Il cuore di Cristo tra tradizione e profezia - Azione Cattolica Italiana

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Questa quarta Enciclica di Papa Francesco è sorprendente per diverse ragioni. In primo luogo, per il tema a cui è dedicata: il Cuore di Cristo. Non è certamente il primo intervento su questo tema di un Pontefice. Ma certamente la lunghezza e l’articolazione del testo ci dicono che si tratta di una ripresa tutt’altro che celebrativa o di circostanza. Ci troviamo di fronte ad una trattazione di ampio respiro che approfondisce il significato del Cuore di Gesù sotto diversi profili, da quello antropologico a quello spirituale, da quello biblico a quello teologico, dagli insegnamenti del magistero alle prospettive per la missione della Chiesa oggi, valorizzando quanto di più bello e significativo sia stato prodotto sino ad oggi come riflesso delle varie esperienze spirituali e come elaborazione dottrinale e pastorale.

In secondo luogo, sorprende il fatto che Papa Francesco affronti nella sua ultima enciclica un argomento di tenore decisamente diverso rispetto alle due precedenti . Mentre con la Laudato si’ (2015) e la Fratelli tutti (2020) è entrato nel vivo di questioni decisive per l’attuale contesto sociale e culturale, oltre che ecclesiale, esprimendo visioni e valutazioni che interpellano tutta l’umanità, con un documento sul Cuore di Cristo si potrebbe avere l’impressione che si tratti di una questione di carattere spirituale, sostanzialmente interna alla vita della Chiesa e di scarsa rilevanza sociale. In realtà, questo documento è tutt’altro che una semplice ripresa della tradizione legata al Sacro Cuore, erroneamente relegata alla dimensione devozionale. Scorrendo i cinque capitoli e seguendo l’incalzante riflessione che si snoda per ben 220 paragrafi, si resta decisamente sorpresi, certamente dalla profondità teologico-spirituale, ma soprattutto dalla rilevanza antropologico-sociale delle riflessioni proposte dal Pontefice.

In terzo luogo, mi sembra che con questa Enciclica venga posta in evidenza una questione fondamentale per la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo: dove trovare una risposta compiuta alle attese insopprimibili del cuore umano? Da chi e come può giungere una indicazione plausibile e non effimera alla ricerca di senso, di autenticità e di verità che, nonostante tutti i marasmi culturali e le derive sociali del nostro tempo, abita il cuore degli esseri umani? Di fronte a questi interrogativi che abitano il cuore di ogni essere umano, il Pontefice intende offrire una proposta efficace e non scontata.
Egli muove alla consapevolezza che «in questo mondo liquido è necessario parlare nuovamente del cuore; mirare lì dove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi; lì dove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte» (n. 9). Il malessere del cuore umano viene da lontano. Se «il problema della società liquida è attuale», le sue radici le troviamo «già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme» (n. 10).

L’edizione congiunta “Ave” e “Vita e Pensiero” dell’enciclica di Papa Francesco “Dilexit nos”

Il quarto aspetto che suscita una certa sorpresa è la profondità teologica. Scevro da ogni sentimentalismo spirituale — come ci si poteva aspettare nella trattazione di un tema che è stato appannaggio di una certa riduzione emozionale e intimistica — troviamo invece una esposizione approfondita dei fondamenti teologici che illuminano la riflessione attorno al Cuore di Cristo.
Non è un caso che ci sia anche un’attenzione minuziosa nell’uso delle espressioni. “Cuore di Cristo” è, infatti, la definizione di gran lunga preferita che ricorre per ben 91 volte e viene utilizzata dal Pontefice nelle parti in cui esprime e sviluppa in modo esplicito il suo pensiero; mentre “Sacro Cuore”, espressione più classica, che è presente soprattutto nelle citazioni dei vari autori e del magistero, ricorre complessivamente 27 volte (eccettuate le note); così come “Cuore di Gesù” lo troviamo solo 26 volte e con gli stessi criteri dell’espressione precedente; lo stesso si può dire di “Cuore del Signore” utilizzato solo 5 volte.

La scelta di prediligere l’espressione “Cuore di Cristo” nasce dalla precisa intenzione di mettere in evidenza la chiave teologica che non fa del cuore un elemento a sé stante, ma sempre deve essere colto come espressione sintetica dell’intera persona del Cristo. Su questo punto il Pontefice ritorna spesso per ribadire che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separato dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48).
Questo dato teologico rappresenta anche la chiave fondamentale per comprendere il senso dell’esperienza umana che trova appunto nel cuore il suo centro unificatore: «Il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche» (n. 21). Il dato antropologico e quello cristologico convergono e contribuiscono a dare concretezza e solidità ad una riflessione che diventa passo dopo passo rivelatrice di verità fondamentali sul senso del vivere umano e sulla possibilità di sperimentare in pienezza l’amore di Cristo.

In questo orizzonte così unitario dal punto di vista antropologico e teologico, possiamo intravedere come il riferimento al Cuore di Cristo non sia tanto un retaggio del passato, quanto piuttosto una prospettiva profetica per il cammino dell’umanità. Anzi, solo in questo orizzonte si può immaginare un profondo e vero cambiamento sociale: «Il Cuore di Cristo è estasi, è uscita, è dono, è incontro — afferma il Pontefice —. In Lui diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia. Il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di questo miracolo sociale» (n. 28).
Da questo punto di vista comprendiamo che la visione da cui parte e a cui rimanda Papa Francesco non è poi così lontana da quanto insegnato e sollecitato nelle precedenti Encicliche. Un reale e decisivo cambiamento culturale e sociale è impossibile senza un profondo rinnovamento del cuore umano. Tra le righe, quindi, cogliamo anche un forte appello a lasciarci afferrare dall’amore che sgorga dal Cuore di Cristo per essere artefici di una vera trasformazione interiore e sociale. «Quello stesso Gesù oggi aspetta che tu gli dia la possibilità di illuminare la tua esistenza, di farti alzare, di riempirti con la sua forza» (n. 38) perché «insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore» (n. 182).

Mons. Claudio Giuliodori è Vescovo e Assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana e dell’Università cattolica del Sacro Cuore

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Claudio Giuliodori