«L’insegnamento non è indottrinare ma fornire gli strumenti perché ognuno possa scegliere con libertà. In questo senso, l’orto ha permesso alla scuola di uscire dal proprio spazio chiuso, fatto di pagine e lavagne, per accogliere nuovi saperi, non meno importanti. La scuola che si apre a un orto didattico permette alla vita di entrare e agli alunni di imparare in modo più coinvolgente e scoprire che fuori esiste un ambiente fatto di terra, natura e stagioni».
Rita Tieppo, maestra in pensione, è una delle Dieci donne che salvano la terra, il progetto di Slow Food Italia che vuole dare valore e voce alle donne piemontesi che – spesso nell’ombra – lavorano per custodire la terra, produrre cibo buono, pulito e giusto, e cambiare il futuro.
Oggi volontaria e attivista Slow Food, Rita coordina un gruppo di 100 insegnanti e mette a disposizione la sua esperienza per mantenere l’educazione alimentare nella didattica scolastica e non perdere «la preziosa attività creativa svolta dagli insegnanti».
Il progetto dell’Orto Slow Food oggi non sarebbe lo stesso senza di lei, che ricorda quest’anno i vent’anni dall’avvio del suo primo Orto. A ispirarla le parole del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini: «se si potesse avere un orto in ogni scuola, potremmo riconnettere le nuove generazioni alla terra».
Con quest’idea in mente Rita ha contribuito a creare attorno alla scuola e all’orto, una comunità dell’apprendimento in cui genitori, nonni ortolani, insegnanti, cuoche e cuochi, produttori, amministrazione comunale e operatori della mensa hanno messo in condivisione i propri saperi agroalimentari. Così, ha contribuito a dare il via a un modello di scuola che scardina i ruoli fissi di insegnante e alunno.
«Nell’orto diamo nuova dignità al sapere agricolo. L’insegnante si pone al fianco degli alunni per imparare da chi è portatore di conoscenza: il nonno o il contadino».
E come spesso succede, lo spirito appassionato di questa insegnante ha attirato a sé, e generato, una comunità sempre più grande. Oggi che è in pensione, Rita coordina più di 60 classi, 100 insegnanti e 2500 genitori. «Tutte persone che trovano un momento per interrogarsi e prendere consapevolezza che il cibo non è quella roba che si trova pronta al supermercato, ma è la terra, la cultura e la storia che racconta. Parlare di cibo, chiacchierare con i bambini su un semplice piatto di pasta al pomodoro rende consapevoli che la storia è fatta di continui scambi e che noi siamo il frutto di tutto questo, anche se ultimamente si parla solo di scontri, muri e barriere. Dobbiamo ricordarcene».
Dentro di sé l’ha sempre saputo che questa sarebbe stata la sua strada. Ispirata anche dalla storia di Don Milani, sacerdote, scrittore ed educatore rivoluzionario, che sulla porta della sua scuola di Barbiana, in provincia di Firenze, aveva scritto I care: mi interessa, non mi lascia indifferente. «Queste parole delineavano il percorso che volevo seguire per una nuova scuola della cura e della conoscenza».
All’inizio non è stato semplice introdurre l’educazione alimentare nelle scuole: «quando ho dovuto presentare la proposta al dirigente scolastico – prima per l’orto, poi per i laboratori di cucina per gli alunni, e poi anche per i genitori – non è stato facile motivare una richiesta che allora suonava un po’ fuori dalle righe».
Oltre ai nonni contadini, Rita ha portato a scuola anche i genitori dei ragazzi, che hanno scoperto per primi il piacere di (re)imparare le ricette della tradizione. «Il laboratorio di tagliatelle è così piaciuto agli alunni che, tornati a casa, hanno raccontato l’esperienza con tanto entusiasmo che i genitori ci hanno chiesto di partecipare. Così abbiamo avviato anche un laboratorio anche per loro: al mattino si svolgevano le lezioni con i bambini e al pomeriggio con i genitori. Questo episodio mi ha fatto capire come il cibo non sia solo nutrimento ma anche cultura, che purtroppo stiamo perdendo a causa dei nostri ritmi frenetici. È importante rallentare e riscoprirla».
Ma la battaglia più grande è sempre stata affermarsi come professioniste e allontanare l’idea che l’insegnante della scuola dell’infanzia fosse un ruolo relegato al femminile perché le maestre, in quanto donne, sarebbero più capaci di cure. «Oggi c’è ancora molta strada da fare per combattere questo stereotipo e avere maestri maschi in egual misura, ma posso dire di percepire molta professionalità nelle figure che incontro».
Rita è l’insegnante che tutti vorremmo per i nostri figli e per le future generazioni di cittadini. «Ho scelto di essere maestra perché è appassionante ed entusiasmante e dà la possibilità di lavorare con il futuro. Tuttavia, sembra che negli ultimi anni la scuola non sia più al centro dei pensieri della politica e questo mi dispiace molto perché è così che rischiamo di perdere il nostro futuro. Ai giovani auguro di fare scelte che siano solo loro, indipendenti e consapevoli».
Dieci donne che salvano la terra
Slow Food Italia – con il patrocinio e il contributo della Regione Piemonte – ha lanciato l’iniziativa Donne che salvano la terra per dare valore e voce alle donne piemontesi che, spesso nell’ombra, lavorano per custodire la terra, produrre cibo buono, pulito e giusto, cambiare il futuro. Donne che possono diventare fonte di ispirazione per le ragazze e i ragazzi che stanno compiendo il loro percorso di formazione scolastico e personale. Per scoprirle e raccontarle, Slow Food ha chiesto ai propri soci e simpatizzanti, appassionati gastronomi, attivisti sui temi dell’ambiente e operatori della società civile, giornalisti e blogger, di attivarsi e candidare la propria “donna che salva la terra”. Al termine della fase di candidatura, una commissione ha selezionato 10 donne, impegnandosi a diffondere le loro storie attraverso i canali di Slow Food Italia per mostrare con orgoglio il lavoro che ogni giorno realizzano.
Scopri le loro dieci storie grazie a: