Deficit di alfa-1-antitripsina: non vanno sottovalutati i risvolti psicologici della malattia

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I pazienti sono sottoposti a una condizione di stress che può sfociare in ansia e depressione: il ricorso ad uno psicoterapeuta può essere di aiuto

Tra le patologie croniche della respirazione e il prodursi di stati emotivi come l’ansietà esiste una diretta, seppur multisfaccettata, relazione, sottolineata dal fatto che le difficoltà respiratorie - con le conseguenze che hanno sull’organismo - pesano in maniera evidente su ogni attività quotidiana, arrivando a limitare anche le opportunità sociali di chi ne soffre. Il deficit di alfa-1-antitripsina (DAAT) è una condizione ereditaria che non sembra sfuggire a questa regola.

Una delle caratteristiche del deficit di alfa-1-antitripsina è quella di portare a un maggior rischio di sviluppo di malattie epatiche, panniculiti e vasculiti, ma soprattutto di patologie polmonari come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO); inoltre, è persino noto un collegamento tra il DAAT e le bronchiectasie. La manifestazione più grave ed evidente del deficit di alfa-1-antitripsina rimane l’enfisema polmonare, ma in molti casi possono presentarsi sintomi respiratori che coincidono con senso di costrizione toracica, dispnea, respiro sibilante e aumento della tosse con produzione di espettorato. Si tratta di un corteo di sintomi generici, che sono condivisi con altre patologie polmonari - tra cui proprio la BPCO - e che non si manifestano in maniera uguale in tutti i pazienti. Ecco perché è importante giungere tempestivamente a scoprire la presenza del DAAT e adottare, di conseguenza, uno stile di vita sano (con la rinuncia al fumo di sigaretta e la scelta di una dieta mirata ed equilibrata).

In particolare quando il DAAT si manifesta in epoca giovanile, in una fase di vita generalmente più attiva, l’impatto dei sintomi può determinare conseguenze significative anche sul piano psicologico. In quasi due terzi dei pazienti affetti da BPCO ansia e stanchezza pesano in maniera rilevante sulla qualità di vita. Nel caso del DAAT i numeri sono più sfumati ma nella sostanza il problema rimane il medesimo, e in non poche occasioni ha inizio proprio con la diagnosi. Come è ben spiegato anche sul sito dell’Associazione Alfa1-AT, le molteplici informazioni che ricadono improvvisamente sul paziente di nuova diagnosi, fra cui quella legata ai tratti ereditari del DAAT, la preoccupazione di dover condividere la notizia con i familiari (che potrebbero doversi sottomettere al test diagnostico) e di come questa possa esser accolta, nonché la possibilità di trasmettere la malattia ai figli, sono alcuni degli aspetti che causano un forte stress ed esacerbano un sentimento di ansia, conducendo in taluni casi alla depressione; sperimentare stati d’animo come la tristezza e la malinconia, o avvertire la perdita di interesse per attività che fino a poco tempo prima venivano svolte con gioia e motivazione significa, infatti, subire gli esiti dello stress emotivo. Alcune persone perdono l’appetito, non riescono a riposare bene e, in certi casi, si assiste anche a una compromissione del desiderio sessuale. Sono tutte problematiche che, se perdurano a lungo, possono concorrere a una diagnosi di depressione.

I confini dell’ansia e della depressione nelle malattie respiratorie come il COVID (specialmente nella condizione definita come Long-COVID), la BPCO o il DAAT tendono ad essere labili. Nel caso del deficit di alfa-1-antitripsina, l’impatto psicologico della patologia è determinato non solo da fattori intrinseci - come la natura ereditaria di questa condizione e le limitazioni da essa imposte - ma anche da una serie di fattori di natura estrinseca, ad esempio legati alla gestione della terapia.

Come osservano Tatsiana Beiko e Charlie Strange, due pneumologi dell’Università del South Carolina, autori di un interessante articolo pubblicato sulla rivista Therapeutics and Clinical Risk Management, l’insorgenza precoce della malattia polmonare nei pazienti con BPCO correlato al DAAT può condurre a esiti clinici e psicologici peggiori. “In uno studio condotto su persone affette da deficit di alfa-1-antitripsina - riportano i due autori - lo sviluppo della malattia in età più giovane, in particolare negli individui single, è stato collegato a sintomi depressivi maggiori e a una peggiore qualità della vita”.

L’andamento dei sintomi depressivi varia nei pazienti con DAAT e dipende da più elementi, tra cui la gravità della malattia, il tasso di progressione delle sue manifestazioni e la disponibilità di supporto da parte dei familiari più vicini o delle associazioni. Si sta ancora discutendo circa l’utilità della terapia farmacologica nei casi di ansietà collegati al DAAT, ma di certo il miglioramento dei sintomi respiratori ha effetto su quelli psicologici, per cui diventa fondamentale garantire l’aderenza alla terapia riabilitativa. Inoltre, può essere di beneficio consultare uno psicoterapeuta per cominciare un’eventuale terapia basata sulla consapevolezza, come la cosiddetta “mindfulness” che, attraverso la meditazione, concorre a modulare anche la respirazione, infondendo beneficio fisico e mentale al paziente.

È possibile imparare a convivere con il DAAT senza stravolgere la propria esistenza, come dimostra la storia di Enrico, ma bisogna seguire la terapia e accompagnarla con pratiche di riabilitazione respiratoria che, un po’ alla volta, possono ridurre il peso dei sintomi.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Enrico Orzes)