Allarme vaiolo delle scimmie: può colpire anche i nostri animali domestici?    - News Petme

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Negli ultimi mesi la comunità scientifica si sta interrogando sempre di più sulla questione “Mpox”, per capirne l’origine e indagare più affondo le modalità di trasmissione. Come avviene per tante malattie contagiose, è lecito chiedersi se anche i nostri pet possano essere infettati da questa malattia. A riguardo, si stanno ancora svolgendo delle indagini di approfondimento per capire le misure da adottare in caso di trasmissione del virus negli amici a quattro zampe

Fa molto discutere, negli ultimi giorni, la questione vaiolo delle scimmie, una malattia non mortale che sta colpendo soprattutto le persone fragili e i bambini. Sebbene non ci sia ancora la certezza, la comunità scientifica sta svolgendo analisi approfondite a seguito di alcuni eventi per capire se anche i nostri amici a quattro zampe possano essere infetti da questo virus e soprattutto quali siano le conseguenze sul loro organismo e sulla possibile trasmissione all’essere umano.

Noto anche con il nome Mpox, il vaiolo delle scimmie è una malattia zoonotica, ovvero una patologia che si può trasmettere tra animali ed esseri umani. Pur trattandosi di un’infezione già nota, individuata per la prima volta nel 1958 come malattia endemica (cioè presente stabilmente nella popolazione) nelle zone dell’Africa Centrale e Occidentale, la sua diffusione degli ultimi mesi anche in Europa ha destato non poche preoccupazioni.
Il nome della malattia risale alla sua prima comparsa nelle scimmie delle zone tropicali, scoperta attraverso una serie di prelievi condotti da un laboratorio danese. I risultati suggeriscono che il contagio possa essere stato trasmesso da piccoli mammiferi e roditori asintomatici, che sono giunti in quelle aree.


Il primo caso di vaiolo delle scimmie nell’essere umano viene invece registrato nel 1970 in alcuni villaggi rurali, mentre il primo focolaio al di fuori dell’Africa è stato segnalato nel 2003 negli Stati Uniti e nel 2022 tra i paesi membri dell’Unione Europea, a seguito dell’importazione diretta di alcuni mammiferi.
La recente comparsa di alcuni casi e i focolai rinvenuti nella Repubblica Del Congo, hanno fatto sì che la diffusione del virus diventasse presto un’emergenza sanitaria internazionale, come dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le forme di trasmissione della malattia da uomo a uomo o da uomo ad animale possono, infatti, verificarsi attraverso lo scambio di saliva o fluidi (ad esempio il sudore), con il respiro, ma anche entrare in contatto con carni contaminate dal virus o secrezioni infette può favorire il contagio.

Fino al 2024, non era mai stato osservato un caso di contagio nei nostri amici a quattro zampe e tutt’ora pare non ci siano prove certe che il vaiolo delle scimmie possa essere trasmesso agli animali domestici. Tuttavia, il recente ritrovamento di un cane con pustole e sintomi dell’infezione ha spinto i ricercatori a condurre indagini più approfondite.
Il primo avvenimento sospetto si è registrato a Parigi, quando un levriero di quattro anni ha manifestato le tipiche lesioni cutanee dodici giorni dopo la conferma della diagnosi di vaiolo delle scimmie ai due padroni con i quali era solito condividere il letto.

Dalle prime analisi condotte sul povero levriero sembrerebbe proprio lo stesso genoma virale che ha colpito anche i due uomini ad aver infettato l’animale. Secondo quanto affermato dalla ricercatrice Sophie Seang si tratterebbe di “una vera e propria malattia del cane, non una semplice presenza del virus causata dal contatto stretto con gli umani o dalla trasmissione per via aerea”, dimostrata dall’insorgere di lesioni cutanee e mucose riconducibili alla manifestazione del virus.


In assenza di altri casi su cui svolgere delle ricerche, le modalità di trasmissione uomo-animale domestico restano ancora poco chiare. Come poco chiare sono anche le specie animali che potrebbero infettarsi: per adesso sono riconosciuti a rischio di infezione formichieri, ricci e scoiattoli, mentre sembrerebbe impossibile per rettili, anfibi e uccelli nei quali non è mai stato riscontrato alcun virus proveniente dalla famiglia Poxviridae (la famiglia del vaiolo, da qui il nome della malattia).

Considerando questa situazione di insicurezza, i centri di ricerca medica consigliano alle persone che abbiano contratto l’infezione di isolarsi anche dai propri pet, così da ridurre al minimo il rischio di contagio. In caso si riscontrino sintomi come eruzioni cutanee, pustole e lesioni, tosse o febbre nei propri animali, bisogna innanzitutto fare attenzione ad evitare il contatto con occhi, naso, bocca, saliva e secrezioni dell’animale e segnalare il caso al veterinario che dovrà effettuare un test per confermare o meno la diagnosi di Mpox.

Al momento, la possibilità di trasmissione tra umani e animali domestici, sebbene rara, non può essere del tutto esclusa, come dimostra il caso del levriero a Parigi. Mentre la comunità scientifica continua a studiare questa malattia e le sue implicazioni, la consapevolezza e la precauzione rimangono le nostre migliori difese. Con un’informazione adeguata e un comportamento responsabile, possiamo fare la nostra parte per tutelare sia nostra salute che quella dei nostri amici a quattro zampe.

Foto: IPA

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Pietro Santini