La Vigilanza rimanda all’11 dicembre 2024, il Tar del Lazio al 4 marzo 2025: sarà la Legge di Bilancio 2025 l’occasione giusta per sciogliere i diversi nodi? 17 associazioni del settore lanciano un appello “SOS Cinema”. Anche Anica ed Apa apprezzano la decisione del Tar, ma Confartigianato chiede l’autosospensione dei decreti da parte del Ministero
La situazione del settore cine-audiovisivo italiano versava in condizioni di grande incertezza e grave crisi (si rimanda ad un nostro intervento su “Key4biz” del 21 novembre 2024, “La Rai in stallo, il Cinema in ansia, nebbie sul Centro Sperimentale di Cinematografia”): a distanza di una settimana, la situazione è purtroppo peggiorata, per due fattori scatenanti, uno squisitamente partitico, l’altro squisitamente giudiziario…
La Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai non riesce a trovare la quadra, rispetto alla conferma della designazione di Simona Agnes come Presidente di Viale Mazzini: mercoledì mattina, la maggioranza non si è presentata a Palazzo San Macuto, disertando in blocco la seduta convocata dalla Presidente Barbara Floridia (Movimento 5 Stelle), facendo mancare così il numero legale per votare la presidente “in pectore” (designata dal Governo ovvero specificamente dal titolare del Mef Giancarlo Giorgetti e fortemente sostenuta da Forza Italia ed in particolare dall’eminenza grigia Gianni Letta).
Quasi da non crederci: è la quinta volta (!) che la votazione sul presidente del cda Rai non va in porto. Erano presenti in Commissione mercoledì mattina – ha segnalato Adnkronos – soltanto Stefano Graziano, Annamaria Furlan e Ouidad Bakkali (Pd) e Dario Carotenuto (M5s).
La Commissione è stata quindi riconvocata per il prossimo 11 dicembre.
La vicenda si intreccia con il “tira e molla”, interno alla maggioranza di governo, tra chi vuole una ulteriore riduzione del canone (dagli attuali 90 euro ai 70 euro per l’anno 2025), come richiesto dal leader della Lega Matteo Salvini, e chi invece non è d’accordo, come Antonio Tajani leader di Forza Italia… Come ha scritto Flavio Fabbri, “a sparigliare la maggioranza è stata Forza Italia, che ha votato contro insieme all’opposizione” (vedi “Key4biz” del 27 novembre 2024, “Canone Rai. Bocciato il taglio e il Governo va sotto, FI vota con l’opposizione”). Come suol dirsi “il Governo è andato sotto”, e certamente non è un bel segnale, nemmeno nei confronti del proprio elettorato.
Forti tensioni infra-maggioranza, tra canone e Commissione Vigilanza Rai
Pochi minuti dopo la conclusione della seduta, la Presidente pentastellata Barbara Floridia mercoledì mattina ha affidato alle agenzie la sua rabbia: “di fronte all’ennesima convocazione della Vigilanza andata a vuoto per l’assenza in blocco della maggioranza, è arrivato il momento che i partiti si assumano le proprie responsabilità. Non è possibile andare avanti così. È necessario superare l’impasse in cui versa la Commissione, almeno per quanto riguarda la sua ordinaria attività. Invito tutte le forze politiche, ma ovviamente soprattutto quelle di maggioranza, ad assumere un atteggiamento dialogante e responsabile consentendo il riavvio dei lavori della commissione, anche alla luce delle tante urgenze che riguardano la Rai. Abbiamo il dovere istituzionale di ripartire con le audizioni e gli atti di competenza della Commissione. Quanto al nodo sulla presidenza, auspico che le forze politiche abbattano i muri che al momento le separano e trovino una soluzione condivisa il prima possibile”.
La senatrice pentastellata critica anche le contraddizioni interne alla maggioranza rispetto al canone: “la spaccatura sul canone Rai dimostra che questa maggioranza è in frantumi (anche la Segretaria del Pd Elly Schlein ha utilizzato la stessa metafora: governo “in frantumi”, n.d.r.) e che non ha alcuna visione né alcun progetto sul Servizio Pubblico. Con questo atteggiamento, da un lato, si mette in difficoltà la Rai e si espone l’Italia al rischio di sanzioni europee; dall’altro, Meloni e Salvini prendono in giro i cittadini, fingendo di volere la riduzione di una tassa quando in realtà si trattava del solito gioco delle tre carte, perché la copertura era la fiscalità generale, cioè soldi presi sempre dalle tasche degli italiani. In tutto questo, Giorgia Meloni dà un contentino alla Lega votando con loro, ma sapendo benissimo che il taglio non sarebbe passato: oltre agli italiani, prende in giro pure i suoi stessi alleati”.
