Tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza del tumore figurano le epatiti virali B e C
L’espressione “avere fegato”, usata per esprimere l’ardimento di una persona, ha un significato remoto dal momento che nell’antichità quest’organo era considerato sede del coraggio e della forza interiore dell’individuo. I nativi dell’America settentrionale consideravano il fegato di bisonte una leccornia da gustare ancora calda, come si vede in una scena del film “Balla coi lupi”, in cui il pregiato organo viene offerto al guerriero valoroso al termine della caccia. Nella realtà il fegato rappresenta il perno del metabolismo di molte sostanze: una funzione vitale che viene purtroppo compromessa dall’insorgenza di un tumore come l’epatocarcinoma.
Nella nuova edizione delle linee guida stilate dalla British Society of Gastroenterology sulla gestione del carcinoma epatocellulare (HCC) sono state incluse le principali raccomandazioni - formulate a partire dalle evidenze più recenti - in merito alla prevenzione, alla diagnosi e al trattamento di questa neoplasia che, in Italia, conta circa 12mila nuove diagnosi e quasi 10mila decessi ogni anno.
Sebbene sia un organo del peso di appena un paio di chilogrammi, il fegato è la ghiandola di maggiori dimensioni dell’organismo e ha un lungo ed elaborato elenco di funzioni: interviene nella formazione e nella secrezione della bile, provvede all’accumulo di nutrienti quali glucosio, lipidi (acidi grassi, trigliceridi, colesterolo, lipoproteine e fosfolipidi) e vitamine (soprattutto B12). Inoltre, concorre alla sintesi delle proteine plasmatiche, come l’albumina e i fattori della coagulazione (protrombina, fibrinogeno, Fattore VIII), e a quelle leganti steroidi o altri ormoni; partecipa all’inattivazione di tossine e steroidi e, infine, esercita una funzione protettiva attraverso le cellule di Kupffer del sistema reticolo-endoteliale. Tutto ciò lo identifica come la principale centrale di elaborazione e smistamento delle sostanze che si riversano nel sangue - grazie a un intricato e capillare sistema di vasi e arterie ogni minuto circa un litro di sangue transita per il fegato apportando sostanze da smaltire o raccogliendone altre da distribuire a organi e tessuti. Non sorprende, dunque, che tra i fattori di rischio per il tumore del fegato ci siano soprattutto l’abuso di alcol, il fumo di tabacco, certe tossine alimentari, l’obesità e le steatopatie non alcoliche ma, soprattutto, le infezioni dei virus dell’epatite B e C.
PREVENZIONE
L’epatocarcinoma è il tumore primitivo del fegato più comune ed è spesso associato alla cirrosi epatica, perciò il primo aspetto che le linee guida sottolineano è proprio quello della prevenzione, troppo spesso trascurata per quel che riguarda le malattie epatiche. È prioritario ridurre il consumo di alcol e bevande alcoliche, soprattutto nei più giovani, incoraggiando l’adozione di stili di vita tali da minimizzare il rischio di insorgenza di malattie come obesità e sindrome metabolica: in Italia - e in modo particolare nel Nord del Paese - il consumo di alcol è ancora pericolosamente alto, sostenuto anche da pessime abitudini come quella del “binge drinking” che, per ubriacarsi, spinge i giovani a consumare elevate quantità di alcolici, rischiando, nei casi più gravi, di doversi sottoporre al trapianto di fegato per avere salva la vita. Questi comportamenti devono essere scoraggiati, insegnando invece a prendersi cura del fegato e scongiurare, in tal modo, il rischio di infiammazione e cirrosi. A ciò si raccorda il valore delle vaccinazioni, in modo particolare quella contro il virus dell’epatite B, che oggi in Italia rientra nel calendario vaccinale. Il rischio di epatocarcinoma è più elevato nei pazienti affetti da epatite B o C correlate a cirrosi, pertanto è necessario prevenire il più possibile la trasmissione dell’infezione, ad esempio tramite il vaccino nel caso del virus dell’epatite B; nel caso in cui l’infezione sia stata contratta, è fondamentale iniziare al più presto la terapia antivirale che, nel contesto di diversi studi clinici, ha dimostrato di ridurre in maniera significativa il rischio di progressione a tumore.
