IA e sanità digitale: la vera svolta è nei dati clinici - FPA

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L’adozione dell’intelligenza artificiale in sanità offre opportunità significative, dalla medicina di precisione alla diagnostica avanzata. Tuttavia solleva anche preoccupazioni etiche e sociali, legate in particolare ai rischi dell’automation bias. In questo contesto, la qualità dei dati è cruciale. In vista del prossimo FORUM Sanità 2024, ne abbiamo parlato con Maria Immacolata Cammarota, Capo progetto FSE del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, e a Fabrizio D’Alba, Direttore Generale del Policlinico Umberto I e Presidente Federsanità

27 Settembre 2024

Foto di 和国 谢 su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/uomo-in-giacca-nera-e-pantaloni-neri-che-tengono-ragazzo-in-camicia-arancione-C7BQ0W1GGDg

L’uso dell’intelligenza artificiale in sanità comporta un dilemma etico legato alla valutazione del rischio dell’automation bias e un dilemma sociale legato alla sovravalutazione del rischio occupazionale: aspetti che devono essere attentamente considerati e gestiti. I rischi però coincidono con le opportunità. L’IA sta aprendo molte prospettive: dalla medicina di precisione alla diagnostica come ausilio al processo decisionale, dalla ricetta dematerializzata al consolidamento dell’assistenza territoriale.

Le piattaforme di IA e business intelligence sono tanto più forti ed efficaci quanto più complete saranno le basi dati. Ma come evitare che si arrivi a modelli predittivi non veritieri, che si attivino meccanismi eticamente discutibili e che si incorra in pericoli di bias? Su quali leve si sta lavorando per potenziare la qualità del dato, dal punto di vista dell’appropriatezza, della coerenza, della tempestività e del consolidamento semantico?  Quali misure e iniziative sono necessarie per gestire l’esposizione delle persone all’intelligenza artificiale e per sfruttare i casi di complementarità tra competenze umane e competenze artificiali?

Lo abbiamo chiesto a Maria Immacolata Cammarota, Capo progetto FSE del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, e a Fabrizio D’Alba, Direttore Generale del Policlinico Umberto I e Presidente Federsanità, in vista del prossimo FORUM Sanità 2024 e della loro partecipazione come relatori allo scenario Dall’AI alla Data-driven Health: un viaggio nella Sanità del domani.

Sanità Digitale: dati clinici, la svolta per salute, ricerca e programmazione

“Il dato da solo è un tracciato record, non è utile quasi a nessuno, Maria Immacolata Cammarota.

Avremo finalmente dati clinici e potremo utilizzarli non soltanto per la cura, la prevenzione, la diagnosi, ma anche per la ricerca e la programmazione. Maria Immacolata Cammarota spiega come questi dati saranno fondamentali nella costruzione dell’ecosistema dati sanitari, che avrà caratteristiche di sicurezza perché si basa sul modello federato con unità di archiviazioni regionali. Il che significa che il dato resta lì dove è generato, senza che sia corrotto o duplicato. Non solo. La data quality garantisce anche l’interoperabilità fra le regioni.

“L’ecosistema ha come presupposto il fatto che la sanità digitale sarà standardizzata. Avremo lo standard dati in FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resource), così come il documento PDF e CDA2 (Clinical Document Architecture) firmati PAdES e questo standard comporterà un linguaggio comune per tutte le regioni”, sottolinea Cammarota. 

‘Linguaggio comune’ vuol dire ‘coerenza di linguaggio’ e la coerenza porta alla coesione tra tutti gli attori della sanità (il territorio, strutture private accreditate, private autorizzate, aziende ospedaliere, aziende pubblici, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, tutti gli operatori sanitari).

Si avrà così il dato che, contestualizzato nel tempo e nello spazio e correlato all’evento clinico che lo ha generato, diventerà informazione. In sequenza, l’informazione diventerà conoscenza per tutti gli attori, e dalla conoscenza deriverà la consapevolezza di poter utilizzare i dati a supporto di ogni decisione.

Solo garantendo questa pulizia, questa congruità e questa omogeneizzazione del dato per tutte le regioni italiane, sarà poi possibile far confluire i dati su qualsiasi strumento di intelligenza artificiale.

“Fino a ieri parlavamo di big data, oggi è importante parlare di good data. Sul dato buono la conoscenza è buona, la consapevolezza è buona e la saggezza su questi dati potrà essere buona”, precisa Cammarota.

Sanità e IA: l’importanza di un quadro normativo armonico per l’uso dei dati

“Occorre fare una serie di considerazioni in riferimento alla necessaria implementazione e messa a regime di soluzioni e strumenti di intelligenza artificiale nell’ambito delle ordinarie attività delle nostre strutture sanitarie”, precisa D’Alba. “Da un lato, bisogna considerare la possibilità di utilizzo delle informazioni da parte degli strumenti di intelligenza artificiale ai fini delle attività cliniche; dall’altro, occorre valutare l’output che ne deriva”.

