Dove l’oliva ascolana risorge: la sfida della famiglia Gregori, menzione speciale nella Guida Extravergini 2024

Forma allungata e irregolare, polpa compatta e croccante, sapore acidulo e retrogusto leggermente amaro: l’Oliva Ascolana Tenera è la varietà più identitaria del Piceno, oggi diffusa in tutta Italia – e oltre i confini nazionali – come la regina dello street food per eccellenza della tradizione marchigiana.

«Qui la conosciamo come Concia o Liva Ascolana. I latini la chiamavano colymbades, dal verbo greco, κολυμβαω (colymbáo), che vuol dire “io nuoto”, proprio in riferimento al suo metodo di conservazione – racconta Luca Gregori, che a Montalto delle Marche gestisce l’omonima azienda di famiglia insieme al fratello Stefano -. Nel 2009 abbiamo intrapreso questo ambizioso progetto per restituire all’olivicoltura i terreni che da generazioni erano destinati anche a colture cerealicole, vigneti e frutteti. Consapevoli dell’esperienza tramandata dai nostri nonni, ci siamo dedicati alla coltivazione dell’oliva ascolana del piceno, che nel 2006 ha ottenuto il riconoscimento della Dop».  

© Agenzia Ideacreativa

Una scelta che Luca e Stefano hanno perseguito negli anni attraverso cambiamenti agronomici e tecnologici: «la piantumazione di mille ulivi, l’inserimento di nuovi impianti di irrigazione, la dotazione di un frantoio personale e la creazione di un laboratorio di trasformazione dell’oliva in salamoia, che ci ha consentito di chiudere in azienda l’intera filiera produttiva». 

Ma in questi anni l’impegno dei fratelli Gregori non si è limitato alla salvaguardia di un’unica varietà. «Un altro prodotto distintivo della nostra azienda è l’olio monovarietale biologico ottenuto da oliva Lea, una cultivar autoctona del piceno, ottima impollinatrice dell’Ascolana Tenera, oggi ormai quasi scomparsa a causa della scarsa produttività e delle difficoltà di gestione della pianta». Un olio dal fruttato medio-intenso, con sentori di mandorla e carciofo, amaro e piccante, che nella Guida agli Extravergini 2024 ha ricevuto una delle menzioni speciali BioDea, volte a premiare i produttori capaci di curare e valorizzare al meglio varietà poco conosciute al grande pubblico.

L’obiettivo di Luca è infatti ampio e lungimirante: valorizzare la biodiversità del territorio per dimostrare il suo valore culturale, ambientale e paesaggistico. «L’italia è la prima nazione per patrimonio olivicolo genetico, ma lo stiamo perdendo a causa dell’abbandono degli oliveti e di conseguenza del mestiere dell’olivicoltore, sempre più difficoltoso e poco remunerativo. Gli anziani che li gestivano un tempo non li curano più, e i produttori di oggi non riescono ad affrontare i problemi legati a parassiti e patogeni».

Sinergia tra aziende, collaborazioni con istituti di ricerca, ma soprattutto politiche nazionali e comunitarie consce dell’importanza che riveste l’olivicoltura nel panorama agroalimentare: sono questi gli strumenti per far rinascere il settore e arginare il cambiamento climatico. 

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«Dal 2016 abbiamo convertito tutto in biologico. Combattiamo il problema della mosca con monitoraggio e campionamento delle olive, ma anche con metodi di prevenzione come la polvere di una roccia, il caolino, che ha la capacità di rendere le piante meno appetibili per la deposizione di uova da parte dell’insetto e di limitare gli stress termici. L’ultimo progetto che abbiamo realizzato riguarda lo sviluppo di una raccolta meccanica che eviti di ammaccare l’oliva e di una sensoristica applicata per monitorare il quantitativo di acqua che la pianta assorbe dal terreno, da irrigazione e dalle piogge».

Oggi sono tanti i miglioramenti apportati dal punto di vista della trasformazione, ma l’urgenza resta: abbiamo bisogno di una materia prima sempre più scarsa e soggetta a oscillazioni. 

«Non consideriamoci più consumatori, ma cittadini e cittadine con un potere d’acquisto capace di rivoluzionare il mercato – conclude Luca lanciando un appello -. Possiamo creare nuove opportunità per rafforzare le reti alimentari locali. Visitare una realtà del proprio territorio resta infatti il miglior modo per comprendere il lavoro di chi produce con rispetto per l’ambiente e per la salute. Se ci troviamo davanti a uno scaffale del supermercato superiamo la logica del prezzo, e pensiamo a tutto ciò che non è visibile dalla bottiglia: l’erosione genetica, la salvaguardia degli ecosistemi, la perdita delle varietà autoctone. E da questo pensiero costruiamo la nostra scelta. Porteremo a casa non solo un’extravergine di qualità, ma un pezzetto di biodiversità (e di futuro)».