Il lato oscuro del Salmone - A.I.D.O.

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Alcune associazioni hanno lanciato da tempo l’allarme: le condizioni in cui vengono allevati questi pesci mettono a rischio la salute umana e l’ambiente. Ecco tutte le criticità di un cibo molto ricercato

di Vita e Salute

Un tempo si diceva “Sano come un pesce”. Un’immagine messa in crisi negli anni a causa dell’inquiamento dei mari. Ma il problema riguarda anche e in alcuni casi di più quello degli allevamenti di pesci e in particolare di salmone, sempre più amato dai consumatori. Per esempio, l’attivista Don Staniford, dell’associazione Scottish Salmon Watch, ha dichiarato non molto tempo fa che “In una vasca da 30 metri di diametro possono essere rinchiusi fino a 100mila esemplari”. Si tratta di condizioni di vita insostenibili per pesci abituati ad avere spazio e che si trovano compressi, quasi senza possibilità di nuotare. È più che un sovraffollamento, esattamente come avviene per gli animali allevati a terra: si favorisce il proliferare di malattie e parassiti; tra questi i pidocchi di mare che mangiano letteralmente vivi i salmoni e l’uso di sostanze chimiche per contrastarli. Si tratta di una situazione che non riguarda tutti gli allevamenti – ce ne sono altri che praticano un allevamento distensivo, dove i salmoni vivono con possibilità di muoversi, consumano mangimi naturali e nell’acqua non si trovano sostanze chimiche, non si fa ricorso a coloranti e antibiotici – ma in quelli che seguono i metodi molto critici appena descritti si gettano centinaia di migliaia di litri di sostanze chimiche nell’acqua per evitare la diffusione di malattie.
Inoltre c’è il benessere animale durante la macellazione. Pesci uccisi prendendoli ripetutamente a martellate, per poi procedere a tagliare e strappargli le branchie, quando sono ancor vivi. Un quadro cupo che emerge anche in un rapporto di Compassion in World Farming (Ciwf) e OneKind, organizzazioni non governative, che parlano di “gravissime violazioni del benessere animale” nella quasi totalità degli allevamenti scozzesi.

Uno su quattro non sopravvive

A leggere le stime della Ong Ciwf, ogni anno, circa il 28,2% dei salmoni inseriti nelle “gabbie d’acqua” muore in seguito alle condizioni di allevamento. È questa la ragione per cui Ciwf vuole un’immediata moratoria per bloccare il proliferare di questo modo di condurre l’allevamento. È chiaro quanto scrive: “A un settore in cui un salmone su quattro non sopravvive al periodo di ingrasso non dovrebbe essere permesso di espandersi ulteriormente”. Questo modo di procedere causa la morte di milioni di salmoni che finiscono accatastati e sepolti in una fossa comune, fa pensare più a una discarica. Una situazione orrida svelata da due inchieste internazionali. “I dati indicano che tra i 4,4 e gli 8,9 milioni di salmoni sono stati inceneriti, sepolti o mandati in discarica nel 2020”, rivela un’indagine pubblicata dall’organo di informazione scozzese The Ferret, che ha sguinzagliato i suoi investigatori per verificare la conduzione degli allevamenti. E come ha risposto l’industria scozzese del salmone? Che le carcasse “sono gestite nel pieno rispetto delle normative del governo scozzese e che si sta impegnando per attivare forme di economia circolare”, per quanto riguarda la grande quantità di materiale organico gettato in discarica.
È evidente che qualcosa non torna, numeri così elevati di salmoni morti prima del tempo non possono che essere in relazione al proliferare di parassiti e malattie negli allevamenti intensivi scozzesi, ribadiscono le Organizzazioni non governative. E quali sono le malattie di cui possono soffrire i salmoni? Si segnalano la malattia nodulare branchiale (Agd); l’anemia infettiva del salmone (Isa); la cardiomiopatia (Cms) e la pancreatite (Pd). Ci sono i dati resi pubblici nel 2020 dal Fish Health Inspectorate, a leggere i quali il 64% dei casi di morte registrati nel 2019 dipendono dalle malattie e dai trattamenti sanitari effettuati. E mentre in Europa si dibatte su questi dati, il primo luglio scorso l’Argentina è stato il primo paese al mondo a rendere illegali gli allevamenti di salmoni. Lo hanno deciso i legislatori della Terra del Fuoco, nel sud del paese, che giovedì hanno votato all’unanimità una nuova legge che vieta ufficialmente quest’industria in tutta la zona.

