Una nuova recensione scritta dalle allieve e dagli allievi dell'istituto fiorentino. Stavolta a cimentarsi col capolavoro di Magda Szabó è la classe II E SCA, con la supervisione della loro insegnante, la professoressa Ersilia Volpe.
Trama
Si narra della storia di una ragazzina di quindici anni di nome Georgina Vitay (detta Gina) che vive a Budapest, in Ungheria col padre, generale dell'esercito del Paese durante il periodo della seconda guerra mondiale. Data la drammatica situazione quest'ultimo decide di portare la figlia, per proteggerla, al collegio del vescovo Matula dove inizierà una nuova vita, un interessante percorso caratterizzato da numerose esperienze (alcune più felici, altre maggiormente tristi) che influenzeranno notevolmente la sua crescita e formazione. Entrata nella struttura, dopo l'addio al generale che l'aveva accompagnata, fa subito numerose conoscenze, in particolare col preside Torma, alcuni professori e la sua tutrice, Zsuzsanna. Pochi giorni dopo l'inizio della vita nel collegio, le nuove compagne di Gina le mostrano l'importante statua presente nel cortile, chiamata "Abigail" (da cui il titolo del romanzo), che in incognito veglierà su di lei durante tutto il suo percorso e solo alla fine della storia rivelerà la sua vera identità, nascosta agli occhi di tutti da tempo.
Il libro "Abigail"
Il libro “Abigail” è un interessante romanzo di formazione pubblicato nell'anno 1970 e appartenente alla casa editrice Anfora, è stato scritto dall'autrice ungherese di libri per ragazzi Magda Szabó (1917-2007) e tradotto in lingua italiana da Vera Gheno. Si evince
subito com’è stata educata e in che ambiente ha vissuto Gina. La morte prematura della madre ha fatto sì che nascesse un forte legame con il padre, come scritto nel libro “..il padre e Gina, anche se durante i 14 anni di vita di Gina, nessuno dei due lo aveva mai espresso in maniera così cruda e univoca. Si amavano appassionatamente e a dire il vero sentivano che il mondo era completo solo quando stavano insieme...”[cap. 1]. A colmare la figura materna della ragazza c’è la domestica (che sarà costretta dal generale a tornare in Francia nella sua città d’origine) e la zia che è una donna di quarant’anni amante delle feste e delle riviste di moda: grazie a questa figura la ragazza scoprirà anche il suo primo amore. Quando Gina viene lasciata dal padre al Matula è spaventata: già dal momento in cui il generale le annuncia che la sua istruzione sarà affidata ad un istituto religioso, (il padre disse: “…ti ritroverai in un altro mondo.... Non hai mai vissuto in provincia, ti prego, sopportalo... Devo mandarti via per motivi che non ti voglio nemmeno parlare, nemmeno io sono più contento di te per questo, puoi credermi..."[cap 2]). La ragazza dopo una notizia del genere si sentì persa e per la prima volta colse la fragilità quasi irreale del padre, ma dovette accettare la nuova realtà (“…prima di chiudere la valigia... infilò accanto alle sue camicie da notte il suo pupazzo preferito, il cagnolino pezzato di velluto. Poi cambiò idea e lo rimise al suo posto.”) Una volta entrati al Matula padre e figlia si salutarono, “si scambiarono un bacio, incerto e infelice.
Come se le cose non dette avessero già cambiato qualcosa in loro.”[cap 2] e Gina si sentì terrorizzata, disorientata: "quando passò la soglia, Gina era già in quell’altro mondo che avevano prescelto come sua nuova casa…”[cap 2], un mondo dominato dal bianco e dal nero che le incuteva terrore. Tutte le fantasiose storie di una protettrice del Matula che vegliava sulle alunne come un’ entità quasi divina e sacra, fece sì che Gina si sentisse più grande, matura e “superiore” rispetto alle compagne; lei aveva smesso di credere a queste sciocchezze già da piccola, sapeva benissimo che solo Dio può vegliare su di lei e fare miracoli, ma non sapeva ancora che "qui (al Matula) non ci sono angeli custodi o amuleti, qui non c'è nulla, e non puoi scomodare Dio per ogni cosa” [cap 4]. Appena le venne detto che si sarebbe sposata con un terrario, un ennesimo gioco di tradizione del Matula, si arrabbiò e chiese di cambiare l’oggetto.