Come definire queste dinamiche… se non balletti della vecchia e nuova partitocrazia?!
Qualcuno si pone seriamente il quesito (strategico) sul ruolo della Rai nell’attuale habitat digitale?
Qualcuno si pone il quesito sulla necessità di quantificare – e non ritualmente – il “do ut des” del servizio radiotelevisivo e mediale della Rai?!
Le risposte sono nette, ad entrambi i quesiti: no.
Non esiste uno studio di scenario sul fabbisogno di medio periodo di Viale Mazzini, non esiste uno studio comparativo sulle potenzialità e criticità della Rai rispetto ai soggetti omologhi nell’economia dei “Big 5” d’Europa…
Sull’argomento, si rimanda ad un’interessante ricognizione proposta dal mensile “Prima Comunicazione” – diretto da Alessandra Ravetta – nell’edizione della rivista in edicola da venerdì scorso 21 novembre, con alcune schede comparative (Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi…) curate da Lorenzo Menichini, dalle quali emergono i tanti ritardi e l’evanescenza dell’identikit identitario del “public service media” italico, con una stimolante intervista curata da Stefano Carli all’ex dirigente Rai e dell’Ebu Giacomo Mazzone (uno dei massimi esperti di politica dei media a livello europeo)…
Nella giornata di ieri, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito queste vicende Rai “schermaglie”, trattandosi di “nulla di serio”, ricordando che se il suo Governo è riuscito a contribuire in modo significativo alla tregua in Libano, saprà trovare una soluzione anche rispetto al tema del “canone”.
La riduzione e la progressiva abolizione della tassa in favore della tv di Stato sono una battaglia storica della Lega
Si ricordi che lo scorso anno, Matteo Salvini aveva ottenuto un obiettivo parziale: nella Legge di Bilancio si era stabilito che per il 2024 il canone Rai sarebbe stato ridotto da 90 a 70 euro. La misura era temporanea: valeva per un solo anno. Ora, nella bozza di Legge di Bilancio redatta dal Ministro dell’Economia e Finanze Giancarlo Giorgetti, che è pure lui della Lega, è stata ripristinata la tassa nella sua interezza, 90 euro, perché il titolare del Mef non avrebbe trovato risorse ovvero coperture finanziarie adeguate per mantenerlo a quota 70: in un emendamento presentato dai senatori della Lega, infatti, si prevedeva che il mancato introito connesso alla riduzione del canone venisse compensato con una riduzione di 430 milioni di euro di un fondo destinato a Rfi, la società pubblica che gestisce la rete ferroviaria italiana e che fa capo proprio al Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture guidato da Salvini…
Forza Italia si è opposta, anzitutto per motivi contabili: “se si riduce il canone, bisogna comunque trovare 430 milioni da dare alla Rai, e bisogna trovarli nella fiscalità generale, cioè dalle tasse dei cittadini”, ha sostenuto il Capogruppo al Senato di Forza Italia Maurizio Gasparri.
Sullo scenario vi è anche una proposta di legge sostenuta dalla Lega stessa, primo firmatario il deputato Stefano Candiani, che ridurrebbe sì il canone, ma consentendo alla Rai di alzare il suo “tetto” pubblicitario, e qui c’è chi sostiene che si andrebbe a danneggiare, teoricamente, il Gruppo Mediaset… Anche in questo caso, senza che esistano analisi di scenario e studi di fattibilità che possano dimostrare il nesso tra “azione” dello Stato e “reazione” del mercato: si naviga a vista, ancora una volta.
La sessione della Commissione di Vigilanza fissata per mercoledì 11 dicembre, ovvero tra due settimane, registrerà una soluzione positiva, o si continuerà a “giocare” partitocraticamente con l’interesse della cittadinanza a poter fruire di un servizio pubblico mediale libero ed indipendente, e non soggetto a questi mercanteggiamenti politici?!
