Parma, 30 aprile 2024 – Di seguito la sintesi dei contenuti del panel “Polizze vita ramo Tcm, ramo I e ramo III: facciamo chiarezza” (Generazione F: confronti, riflessioni e idee per un futuro finanziario e assicurativo più sostenibile, Parma, 18 aprile).
A cura di Antonio Pinto, responsabile settore Prodotti bancari e assicurativi Confconsumatori
Le polizze vita possono essere una grande opportunità per gli investitori perché garantiscono allocazione di risparmio, ma in più offrono anche coperture su rischi futuri (previdenziali, morte, infortuni). In terzo luogo, possono essere strumento utile per risolvere problemi diversi: ad esempio, una polizza vita Tcm (temporanea caso morte), con la legge sul “dopo di noi”, può aiutare genitori a garantire una rendita al figlio disabile. Oppure, anche usando le polizze finanziarie, è possibile provvedere a compensazioni utili per garantire il passaggio generazionale di un’azienda, garantendo agli eredi non interessati all’impresa altre utilità – di pari valore rispetto agli asset aziendali lasciati solo a un unico erede – che rendano impossibile poi contestare l’assetto stabilito dal “pater familias”. Le polizze sono dunque uno strumento particolare perché non hanno valore solo per il possibile rendimento atteso. Accanto ai vantaggi, però, vi sono rischi giuridici ed economici che bisogna conoscere.
A cosa deve stare attento il cliente risparmiatore prima di stipulare una polizza?
A) Quale è il reale tipo di polizza in cui sta investendo. Non bisogna farsi fuorviare dai nomi e dalle diciture, esempio eclatante è quello delle polizze “a capitale protetto” ossia polizze che, pur avendo come obiettivo la protezione del risparmio e utilizzando tecniche di investimento prudenti, comunque non danno nessuna garanzia che il capitale investito non subisca perdite.
B) A tutti i rischi connessi al tipo di prodotto d’investimento assicurativo. Ad esempio: 1) i rischi derivanti dalla possibile insolvenza dell’ente che ha emesso i titoli sottostanti alla polizza e nei quali il cliente investe; 2) il rischio della volatilità del prezzo dei sottostanti che può creare perdite; 3) eventuali rischi di illiquidità dei titoli sottostanti.
C) La struttura dei costi e delle commissioni, sia upfront che recurring. Possono variare – in media – dall’1,5% al 4% del valore complessivo dell’investimento.
Occorre utilizzare con attenzione il Kid (c.d. key information document), un documento di lunghezza massima di tre fogli in formato A4, nel quale il potenziale investitore troverà le informazioni chiave relative al prodotto che intende acquistare redatte in modo semplice e chiaro.
L’EIOPA ha deciso di accendere un faro su alcuni prodotti assicurativi di investimento, per valutare se le polizze unit e le index linked hanno un’effettiva redditività per il cliente, o se i costi e le commissioni le rendono sostanzialmente inutili come prodotti di investimento per i clienti retail. L’Italia è risultato il quinto Paese in cui costano di più, con un impatto complessivo dei costi che arriva – in media – al 3,2%. Questo indipendentemente dai rischi. È chiaro che l’eccessiva onerosità incide sul rendimento netto e quindi sul valore reale di queste polizze. Ad esempio, se la mia polizza ha costi di gestione annuali del 3% allora il prodotto finanziario sottostante deve guadagnare almeno il 4% annuo, affinché io porti a casa un vantaggio dell’1%.
D) I meccanismi di restituzione delle somme versate, come eventuali clausole di riscatto non automatico che prevedono oneri sull’assicurato nel richiedere la prestazione pur dovuta, oppure fissano presupposti per far sorgere il diritto al riscatto, come ad esempio il pagamento di un certo numero minimo di annualità.
Le polizze unit linked
È stato ormai definitivamente chiarito, dopo anni di accese discussioni, che la polizza unit linked debba considerarsi dotata di contenuto previdenziale a meno che sul beneficiario della polizza, a causa del pessimo andamento borsistico dei titoli nei quali il premio è stato investito, gravi il rischio di perdita dell’intero capitale versato dal contraente all’assicuratore oppure il rischio di ricevere un indennizzo irrisorio. È quanto afferma la Cassazione nella ordinanza 9418 del 9 aprile 2024, nella quale si attesta dunque la natura assicurativa (e non di mero strumento finanziario) della polizza unit linked nella quale il cosiddetto «rischio demografico» non abbia un ruolo insignificante: vale a dire la polizza che preveda una prestazione dell’assicuratore, al verificarsi dell’evento assicurato (a seconda dei casi: la morte della persona portatrice del rischio o la sua esistenza in vita a una certa data), non azzerabile o non riducibile, in grandissima parte, in conseguenza della diminuzione di valore dei titoli nel cui acquisto è stato impiegato dall’assicuratore il denaro che gli è stato versato a titolo di premio.