Ridurre il peso in eccesso attraverso una dieta salutare, praticare esercizio fisico, eliminare il fumo di sigaretta e abbassare il consumo di alcol sono dunque le prime buone pratiche quotidiane con un ritorno evidente sulla salute del fegato.
DIAGNOSI
Gli individui affetti da cirrosi e quelli con un’infezione cronica da epatite B o C dovrebbero sottoporsi ad adeguata sorveglianza per prevenire l’insorgenza dell’epatocarcinoma. Gli esami del sangue da eseguire sono soprattutto le transaminasi (ALT e AST) e la gamma glutamil transferasi (GGT), a cui associare il dosaggio della bilirubina diretta e indiretta e della fosfatasi alcalina (ALP). Purtroppo, non è disponibile un marcatore specificamente correlato all’insorgenza dell’epatocarcinoma, che anzi ha uno sviluppo lento e spesso indolore, per cui quando si avvertono i sintomi (soprattutto ittero, calo di peso e febbre ricorrente) la situazione potrebbe essere già gravemente compromessa. Le linee guida inglesi raccomandano la sorveglianza ecografica semestrale e la misurazione dell’alfafetoproteina (AFP) nei pazienti a rischio, in particolare quelli con cirrosi o epatite B cronica, nei quali è necessario tener sotto controllo il livello della fibrosi epatica. La diagnosi di epatocarcinoma prevede il ricorso a tecniche di imaging, quali la tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica nucleare (RMN), a cui far seguire la biopsia epatica, indispensabile per la conferma diagnostica in quelli senza cirrosi o nel caso di lesioni epatiche dubbie. Infatti, la cancerogenesi epatica ha spesso inizio con la comparsa di lesioni precancerose che poi evolvono in noduli displastici; insieme a una progressiva aberrazione del comparto vascolare, le lesioni sospette possono essere identificate tramite tecniche di diagnostica per immagini e poi trovare eventuale conferma di malignità attraverso l’esame bioptico.
TRATTAMENTO
La stadiazione del tumore è il primo decisivo passaggio per la scelta del trattamento che, perlomeno nei pazienti con fegato non cirrotico o con una cirrosi compensata e sufficiente riserva epatica, prevede il ricorso alla chirurgia. Secondo i dati di letteratura, a fronte di una corretta selezione dei pazienti, la resezione chirurgia e il trapianto d’organo permettono di raggiungere i migliori risultati in termini di sopravvivenza a lungo termine (con tassi di sopravvivenza a 5 anni anche del 60%).
Nei casi di epatoarcinoma di piccole dimensioni non operabili e cirrosi compensata le linee guida raccomandano l’utilizzo di metodiche di ablazione termica (radiofrequenza o microonde) quale trattamento di prima linea, mentre negli stadi intermedi si suggerisce il ricorso alla chemioembolizzazione transarteriosa (TACE).
La combinazione di atezolizumab, un farmaco anti-PD-L1 inibitore dei checkpoint immunitari, e dell’anticorpo monoclonale anti-VEGF bevacizumab continua a esser considerata il trattamento di prima scelta nei tumori in stadio avanzato. Tra gli altri farmaci che hanno mostrato una buona efficacia nel miglioramento della sopravvivenza nei cui di epatocarcinoma avanzato ci sono sorafenib e lenvatinib, particolarmente impiegati nei pazienti non idonei a terapie endovenose.
Un ultimo significativo punto riguarda il trapianto di fegato, una procedura necessaria in caso di grave insufficienza d’organo e che richiede fino a 10 ore di lavoro, coinvolgendo chirurghi, anestesisti, infermieri specializzati e altri operatori sanitari. Secondo il report annuale del Centro Nazionale Trapianti i trapianti di fegato in Italia sono cresciuti del 15% circa - in accordo con la media nazionale - mentre sono diminuiti (anche se di poco) i pazienti in attesa. Le liste sono sempre piene e i tempi di attesa per un organo come il fegato sono elevati (circa due anni in lista), aspetti che bastano a rimarcare il valore della prevenzione e dell’adozione di stili di vita sani.