Il prof. Michele Emdin illustra le numerose sperimentazioni in corso presso la Fondazione Monasterio di Pisa, sia per la malattia da catene leggere che per quella da transtiretina
“Come diceva William Osler, il padre della medicina moderna, nella terapia ci sono tre stadi: diagnosi, diagnosi e diagnosi. Questo è valido in medicina in senso lato, e ancora di più nell'amiloidosi”. Esordisce così Michele Emdin, professore di Cardiologia alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e direttore del Dipartimento Cardiotoracico della Fondazione Monasterio: è stato lui a diagnosticare la malattia al noto fotografo Oliviero Toscani, 82 anni, che ha rivelato al Corriere della Sera di essere affetto da amiloidosi da poco più di un anno.
IL DEPOSITO DI AMILOIDE E LA FIBROSI
L'amiloidosi, come spiega Emdin, è uno dei meccanismi stereotipati di malattia nell'organismo umano (gli altri sono l'infiammazione, la fibrosi e la metaplasia adiposa): in questa condizione, specifiche proteine amiloidi si depositano nell'interstizio cellulare, come avviene nell'amiloidosi cardiaca, oppure nelle cellule, come nel caso della malattia di Alzheimer, che è causata dalla deposizione di proteina beta-amiloide all’interno dei neuroni. “Il nostro gruppo, nel 2021, ha dimostrato che la deposizione di proteina amiloide nel cuore provoca anche una reazione fibrotica, e questo è importante perché ha delle implicazioni terapeutiche”, prosegue il prof. Emdin. “L'espansione dell'interstizio cellulare è quindi legata a due fenomeni patologici: il deposito di amiloide e la fibrosi. Una strategia di trattamento è quella di stabilizzare la proteina, ma possiamo agire anche a monte e a valle di questo anello della catena amiloidogenica”.
LA DIAGNOSI È ANCORA TROPPO TARDIVA
“Il problema è che l'amiloidosi è una malattia sottodiagnosticata: molti pazienti arrivano drammaticamente alla diagnosi dopo due o tre ricoveri ospedalieri e dopo numerose visite specialistiche, e questo fatto, ovviamente, ritarda anche la terapia”, spiega l'esperto. “Ciò che sta accadendo attualmente è un aumento della “clinical awareness”, cioè della consapevolezza clinica da parte della platea dei medici, grazie al fatto che molti centri, fra i quali il nostro, hanno aumentato l'opera di informazione: si trova quello che si cerca e si cerca quello che si sa”.
Per riconoscere l’amiloidosi e distinguere le sue varie forme ci si avvale di test ematologici, con la valutazione delle catene leggere nel sangue, della scintigrafia e poi, a seconda della positività o negatività alla scintigrafia, si procede con l'esecuzione di una risonanza magnetica o di una biopsia. Oltre a questi strumenti, il gruppo di Pisa ha dimostrato che, specialmente nell'amiloidosi a catene leggere (AL), è utile anche la PET (tomografia a emissione di positroni), e sta ora validando l'uso della TAC; ha dimostrato, inoltre, che i biomarcatori cardiaci (troponina e NT-proBNP) hanno una funzione diagnostica, oltre che prognostica.
Ci sono circa 40 forme di amiloidosi ma quelle principali, sistemiche, che colpiscono il cuore e altri organi vitali, sono due: quella da catene leggere e quella da transtiretina.
LE OPZIONI TERAPEUTICHE PER L'AMILOIDOSI DA CATENE LEGGERE
L'amiloidosi da catene leggere (AL) è legata a una neoplasia del midollo osseo, il mieloma multiplo, oppure a un “mieloma smoldering”. La malattia è causata da un clone plasmacellulare che produce un anticorpo monoclonale, il quale viene degradato: i frammenti della degradazione formano le fibrille amiloidi nel cuore, nel rene e in altri tessuti. Per 'chiudere il rubinetto' della produzione di questa proteina è necessaria una chemioterapia. Oltre a quest'ultima, e all'autotrapianto di cellule staminali, che sono le terapie standard, negli ultimi anni si è vista l'efficacia di anticorpi monoclonali che colpiscono la cellula produttrice dell'anticorpo (come il farmaco daratumumab, recentemente approvato anche in Italia) oppure che si legano alle fibrille amiloidi depositate nell'organo (queste ultime molecole sono in via di sperimentazione). Normalmente le fibrille non vengono riconosciute dal sistema immunitario e quindi non vengono eliminate: questi anticorpi, invece, opsonizzano la fibrilla amiloide, la fanno riconoscere come “non self” e il sistema immunitario, con i fagociti macrofagi, la elimina dal tessuto.