Il Tar del Lazio accoglie, parzialmente, le richieste di alcune decine di produttori cine-audiovisivi indipendenti e fissa una pubblica udienza per il 4 marzo 2025
Se il fronte è senza dubbio critico in materia di televisione pubblica, quello del settore cine-audiovisivo (intimamente connesso a quello televisivo: basti pensare al ruolo centrale che ha una società controllata da Viale Mazzini, qual è Rai Cinema…) è un altro fronte problematico. In questo caso, non sembrano registrarsi significative “contraddizioni interne” alla maggioranza, anche perché di fatto Fratelli d’Italia ha ereditato le politiche dell’ex Ministro Gennaro Sangiuliano, ed il successore Alessandro Giuli ha sostenuto di voler confermare la “linea” del suo predecessore (vedi alla voce “continuità”): qui la questione è piuttosto un’altra, perché fin dai primi mesi del Governo guidato da Giorgia Meloni (fine ottobre 2022), l’allora titolare del Collegio Romano Gennaro Sangiuliano ha affidato ampia delega alla senatrice leghista Lucia Borgonzoni, che può ormai farsi vanto di essere stata uno dei più longevi Sottosegretari alla Cultura della storia della Repubblica…
La delega di Sangiuliano a Borgonzoni era ampia – cinema e audiovisivo e “industrie culturali e creative” (moda, design, architettura, editoria, ma anche – in questo “insieme” – il settore cine-audiovisivo) – ed è stato l’ex Ministro a sentire l’esigenza di una “correzione di rotta” della Legge Franceschini del 2016, segnalando l’esistenza di molte sacche di inefficienza ed inefficacia: basti ricordare che tra il 2019 ed il 2023 sono state prodotte in Italia 1.354 opere cinematografiche, di cui il 44 % non è nemmeno uscito in sala…
Non sono mai emersi “conflitti” (almeno a livello pubblico) tra l’idea di razionalizzazione del Ministro (Sangiuliano) e l’azione riformatoria affidata alla Sottosegretaria (Borgonzoni), ma è evidente che la gestazione degli interventi correttivi è stata veramente molto lenta e si è protratta per molto (troppo) tempo.
Dalla primavera del 2023, tutta la “macchina burocratica” del Ministero ovvero della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo è stata rallentata
Se i “big player” (ovvero le grosse società di produzione, buona parte delle quali peraltro ormai in mano a multinazionali straniere) hanno continuato a produrre, moltissime piccole imprese di produzione indipendente hanno iniziato a soffrire, per l’incertezza complessiva di medio periodo, in attesa delle nuove regole.
Anche molti investitori stranieri (particolarmente quelli dagli Usa) hanno iniziato a guardare verso mercati più “appealing”, in termini di vantaggi fiscali.
Dopo oltre un anno di gestazione – non realizzata a “porte aperte”, ma con il coinvolgimento attivo quasi esclusivamente delle due maggiori associazioni del settore (Anica ed Apa) – nel luglio scorso è stato finalmente emanato un “decreto interministeriale”, che reca la firma di Gennaro Sangiuliano e di Giancarlo Giorgetti… Firmato il 10 luglio 2024, ma pubblicato soltanto il giorno prima di Ferragosto, il 14 agosto, e presentato in occasione del Festival di Venezia il 29 agosto dalla Sottosegretaria Borgonzoni e dal Direttore Generale Nicola Borrelli…
Da allora, s’è scatenata una tempesta: le due principali “lobby”, Anica ed Apa, hanno sostanzialmente apprezzato la riforma, altre associazioni minori si sono mostrate meno convinte (da Cna Cinema e Audiovisivo abbastanza sintonica con Anica ed Apa alla Confartigianato Cinema e Audiovisivo più critica), mentre è emerso lo scontento di tante altre soggettività, dalle associazioni degli autori (Anac, 100autori, Wgi…) a quelle dei lavoratori (tra tutte Siamoaititolidicoda…). Ad ottobre, il Dg Nicola Borrelli ha firmato una serie di “decreti direttoriali”, ovvero le regole di attuazione della riforma.
