Per cinque anni, la vicenda di un enigmatico beluga ha sollevato parecchie domande, ora affrontate in un documentario appena pubblicato dalla BBC. Attraverso testimonianze e analisi, “Secrets of the Spy Whale” cerca di ricostruire il passato di Hvaldimir e di far luce sul presunto addestramento militare ricevuto in una base russa nel Circolo Polare Artico, non distante dal luogo in cui il suo corpo senza vita è stato ritrovato pochi mesi fa
Era il 2019 quando un esemplare di beluga catturò l’attenzione di alcuni pescatori avvicinandosi alla loro imbarcazione al largo dell’isola di Ingøya, nell’estremo nord della Scandinavia.
Il motivo per cui il cetaceo si era spinto così vicino all’uomo non era casuale e Joar Hesten, capitano della nave, capì subito che si trattava di una disperata richiesta d’aiuto.
Il beluga era infatti intrappolato in un’imbracatura che gli provocava delle ferite e si era avvicinato nella speranza di essere liberato. Un comportamento che testimonia l’intelligenza di questi animali ma che, allo stesso tempo, sollevò più di un dubbio tra i membri dell’equipaggio, dato che gli incontri ravvicinati tra uomo e balena non sono poi così frequenti.
Una volta rimossa l’imbracatura, i dubbi non sono diminuiti. Un’estremità mostrava lo spazio presumibilmente destinato a una telecamera, mentre su un altro lembo si leggeva una scritta inequivocabile: “equipaggiamento di San Pietroburgo”.
La situazione sembrava chiara: doveva trattarsi di una balena-spia russa, addestrata nella vicina base militare di Murmansk per compiere chissà quale indagine o azione bellica, come accadeva di frequente nel periodo della guerra fredda.
Questa teoria trovò in effetti da subito ottimi riscontri, anche grazie alle numerose documentazioni raccolte nel corso degli anni, che attestavano la veridicità di pratiche di questo tipo all’interno del regime dell’URSS. Foche, balene e delfini venivano regolarmente addestrati per svolgere compiti di spionaggio o di difesa, sebbene gli ultimi siano stati impiegati per un periodo ridotto perché difficilmente riuscivano a sopravvivere alle temperature estreme del mar Glaciale Artico e l’addestramento si trasformava per loro in un’ecatombe.
Tale ipotesi avrebbe spiegato anche il singolare comportamento del cetaceo, che sembrava perfettamente a suo agio con gli esseri umani e che, una volta liberato dal fastidioso imbrago, invece di dileguarsi al largo, come avrebbe fatto un qualsiasi animale selvatico, continuò a seguire i pescatori fino al vicino porto di Hammerfest, diventando poi un’attrazione per la popolazione locale. Il cetaceo si è anche guadagnato il soprannome di Hvaldimir, un gioco di parole tra “hval”, che in norvegese significa balena, e Vladimir, in riferimento al capo di Stato russo, Vladimir Putin.
Per anni Hvaldimir è così stato ritenuto una spia in missione per conto del Cremlino e il misterioso ritrovamento del suo corpo privo di vita e ricoperto di ferite, avvenuto a settembre su una spiaggia nel sud della Norvegia, non ha fatto altro che avvalorare la tesi iniziale e alimentare ulteriori fantasiose teorie.
Dall’altro lato, la Russia non ha mai dato conferme né tantomeno risposto alle accuse, contribuendo così a creare un alone di mistero attorno alla vicenda.
Ed è proprio per rispondere a tutte le domande sorte negli ultimi cinque anni, che la regista britannica Jennifer Shaw ha iniziato a mettere in ordine i fatti e a raccogliere testimonianze cruciali per la ricostruzione della vicenda, racchiuse in un documentario pubblicato la scorsa settimana dalla BBC con il titolo di “Secrets of the Spy Whale”, i segreti della balena spia.
Indizi preziosi sul passato di Hvaldimir provengono dalla dottoressa Olga Shpak, un’esperta di mammiferi con oltre 30 anni di esperienza in Russia. Secondo la studiosa, il cetaceo sarebbe stato prelevato dall’esercito russo da un delfinario di San Pietroburgo, per essere poi addestrato ed inserito di recente nei programmi di difesa del Cremlino. Una conferma parziale delle teorie iniziali, dato che ciò che è emerso è che non si tratta di una spia, ma di una sorta di guardiano, posto a difesa della base situata nella zona del Circolo Polare Artico, dalla quale sarebbe poi fuggito a causa del suo comportamento ribelle.
Anche le circostanze della morte del beluga, ritenute sospette fino a poco tempo fa, sono state chiarite. Le evidenti ferite rinvenute sul corpo di Hvaldimir erano superficiali e in nessun modo avrebbero potuto uccidere un gigante del peso di oltre una tonnellata. Di certo non si trattava di ferite di arma da fuoco come suggeriva qualche complottista.
Sarebbero invece del tutto naturali le cause che hanno impedito al cuore del cetaceo di continuare a battere, come conferma la polizia norvegese a seguito di accurate analisi, che non hanno comunque posto fine ai dibattiti.
Bisognerebbe piuttosto porre fine, all’impiego di animali in operazioni di guerra, una delle tante dimostrazioni della meschinità dell’essere umano. Ci auguriamo che “Secrets of the Spy Whale” non solo sveli un mistero che ha incuriosito il mondo per cinque anni, ma favorisca anche una profonda riflessione su queste pratiche aberranti, contribuendo a prevenire inutili tragedie, tanto per gli uomini quanto per gli animali.
In apertura: Questo scatto di Hvaldimir dovrebbe aiutarci a comprendere le dimensioni dei beluga, particolari cetacei che pesano più di una tonnellata e misurano oltre cinque metri.
Foto: @oxfordscientificfilms
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