“Siamo in un contesto nel quale, soprattutto in alcuni ambiti dell’attività di presa in carico clinica, disponiamo di una serie di dati potenzialmente puntuali riguardanti lo stato dei cittadini, disponibili su piattaforme nazionali e regionali (esami diagnostici, documentazione clinica, ecc.). Abbiamo un bacino informativo potenzialmente molto ricco, ma, – continua D’Alba – a causa della mancanza di un sistema armonico di regole che permetta di utilizzare pienamente queste informazioni con le potenzialità della tecnologia, siamo nelle condizioni di non poter utilizzare appieno questo potenziale”.
Dal disegno di legge recante disposizioni e deleghe in materia di intelligenza artificiale (DDL IA), che reca la delega legislativa al Governo per l’adeguamento della normativa italiana all’AI Act, al Regolamento del Parlamento Europeo COM (2021) 206 final, che definisce le regole armonizzate sull’IA, occorre intervenire su aspetti di tipo normativo e regolatorio.
Fabrizio D’Alba solleva alcuni interrogativi riguardo a una questione attualmente emergente: il Fascicolo Sanitario Elettronico. Il tema centrale è: cosa deve essere inserito al suo interno? E, di ciò che viene inserito, quanto potrà essere utilizzato, anche in virtù delle autorizzazioni dei cittadini? Si sta cercando di bypassare il problema del dato analitico, attraverso l’uso di dati più sintetici o delle misure o dei dati indiretti sullo stato di salute del cittadino, al fine di fornire un bagaglio di informazioni utili ai professionisti.

Evidenzia Cammarota, “Avremo dati pseudonimizzati per alcune finalità con caratteristiche di estrema sicurezza, e dati anonimizzati per altre finalità”. Il dato sintetico è un dato anonimizzato, che garantisce un elevato livello di sicurezza per chi lo ha creato e permette di correlare eventi. Se dobbiamo valutare l’appropriatezza di una cura per una determinata patologia, è necessario seguire il percorso terapeutico nel tempo. Il dato sintetico consente di fare ciò senza tracciare specificamente la persona, permettendo di monitorare l’andamento in modo anonimo. La ricerca ha, per questo, limitate applicazioni con dati puramente anonimi; questi diventano statici e non consentono correlazioni temporali.

Si raccomanda l’uso dei dati sintetici anche nella piattaforma di intelligenza artificiale a supporto dell’assistenza primaria gestita dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. E per ovviare alla mancanza di una valida policy e di una governance completa, AGENAS ha dedicato un’intera sezione nel documento descrittivo degli obiettivi e dei requisiti funzionali della piattaforma, stabilendo che la stessa deve essere allineata all’articolo 10, “Dati e governance dei dati”, del Regolamento del Parlamento Europeo COM (2021) 206 final.

Il dato sintetico rappresenta quindi una prospettiva futura importante, anche se la sua creazione richiede competenze specifiche e un’attenta progettazione.

Promuovere l’appropriatezza predittiva nelle comunità professionali

Si può dire che il dato è fondamentale. Averlo a disposizione e poterlo utilizzare significa metterlo a disposizione dei professionisti per svolgere il loro lavoro in modo diverso. Esiste però un elemento di criticità nell’inserimento di strumenti di IA nel nostro sistema. Bisogna superare la percezione che questi strumenti siano sostitutivi dell’agire professionale, anche in presenza di potenti e solide banche dati. Una riflessione, questa, posta dal Presidente D’Alba e ampiamente condivisa anche dalla comunità scientifica.

L’intelligenza artificiale è uno strumento che può rendere più accurata l’attività dei professionisti, semplificarla, ridurre il tempo necessario e limitare alcuni aspetti di rischio, attraverso una serie di alert, suggerimenti e indicazioni, avendo ben chiaro che il momento finale, che corrisponde alla comprensione del bisogno e alla qualificazione di un bisogno diagnostico o alla definizione di un piano terapeutico o integrativo, rimane esclusivamente competenza dei professionisti. È necessario però che il mondo dei professionisti non sia reticente all’uso dell’IA. Il clinico deve essere incline ad accettare l’introduzione di strumenti innovativi, e il data scientist deve dotarsi delle competenze necessarie per comprendere il più possibile il punto di vista delle problematiche del clinico.

“Bisogna far sì che la comunità dei professionisti abbia una conoscenza delle possibilità in campo, abbia delle competenze nell’ambito dell’utilizzo di questi strumenti e abbia delle abitudini”, afferma Fabrizio D’Alba.

Questi strumenti diventeranno sempre più strumenti di uso quotidiano nell’agire professionale, pertanto questa è una grande sfida dei sistemi (non solo sanitari, ma anche quelli di formazione), far sì che oggi entri nella pratica ordinaria, nello zaino delle competenze di base dei professionisti della salute. “Dobbiamo creare una categoria di professionisti pronta ad accogliere ciò che verrà”.

Si stanno sperimentando delle soluzioni che possano dare un supporto anche nella pratica quotidiana, però ancora prima di fare questo passo è necessario partire da una base che sia solida per poter costruire i decision support system.

I dati sono di supporto al medico, assolutamente non in sostituzione.