Pesce azzurro come mangime

Qual è un’altra delle maggiori contraddizioni di questo sistema di produzione? Per alimentare i salmoni nelle vasche, si impiega una notevole quota di pesce selvatico, soprattutto pesce azzurro. Il risultato? Si sottrae al consumatore quasi un quinto del pescato selvatico annuale mondiale, pari a circa 18 milioni di tonnellate l’anno. E che si fa col pescato? Mangimi (in particolare farina e olio di pesce) che per una quota del 70% sono destinati ad allevamenti come quelli del salmone.
Infine, da mettere in evidenza che i rifiuti organici e chimici degli allevamenti di salmone possono uccidere la vita marina sul fondo del mare. I rifiuti degli allevamenti determinano una cattiva qualità dell’acqua e il crearsi di fioriture algali dannose. E che dire di medicinali e sostanze chimiche, come gli antibiotici e gli insetticidi? Sono rilasciati nell’ambiente, e molti di questi sono noti per essere tossici per i pesci e altri organismi marini, così come per gli uccelli e i mammiferi. “I danni più ingenti sono per l’ecosistema circostante”, ricorda Andrea Miccoli, professore di Biotecnologie animali all’università di Viterbo. La lezione da imparare, secondo il docente, è quella di percorrere soluzioni più sostenibili per la salute del nostro organismo e la natura. Le tecnologie ci sono, alcuni allevatori iniziano ad applicarle.

Quelli che allevano responsabilmente

Per chi infine desidera non privarsi di questo alimento, c’è l’alternativa dell’allevamento “distensivo”. In questo caso, gli animali hanno la libertà di muoversi agevolmente, assumono mangimi naturali e privi di sostanze chimiche. Un salmone che proviene da allevamenti a vita selvaggia si riconosce facilmente in due mosse. Nella prima, premendo la “carne” del filetto con un dito, si vedrà che l’impronta torna indietro. In un salmone grasso, allevamento intensivo, rimane l’impronta. La carne di un salmone da allevamento intensivo presenta lungo tutto il filetto delle striature bianche, il grasso.
Poi, c’è la certificazione. In quella Asc (Aquaculture Stewardship Council), i pesci vengono nutriti con mangimi più sostenibili e protetti dalle malattie usando una quantità minima o nulla di sostanze chimiche e antibiotici, e l’impatto degli allevamenti sull’ambiente viene ridotto al minimo. Inoltre, scegliendo di consumare pesce di allevamento si garantisce la disponibilità delle risorse ittiche per le generazioni future.
E veniamo alla Scozia. Mowi Scotland ha ottenuto la certificazione dall’Asc per quattro dei suoi allevamenti di salmone in mare. Salgono così a otto in totale gli allevamenti scozzesi in mare e in acqua dolce certificati Asc. Gli allevamenti Mowi di salmone a Loch Linnhe, Gorsten, Marulaig Bay e Stulaigh si uniscono agli allevamenti di Loch Leven, Arkaig, Glenfinnan e Lochy. Questa è una tappa significativa verso l’obiettivo dichiarato da Mowi di raggiungere il 100% di allevamenti certificati Asc, in tutto il mondo.
La certificazione Asc è il risultato degli Aquaculture Dialogues, intrapresi da WWF Usa. Gli standard Asc per il salmone e la trota sono ampiamente riconosciuti come gli standard ambientali e sociali più solidi e di ampia portata per l’acquacoltura responsabile globale. Poi, c’è Friend of the sea, che certifica sia la pesca che l’allevamento.

Recapiti
alessandra@romboliassociati.com