Quali pericoli per la democrazia oggi in Occidente - Partito Socialista Italiano

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di Lorenzo Cinquepalmi

Il capitalismo ha bisogno, per conseguire al massimo i profitti a cui aspira, di svilupparsi in ordinamenti democratici. È stato così storicamente ed è così sul piano logico razionale, dal momento che un ordinamento autoritario imporrà sempre al capitale i suoi scopi, che non necessariamente coincidono con il massimo profitto possibile. Si vedano, al proposito, e per restare nella contemporaneità, le sorti di tanti oligarchi russi. Il dna del capitalismo, tuttavia, ruota sull’asse dell’egoismo assoluto: esso rinuncia a una frazione del miglior risultato possibile solo se costretto, perché l’egoismo è sempre irragionevole. Questo, in assenza di correttivi, condanna lui al destino dello scorpione e la democrazia liberale a quello della rana. Se nel secolo scorso la difesa della democrazia era indispensabile di fronte al timore, anche per la grande ricchezza, delle conseguenze dell’affermarsi di modelli di governo totalitari, al cui dominio fatalmente anch’essa avrebbe dovuto piegarsi, il tramonto di quella stagione, innescando, insieme alla rivoluzione digitale, anche la globalizzazione dei mercati finanziari, ha generato un capitalismo nuovo, completamente svincolato dalla produzione e, dunque, dalla territorialità, inafferrabile e incontenibile. Questa variante del fenomeno, oltre a essere esiziale per il benessere delle classi lavoratrici, si dimostra estremamente pericoloso per gli stessi ordinamenti democratici. La sua estrema mobilità lo ha in larga parte svincolato dalla necessità di preoccuparsi della liberalità o meno del potere, da cui dipende molto meno rispetto al capitalismo manifatturiero, mentre le dinamiche finanziarie hanno consentito alla grande ricchezza di svilupparsi fino a dimensioni pari o superiori rispetto a quelle degli stati. Il disinteresse per la democrazia della frazione più potente del capitalismo coincide con il progressivo allontanamento dalla politica di larghi strati della società, peraltro sempre più impoveriti e afflitti: un’alchimia da cui possono scaturire evoluzioni devastanti. Esiste, tuttavia, ancora un capitale manifatturiero, in larga parte vittima della fascinazione finanziaria, apparentemente incapace di realizzare come il suo interesse sia divergente da quello della grande finanza almeno quanto sia convergente con quello delle classi lavoratrici. Un interesse convergente nella conservazione della democrazia liberale, nei confronti della quale la finanza è indifferente. Con lo stesso spirito con cui fu teorizzata l’alleanza virtuosa tra merito e bisogno, occorre chiedersi se non sia il tempo di esplorare il terreno dell’interesse comune a lavoratori e imprenditori per il mantenimento della partecipazione democratica, fondamento di qualsiasi ordinamento liberale. Perché le esperienze degli ultimi anni dimostrano che la formazione di una classe politica capace di guidare dialetticamente la società e di garantire le libertà, richiede investimenti che, invece, mancano da oltre vent’anni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: partecipazione al voto sotto il 50%, avventurieri che promettono di abolire la povertà per decreto votati da maggioranze travolgenti, offuscamento dei valori repubblicani di rifiuto di qualsiasi richiamo al passato totalitario. La perdita progressiva di cultura politica, e di memoria, ha reso incapaci gli italiani di rendersi conto che il “vaffa” non è altro che una nuova versione del “me ne frego” fascista, mentre condizioni sociali del tutto simili producono risultati analoghi in tutta Europa, favorendo la crescita di forze sempre più dichiaratamente neofasciste. Proprio il lavoro è il sigillo della possibile alleanza tra imprenditori e classi lavoratrici: quel lavoro su cui, non a caso, si fonda la Repubblica; quel lavoro che accomuna capitale manifatturiero e lavoratori, dividendo entrambi dalla finanza; quel lavoro che lega le persone al territorio quanto la speculazione finanziaria se ne allontana. Dall’alleanza tra merito e bisogno all’alleanza del lavoro tra impresa e lavoratori per superare l’anchilosi della partecipazione politica che rende fragile la democrazia e mette in pericolo la libertà: la nostra sfida per il domani.

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