Riconoscere natura assicurativa alla polizza unit linked significa rendere applicabile l’intera normativa in tema di contratto di assicurazione sulla vita, primo tra tutti l’articolo 1923 del Codice civile il quale sancisce l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario.
La Cassazione distingue le polizze unit linked in tre categorie, a seconda delle garanzie che esse offrono in relazione al rischio dell’investimento in strumenti finanziari che viene effettuato dall’assicuratore con il denaro percepito a titolo di premio e versato dal contraente della polizza: 1) polizze guaranteed unit linked, che garantiscono al beneficiario la restituzione dell’intero capitale versato all’assicuratore, prevedendo la possibilità di una maggiorazione anche minima; 2) polizze partial guaranteed unit linked, che riconoscono al beneficiario una garanzia di restituzione solo parziale dei premi versati dal contraente; 3) polizze unit linked pure, il cui effetto è che la prestazione dovuta dall’assicuratore dipende esclusivamente dal valore del parametro finanziario sottostante alla polizza al momento in cui si verifica l’evento (la morte o l’esistenza in vita) in relazione al quale la polizza è stipulata.
Ebbene, se una polizza rientra in una delle prime due categorie, significa che la natura assicurativa sussiste, in quanto l’assicuratore assume su di sé, con diverse gradualità, il rischio demografico, nel senso che, al verificarsi dell’evento assicurato (la morte o l’esistenza in vita), al beneficiario viene comunque riconosciuta la somma di denaro garantita al momento della stipula della polizza, anche a prescindere dal valore dei sottostanti strumenti finanziari nei quali i premi sono stati investiti, che potrebbe essersi ridotto rispetto al valore dei premi versati o addirittura azzerato. La natura assicurativa invece scema del tutto (e non si può qualificare quella fattispecie come contratto di assicurazione) se il rischio d’investimento grava totalmente sull’assicurato in quanto, in tal caso, nessun rischio demografico è assunto in capo all’assicuratore.
Le sfide del settore
Le Compagnie assicurative in questo periodo sono alle prese con l’avvio delle consultazioni con Ivass sulle potenziali modifiche da apportare al regolamento sulle gestioni separate. Anche per cercare di dare una risposta e costruire una strategia di contenimento dei “deflussi” delle compagnie. Perché il tema, in questa fase, è evidentemente quello di offrire prodotti in grado di competere con i rendimenti che offrono i titoli di Stato e le obbligazioni corporate per frenare le uscite e al contempo spingere le nuove sottoscrizioni. L’aumento dei tassi ha reso, dal punto di vista dei rendimenti, nuovamente attrattivi i governativi, i titoli corporate e i prodotti di risparmio come i conti deposito. Ciò ha generato una repentina svolta nella strategia dei piani di investimento degli italiani, che hanno ridotto le posizioni in polizze vita per riposizionarsi su prodotti finanziari diversi. L’esito è che, stando almeno ai dati Ania più recenti, lo scorso gennaio gli importi riscattati nel ramo vita hanno raggiunto quota 7,5 miliardi (di cui 4,5 miliardi afferenti al solo ramo I), ma soprattutto al di là dei valori è accaduto che l’ammontare dei riscatti ha superato quello dei nuovi premi raccolti.
Ania, a fine marzo, ha inviato alla UE un documento con cui ha indicato le priorità del comparto. Tra queste il focus è indubbiamente sugli aspetti normativi, per i quali è necessaria una semplificazione, che freni anche l’eccessiva produzione legislativa che ha toccato il settore in questi anni, con testi che sono praticamente triplicati. Lo stesso vale per la reportistica, ancora troppo onerosa. Non solo, sul tavolo c’è il tema investimenti, complice il ruolo che le compagnie possono giocare come investitori nella complessa fase di transizione, e come “abilitare” il settore a vestire i panni del facilitatore per indirizzare il risparmio privato verso gli investimenti necessari alla transizione sia ambientale che digitale.