Uno studio pubblicato su The Lancet Oncology e basato su dati real-world ha validato l’accuratezza prognostica della PSMA-PET
Tra la popolazione maschile italiana, un tumore su cinque si sviluppa nella prostata. Secondo le stime sono più di quarantamila le nuove diagnosi ogni anno ma, fortunatamente, i decessi provocati da questo tumore sono molti di meno (un quinto delle diagnosi) e la sopravvivenza a cinque anni dalla conferma diagnostica è superiore al 90%. Sono numeri che tratteggiano una condizione definita dall’alto volume di nuove diagnosi raggiunto anche grazie alla diffusione dell’esame del PSA (Prostate Specific Antigen), grazie a cui molti tumori vengono identificati già in fase asintomatica. Nel tempo, ciò ha spinto i medici ad affinare l’algoritmo terapeutico portando in superficie la necessità di strumenti accurati con cui distinguere i pazienti sulla base del rischio, identificando precocemente quelli con una prognosi di malattia peggiore.
In un articolo pubblicato alcune settimane fa sulla prestigiosa rivista The Lancet Oncology, un gruppo di studio tedesco ha validato su un’ampia casistica di persone un metodo che combina l’utilizzo della PSMA-PET e i criteri PROMISE (Prostate Cancer Molecular Imaging Standardized Evaluation), pubblicati nel 2018 e oggetto di revisione clinica nel 2023.
Nelle fasi iniziali il cancro della prostata può essere asintomatico e, pertanto, difficilmente rilevabile; solo man mano che cresce di dimensioni può associarsi alla comparsa di sintomi quali dolore nella minzione, presenza di tracce ematiche nelle urine o difficoltà ad urinare. In molte situazioni la diagnosi comincia col dosaggio del PSA - che però non è un marcatore specifico di malattia bensì è collegato allo stato di salute della prostata e può subire alterazioni anche in presenza di altre condizioni, tra cui l’iperplasia prostatica benigna - e con l’esplorazione digito-rettale. Tuttavia, il gold-standard nella diagnosi di questo tumore è la biopsia prostatica eseguita con supporto ecografico, che permette di prelevare alcuni frammenti di tessuto da analizzare in laboratorio.
Con gli anni, gli urologi hanno indagato la possibilità di utilizzare vari marcatori a supporto del valore del solo PSA, in modo da riconoscere con crescente precisione la presenza di un tumore prostatico, e nel 2012 è stato introdotto in clinica l’esame della PSMA-PET, che si basa sulle capacità di legame di un tracciante (68Ga o 18F) con il PSMA, cioè il PSA collocato sulla membrana esterna delle cellule neoplastiche. Questo legame restituisce un quadro complessivo accurato dell’estensione della malattia - solo alla prostata, oppure ai linfonodi o altre sedi dell’organismo. Fin da subito questa tecnica ha dimostrato enorme accuratezza nella localizzazione del tumore a qualsiasi stadio ed è stata quindi utilizzata per la stadiazione del tumore e per la ricerca di eventuali metastasi.
Infatti, tra gli obiettivi che i medici ancora si pongono c’è quello di trovare le correlazioni tra i risultati della PSMA-PET e la sopravvivenza dei pazienti. Un’informazione fondamentale per suddividerli in gruppi di rischio e impostare il percorso terapeutico più adatto. I criteri PROMISE sono stati stabiliti proprio per affiancare i medici in quest’opera di classificazione ma, fino ad ora, non erano state condotte indagini estese su popolazioni ampie, che disponessero di sufficienti dati di follow-up per correlare i risultati della PSMA-PET con i criteri PROMISE.
Perciò, dopo aver raccolto i dati in real-world di 2.414 uomini con cancro alla prostata a qualunque stadio, i medici tedeschi hanno confrontato i risultati istologici con gli esiti della PET e classificato i pazienti in sottogruppi. La PSMA-PET è stata eseguita a seconda delle indicazioni - classificazione iniziale a intermedio-alto rischio, localizzazione del tumore o presenza di metastasi - in maniera tale da ottenere i dati (status TMN, numero di lesioni, volume tumorale, captazione tumore) necessari all’applicazione dei criteri PROMISE. Infatti, dalle immagini della TAC o PET si possono ricavare - con l’aiuto di potenti software informatici - preziose informazioni per personalizzare la diagnosi e la terapia delle persone, specie di quanti risultano affetti da forme tumorali in fase avanzata.
I ricercatori hanno dunque ricalcolato i dati e con essi hanno diviso i pazienti in gruppi ad alto e basso rischio osservando come la suddivisione basata sull’elaborazione delle informazioni della PSMA-PET correlasse in maniera solida con la sopravvivenza dei pazienti. “Abbiamo validato l’accuratezza prognostica in coorti interne ed esterne di pazienti ottenendo prestazioni uguali o superiori rispetto a quelle fornite dai punteggi di rischio clinico stabiliti (ad esempio dall’International Staging Collaboration for Cancer of the Prostate, European Association of Urology e dal punteggio di rischio del National Comprehensive Cancer Network)”, riportano nel testo. “Abbiamo quindi stabilito il ruolo prognostico della PSMA-PET nella valutazione dei tumori prostatici in fase precoce e avanzata”.
Attualmente, infatti, la valutazione del rischio e la risposta al trattamento è basata sui valori di PSA e sugli esiti delle valutazioni strumentali ma si stanno facendo largo nuove opzioni - non ultima la valutazione del DNA tumorale circolante o l’impiego di test di trascrittomica. L’accuratezza della PSMA-PET ne fa uno strumento fortemente raccomandato per la stazione o la ri-stadazione del tumore dopo la terapia. E per corroborare questa conclusione è stato avviato un nuovo studio clinico multicentrico - PROMISE-PET - allo scopo di estendere ulteriormente la casistica di studio e raggiungere i diecimila pazienti.
L’articolo su The Lancet Oncology del gruppo di ricerca tedesco è accompagnato da un editoriale che spiega come l’approccio con i radioligandi possa trovare utilizzo anche per la terapia di alcune forme di tumore, abbozzando un panorama di grandi cambiamenti che potrebbe avere profonde ripercussioni sulla diagnosi e la terapia di questa e di altre forme di tumore.