Almeno 70 imprese (piccole imprese, produttori indipendenti…), insoddisfatte per l’assenza di dialogo con il Ministero durante la gestazione della “riforma Borgonzoni”, hanno deciso di cercare “un giudice a Berlino” e si sono rivolte al Tribunale Amministrativo del Lazio, per contestare sia il decreto interministeriale (Sangiuliano-Giorgetti) sia i decreti direttoriali (Borrelli).
Nel mentre – come abbiamo ben segnalato su queste colonne – s’è scatenata una (piccola) tempesta mediatica, con alcune emittenti televisive generaliste che si sono interessate del tema “Tax Credit”, da Canale 5 con “Striscia la Notizia” a Rete 4 con “Quarta Repubblica” per arrivare a “Piazza Pulita” su La7, così sdoganandolo dalla nicchia degli operatori del settore…
Sono stati affrontati alcune degenerazioni del sistema del credito di imposta, usi ed abusi insomma, e sono state offerte variegate numerologie che evidenziano in sostanza un deficit di valutazione e controllo nell’intervento pubblico a sostegno del settore.
Perché nessuna testata giornalistica (a parte “Key4biz” ed “il Riformista”) ha acceso i riflettori sui ricorsi al Tar?!
Va osservato che nessuna testata giornalistica ha mai affrontato la questione dei “ricorsi” al Tar, se non giustappunto IsICult (Istituto italiano per l’Industria Culturale) sulle colonne del quotidiano online “Key4biz” (a partire da un primo intervento dell’11 ottobre, “Tax Credit cine-audiovisivo: una valanga di ricorsi al Tar?)”: che la questione rappresentasse forse un… tabù?!
In effetti, a parte “Key4biz”, soltanto il quotidiano “il Riformista” – diretto da Claudio Velardi – ha toccato lo scabroso tema (si veda l’intervento IsICult di martedì 26 novembre 2024, “Rai bloccata dai partiti e senza guida. Settore cinema ancora in agitazione: la politica culturale al palo”).
Ieri invece, la rassegna stampa e web ha registrato diversi interventi: come dire?! Il “caso” è giustamente emerso e diverse testate quotidiane l’hanno evidenziato: si segnala in particolare un approfondito articolo di Vincenzo Vita, su “il Manifesto” di ieri giovedì 28 novembre, dall’efficace titolo, “Tax credit sospeso dal Tar, schiaffo al Mic e produzioni bloccate”. Sostiene Vita: “i motivi dell’iniquità sono evidentissimi, secondo il giudizio di buona parte del cinema e dell’audiovisivo, nonché di diverse associazioni nate negli ultimi anni per contrastare inerzie e inadeguatezze di governi e maggioranze parlamentari. Anzi. L’unica via di uscita, ora, è proprio il ricorso ad un’abrogazione legislativa del decreto e alla riscrittura credibile dei criteri ispiratori di un nuovo testo”.
È interessante osservare che la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni ha reagito all’intervento IsICult su “il Riformista” precisando di essere stata “Sottosegretario alla Cultura con delega al settore audiovisivo dal 13 luglio 2018 al 5 settembre 2019 e poi dal 23 dicembre 2022 a oggi”, ma rimarcando che, pur essendolo stata Sottosegretaria per oltre 3 anni, “durante l’operato del Ministro Franceschini, non ho avuto nessuna delega al settore”.
La senatrice ha anche precisato che “il 13 luglio 2022, quando ero a capo del Dipartimento Cultura della Lega, non avendo a quel tempo la delega all’audiovisivo, feci presentare una risoluzione in aula e cito, volta a “rivedere e razionalizzare i crediti d’imposta riservati alla produzione di opere cinematografiche e audiovisivo, per evitare rischi di utilizzo improprio delle risorse messe a disposizione“”.
In sostanza, la senatrice Lucia Borgonzoni ha sottolineato che non aveva delega a cinema e audiovisivo, pur essendo Sottosegretaria in un Ministero guidato dal “dem” Dario Franceschini.
Come dire?! Che ci fosse qualcosa che non andava l’aveva evidentemente scoperto, in materia di “Tax Credit” e dintorni, e prima che venisse ri-nominata Sottosegretaria, e questa volta con delega specifica su cinema e audiovisivo, prima dell’insediamento del Governo guidato da Giorgia Meloni…
In effetti, Lucia Borgonzoni è stata Sottosegretaria dal 25 febbraio 2021 al 21 otto