LE OPZIONI TERAPEUTICHE PER L'AMILOIDOSI DA TRANSTIRETINA
La transtiretina è una proteina che ha la funzione fisiologica di trasportare la vitamina A e la tiroxina (l'ormone tiroideo) a tutti i tessuti. Esistono due forme di amiloidosi correlata a questa proteina: quella ereditaria, geneticamente determinata, e quella causata da transtiretina wild type (la più diffusa, quella che ha colpito appunto Oliviero Toscani). Pochi mesi fa il gruppo del prof. Emdin ha pubblicato i risultati di uno studio di screening di popolazione non selezionata sopra i 65 anni, chiamato CATCH, il quale ha dimostrato che la percentuale di pazienti affetti da amiloidosi da transtiretina wild type è lo 0,5 per cento: questo significa che non si tratta più di una malattia rara.
“Per trattare l'amiloidosi da transtiretina (ATTR) – sottolinea il cardiologo – il farmaco che viene utilizzato attualmente è il tafamidis, uno stabilizzatore del tetramero. La transtiretina è una proteina tetramerica, cioè con quattro parti, che nelle forme di amiloidosi è malata e va incontro a una destabilizzazione e a una degradazione, con la formazione di trimeri, dimeri e monomeri, che sono i ‘mattoni’ delle fibrille amiloidi. Farmaci come tafamidis – uno in sperimentazione avanzata si chiama acoramidis – tendono a stabilizzare il tetramero, impedendo la formazione dei monomeri che si sono mal ripiegati (misfolded) e che si impilano andando a formare la fibrilla amiloide. In passato si usava anche un antinfiammatorio, il diflunisal”.
Oggi gli specialisti possono avvalersi anche di altri farmaci: i cosiddetti siRNA (small interfering RNA), come patisiran e vutrisiran, o gli ASO (oligonucleotidi antisenso), come inotersen, che bloccano la trascrizione del gene che codifica per la transtiretina. Questi farmaci sono già in commercio e si usano nella forma di malattia ereditaria a fenotipo neurologico. All'ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC), tuttavia, sono stati presentati i risultati di uno studio (HELIOS-B) il quale dimostra che vutrisiran è efficace anche nell’amiloidosi ereditaria da transtiretina con cardiomiopatia.
Un'altra possibile strategia è quella di agire a monte con l'editing genomico e, in particolare, con la tecnica CRISPR-Cas9. “Un lavoro pubblicato nel 2021 sul New England Journal of Medicine dal gruppo di Julian Gillmore - continua Emdin - ha dimostrato, in alcuni pazienti con amiloidosi da transtiretina, (ma uno studio di Fase III in corso, chiamato MAGNITUDE, al quale partecipiamo anche noi, tende a dimostrarlo in una popolazione più ampia) che è possibile editare direttamente il gene che codifica per la proteina. Con una singola iniezione nel corso della vita – a base della molecola NTLA-2001, prodotta da Intellia Therapeutics – si va a sostituire la sequenza di DNA che trascrive la proteina mutata: questo significa 'chiudere il rubinetto', come con la chemioterapia nell'amiloidosi da catene leggere. Questo approccio rappresenta il futuro della medicina e si potrà utilizzare in tutte le malattie monogeniche”.
COME ELIMINARE LA SOSTANZA AMILOIDE GIÀ DEPOSITATA?
Il medico, però, non può accontentarsi di bloccare il deposito di amiloide: deve anche liberarsi di tutta quella sostanza che si è già accumulata, soprattutto se la diagnosi è stata tardiva. È possibile farlo con gli anticorpi monoclonali, che nel caso dell'amiloidosi da catene leggere sono il birtamimab (il gruppo di Emdin sta partecipando alla sua sperimentazione e il farmaco ha già un'evidenza di efficacia) e l'anselamimab, entrambi in fase di sviluppo clinico.
Anche nell'amiloidosi da transtiretina sono stati messi a punto alcuni anticorpi monoclonali umanizzati che hanno la stessa funzione. Il primo, prodotto da Alexion, si chiama ALXN2220: è in corso la sua valutazione in uno studio di Fase III, nel quale Emdin ha il ruolo di national leader italiano. Il secondo, sviluppato da Novo Nordisk, si chiama coramitug (o NNC6019-0001): nelle sperimentazioni di questa molecola, che è ora in Fase II e che inizierà la Fase III nel 2025, Pisa è stato il più importante centro di reclutamento dei pazienti.
“A questo punto si potrebbe pensare che abbiamo chiuso il cerchio”, conclude il prof. Emdin. “E invece no: perché il paziente affetto da amiloidosi con cardiomiopatia ha uno scompenso cardiaco legato alla fibrosi causata dal deposito di amiloide, quindi deve essere usata anche una terapia per lo scompenso che abbia una funzione antifibrotica; terapia che in questo caso è rappresentata dagli inibitori di SGLT2 (farmaci nati come antidiabetici), dai beta-bloccanti e dagli antialdosteronici”.