A distanza di mesi si naviga nella nebbia per quanto concerne i veri costi di questa importante e surreale iniziativa governativa e a gettare ulteriori nubi sulla regolamentazione del superbonus. Quasi 11 mila imprese edili hanno gia’ chiuso. E’ certo che si sia trattato di una iniziativa che mancava di tutto un ecosistema, citiamo per esempio la possibilità non solo di trasferire il credito, ma anche, importantissimo, di cartolarizzarlo come si fa negli Stati Uniti da decenni, inserendolo nel portafoglio di fondi, assicurazioni, family office”.
E’ quanto si legge in una nota di Federcontribuenti nella quale si fa presente come ci si trovi in una situazione ”che sui crediti fiscali finora emessi si omette la possibilità della circolazione e una relativa monetizzazione con il risultato che si otterrà solamente il blocco delle attività, disoccupazione e fallimenti a catena, con buona pace del rapporto deficit/pil e della Commissione Europea e dei suoi relativi obblighi di mantenimento/riduzione del deficit importati dal patto di stabilità, oggi nuovamente approvato e revisionato”.
L’associazione dei consumatori rileva come il divieto mettere a rischio i cantieri gia’ avviati e gli obiettivi di efficientamento energetico voluti dal Pniec. ”Se, da una parte, vi è la necessità di salvaguardare i conti pubblici – si legge nella nota a firma del Presidente Marco Paccagnella e del Segretario Generale Flavio Zanarella – dall’altra non si può negare che la stretta del governo rappresenta l’ennesima modifica in corso d’opera della normativa vigente, creando confusione tra famiglie e imprese e bloccando gli interventi di riqualificazione avviata. Per non parlare dei costi enormi dovuti alle imprese che hanno chiuso e ai lavoratori stessi costretti a chiedere i sussidi come la Naspi con costi sulle spalle dello Stato o per meglio dire dei contribuenti costi dovuti appunto al fallimento di migliaia di imprese”.
Federcontribuenti ricorda inoltre che ”costruttori e altri professionisti del settore edile ritengono che il decreto e lo stop alle cessioni avranno effetti negativi per le imprese esecutrici degli interventi. Ciò perché molte imprese, affidandosi agli appalti in affidamento e alle CILAS già presentate, hanno già avviato le operazioni propedeutiche ai lavori di ristrutturazione e riqualificazione. Oltre alle imprese costruttrici – spiega la nota – lo stop incide in modo negativo sui beneficiari delle detrazioni fiscali che, pur avendo avviato gli interventi entro il 30 marzo 2024, come prevedevano le vecchie disposizioni, non avevano ancora sostenuto alcuna spesa in attesa di raggiungere la percentuale minima di avanzamento dei lavori richiesta”.