La situazione degenerò e, dopo alcune vicende, la protagonista venne emarginata dalle compagne. “Ci mise del tempo per comprendere che il “non sono arrabbiata” (così dicono le compagne a Gina), voleva dire”non ti conosco”, “non sei una di noi”, “non conti niente”, “per noi hai smesso di esistere”, “non sei nessuno”.” La ragazza di Budapest aveva più che mai voglia di scappare e tornarsene a casa dal suo amato padre. Dopo numerosi tentativi di fuga dal Matula e una forte indignazione, arrivò al collegio il padre per vedere la situazione. Così uscirono dal Matula e andarono ad una pasticceria della città, per parlare dei problemi riscontrati. “(Il colonnello) per quello che sentiva da sua figlia, si aspettava che fosse accompagnato dalle lacrime, ma Gina non piangeva, a dire il vero era una specie di dichiarazione. Motivava il perché non potesse restare lì, il perché dovesse essere tolta subito da lì....”.
“Strinse Gina a sé, in modo di evitare il suo sguardo, per non vedere la luce dei suoi occhi spegnersi per la delusione. Se l’ appoggiò alla spalla e così le chiese di non chiedere quello che chiedeva, non poteva riportarla a casa...” Negli occhi di Gina non c’era tristezza, ma rancore e durezza, il padre capì che “non le era rimasto nient’altro che dirle tutta la verità, mettere in quelle piccole mani da bambina il segreto che aveva tanto alacremente tenuto nascosto .... Doveva dirglielo perché se non lo avesse fatto Gina sarebbe nuovamente scappata ...”. Dopo le dure parole del padre, per Gina ha inizio una formazione; non potrà più vivere come gli altri bambini, da lei dipendevano ora delle vite tra cui quella del padre. Una volta che Gina riuscì a scappare dal Matula e rifugiarsi nella casa di Mici Horn era spaventatissima, non sentiva nient’altro che fame e terrore, era protetta però da Abigail, che per la prima volta si era “fatta viva”.
Arrivata là dentro, la padrona di casa, Mici la rassicurò, le diede nuovi documenti, cibo e poi la mandò al piano superiore a dormire, ma Gina non ci riusciva, aveva troppe emozioni, pensieri e preoccupazioni e per di più sentì entrare qualcuno in casa. Era Zsuzsanna che chiedeva che Gina le fosse restituita, Mici tenne i nervi saldi e rispose con voce calma e rassicurante che la ragazza non si trovava in casa e che forse si era nascosta da qualche parte e che prima o poi sarebbe venuta fuori. Così le due donne, in un silenzio assordante, si compresero, mentre invece Gina stava origliando dal piano superiore.
A rompere nuovamente il silenzio fu uno sparo proveniente da fuori: poco dopo si sentì la porta dell’ingresso aprire e con lo stupore di tutti entrò il professore Kőnig. La diaconessa Zsuzsanna era incredula, mentre la protagonista, che era a spiare la scena da sopra era ancor di più: la ragazza non si spiegava il fatto che un uomo come lui potesse avere il permesso di entrare quando voleva in casa di Mici senza nessun problema, ma ben presto capì e rivalutò completamente l’opinione che aveva del professore.
Il preside
Il preside viene inizialmente descritto come un uomo tozzo e perpetuamente nero in volto, che sorvegliava e gestiva il collegio del Matula.
È descritto come un uomo severo verso le studentesse. Nel capitolo 14 viene scritta una caricatura del professore che dice: “un uomo nero in abiti neri ride risate nere, starnutisce starnuti neri, sogna sogni neri.” L’unica cosa su cui il preside era sensibile, era l’acquario con i pesci tozzi e grassi come lui. La compagna Torma nipote del preside Gedeon Torma sosteneva che se il preside si fosse beccato in fallo si sarebbe auto buttato fuori. Proprio il suo carattere così duro e severo fece sì che Gina non venisse portata via dal Matula dai soldati. Il preside fece un patto con il padre di Gina, cioè disse che per andar via dal Matula avrebbe dovuto aspettare il giorno del diploma .
Péter Kalmár
Il professore Kalmár è un uomo bello, tutte le alunne del Matula infatti ne sono innamorate, ce n'erano alcune che rubavano i gessetti usati dal professore, altre che invece attaccavano la sua iniziale del cognome sui vestiti.
Kalmár ha un bel profilo delineato e delle nere e folte ciglia sotto a due occhi chiari e vigorosi e porta sempre una pettinatura alla moda che valorizza il colore biondo lucente dei suoi capelli. Lui è innamorato di Zsuzsanna ma a lei piace Kőnig, quindi Kalmár spesso arriva a denigrare la collega. Spiega inoltre la storia in maniera eccellente, talmente bene che le ragazze pur essendo donne avrebbero anche marciato in guerra per quanto trasmette a pieno l'amore per la patria.
Kőnig