Formazione: adeguare le competenze per un futuro digitale in sanità

L’introduzione degli strumenti di intelligenza artificiale in qualche modo comporta anche delle diffidenze da parte di molti. Si crede che l’intelligenza artificiale possa sostituire il lavoro umano, ma è importante comprendere che la competenza artificiale e quella umana possono collaborare e coesistere.

“Tra le preoccupazioni dei medici, emerge il rischio che l’automatizzazione di alcune attività possa condurre a errori (55% degli specialisti e 59% dei MMG) e che l’introduzione dell’IA nella pratica clinica possa diminuire il valore del giudizio clinico basato sull’esperienza professionale (53% e 56%)”, secondo i dati dell’ultima ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

“L’intelligenza artificiale può sostituire l’uomo nelle attività automatizzabili. Ad esempio, sono in corso sperimentazioni dell’uso dell’IA per gestire le liste d’attesa e altre attività amministrative, al fine di migliorare l’accesso e ridurre i tempi in diversi settori. In questi ambiti, l’IA è molto utile perché permette di mettere a frutto i dati disponibili, aumentando l’efficienza del sistema sanitario. L’uso dell’IA per analizzare grandi volumi di dati è fondamentale per migliorare le prestazioni e ottimizzare i processi. Sul piano amministrativo, governativo e programmatico, l’IA può fornire insight reali che aiutano a prendere decisioni informate, come aprire nuove agende, chiudere ambulatori poco utilizzati o ottimizzare la logistica. Tuttavia – sottolinea Cammarota – per quanto riguarda la cura dei pazienti, l’intervento umano rimane indispensabile”.

Per il Presidente D’Alba, è necessario investire sia sul personale in formazione (questo è un tema delle università) sia sul grande capitale umano già arruolato. Esiste quindi la necessità di adeguare le competenze, le abilità e le conoscenze dei nostri professionisti a questo tipo di futuro.

Per quanto riguarda la formazione, è prevista l’inclusione di specifici piani formativi; nell’ambito del personale già arruolato, si prevede una formazione sul campo, inclusa una formazione post lauream sull’utilizzo di questi strumenti. Naturalmente, tutto ciò è strettamente collegato al momento in cui questi strumenti saranno disponibili su ampia scala. Mentre per il capitale umano, esiste un’altra questione: cosa cambierà con l’implementazione sempre più importante di nuovi strumenti nella composizione delle nostre dotazioni organiche? Avremo bisogno di personale che svolga le stesse mansioni in modo diverso, poiché questi nuovi ausili professionali richiedono un adattamento. Il chirurgo, ad esempio, ha dovuto imparare a operare prima con la laparoscopia e poi con il robot.

Oggi la sfera dei professionisti dovrà essere abituata a fare questo. Ci vorranno nuove competenze nelle aziende in termini di competenze più verticali sulle tecnologie. E questo che cosa comporterà? Che forse qualcuno si dovrà riqualificare – non penso solo ai medici, penso anche alle altre professioni, anche nono sanitarie – si dovrà pensare in un lavoro diverso, perché pensate nell’organizzazione, nell’amministrazione, qualcosa la potrebbe fare la macchina, quindi noi ci pensiamo tanto alla sfera clinica, ma c’è una sfera organizzativa in cui invece la sostituzione potrebbe essere più forte.
Il nostro sistema è un sistema che ha meno risorse di quelle di cui avrebbe bisogno, quindi il tema è se l’intelligenza artificiale permetterà tra virgolette di risparmiare tempo-uomo, ciò non si tradurrà in un taglio degli organici, ma semplicemente nella focalizzazione delle risorse su altre linee di attività che oggi dobbiamo presidiare. Chiudo dicendo: è un fenomeno che non si può contrastare, perché comunque il mondo va in quella direzione e sarebbe sciocco non cogliere le opportunità che da queste possibilità derivano. Evidentemente bisogna farlo con un opportuno realismo, anche perché l’ambito della salute è un ambito specifico nel quale fondamentalmente le implementazioni devono essere delle implementazioni realmente collegate a una certezza che sia il momento giusto. Quindi non ci nascondiamo, siamo in prima linea, accompagniamo un cambiamento che investirà il mondo dei professionisti, le organizzazioni, ma, attenzione, poi ci sarà un momento che anche il cittadino dovremo coinvolgere in tutto questo.
ci sarà perché ci sarà una rimodulazione dei team e nei team dovremo mettere sempre figure più verticali sull’ambito tecnologico che oggi non abbiamo, per esempio. Quando abbiamo delle necessità abbiamo degli specialists esterni che intervengono.  Se diventeremo organizzazioni con un forte utilizzo di questi strumenti dovremo creare proprio delle competenze nostre su questo.
“In sanità digitale le competenze sono veramente poche. La sanità digitale, essendo molto verticale, è un ramo in cui non c’è tantissima offerta, perché conoscere, essere competenti nel dominio della sanità e avere competenze tecnologiche e degli standard nuovi di interoperabilità, quindi di formati, dati e documenti non è banale”, sottolinea Cammarota.

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