio, potrebbe avere la tentazione di incassare in qualche modo il risultato?
«Difficile fare previsioni oggi. Quello che è certo è che dopo le elezioni arriverà il redde rationem fra Meloni e Salvini. E comunque occhio a umiliare gli alleati: non è mai segno di intelligenza politica».
Nelle diverse liste che concorrono alle elezioni leggiamo nomi di esponenti politici che non andranno mai a Strasburgo. È come offendere l’intelligenza degli italiani. Non vede il rischio che questo possa screditare tutta la politica, nel loro giudizio?
«Vado molto fiero del fatto che Stati Uniti d’Europa sia l’unica lista i cui candidati se eletti andranno a Strasburgo. Candidarsi per poi rinunciare al seggio come hanno fatto Meloni, Tajani, Schlein e Calenda è una truffa verso gli elettori. Chiedere il voto agli italiani è una cosa seria: non si gioca con la democrazia. E concordo con lei: non è una bella immagine quella che diamo dell’Italia nel mondo. Sembriamo dire che l’Europa non ci interessa perché consideriamo le europee solo un sondaggio interno. Mi sembra una follia».
I sondaggi sono unanimi: Stati Uniti d’Europa supererà la soglia, perché gli elettori dei partiti promotori condividono la scelta. Ci sono segnali concreti che la lista riuscirà a drenare elettori spiazzati dalla linea del Pd di Schlein?
«Io credo che Stati Uniti d’Europa, che ha un progetto nel simbolo, non un nome, che porta avanti idee concretamente riformiste, sarà capace di avvicinare elettori delusi del Pd, di Forza Italia ma anche tutti quegli imprenditori del nord che hanno creduto nella Lega. Lega che oggi chiede meno Europa senza più capire che oggi, non vuol dire più Veneto, ma più Cina. Quanto ai riformisti dem: chi vota Pd, vota CGIL, vota la sesta stella del movimento cinque stelle. La scelta di Schlein di firmare i referendum di Landini sul jobs act è chiara: il Pd riformista non esiste più».
Perché a suo avviso è importante la presenza dei socialisti – rappresentanti di una forza storica ma presente con i suoi amministratori in tutta Italia, da sempre nel centrosinistra in modo non conforme – nella lista Stati Uniti d’Europa?
«Le idee socialiste sono idee riformiste e dunque necessarie: sono insite nella nostra Costituzione, nella storia politica del nostro Paese e hanno contribuito in modo determinante all’Europa unita. Non è la mia storia politica, è vero, ma se vogliamo unire l’Europa cominciamo con il mettere insieme i riformisti».
Questo può essere il voto più utile di tutti per accelerare una alternativa a questo governo?
«Si vota per le Europee non contro la Meloni. E questo è il senso della nostra lista che vola alto in Europa senza inseguire il day by day e il chiacchiericcio. Dopo di che l’alternativa non si costruisce votando il Pd o i Cinque stelle. Stati Uniti d’Europa è l’unica possibilità di cambiare sul serio».