GenerAtelier Musei: intervista a Daniela Berta, Direttrice del Museo Nazionale della Montagna

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Il Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino è il primo ente museale italiano che ha condiviso e ospitato GenerAtelier Musei, il progetto di (RI)GENERIAMO con la Cooperativa Sociale Il Margine per coniugare generatività e impatto sociale con gli spazi per la cultura. Il debutto è avvenuto a giugno di quest’anno: come sta andando? Lo abbiamo chiesto a Daniela Berta, Direttrice del Museo Nazionale della Montagna.

Felicitazioni, innanzitutto, per la ricorrenza dei 150 anni che il Museo Nazionale della Montagna festeggia proprio nel 2024…

È vero. Il nostro museo è nato infatti nel 1874, nella sede attuale, per iniziativa del CAI (Club Alpino Italiano, ndr), che era stato fondato sempre a Torino solo undici anni prima, nel 1863. Ci occupiamo di montagne a tutto tondo, cioè secondo diverse prospettive e approfondendo una varietà di temi, con un’ottica interdisciplinare. Un approccio che ci contraddistingue per quanto riguarda le attività di raccolta di collezioni, per le ricerche che conduciamo periodicamente e anche in riferimento alle attività espositive e a quelle editoriali. Il nostro obiettivo è offrire al pubblico la più ampia visione possibile sul mondo delle terre alte. Non solo, ovviamente, del nostro territorio, ma di tutt’Italia e di tutto il mondo.

La proiezione internazionale è una caratteristica importante e riconosciuta del vostro museo. Come si declina in concreto?

In particolare nella presenza e partecipazione attiva del nostro museo in due organizzazioni. La prima è la International Alliance for Mountain Film (IAMF): raccoglie i festival di cinema di montagna di tutto il mondo, ha una trentina di soci in rappresentanza di tutti i continenti, tranne l’Africa, e sta per compiere venticinque anni. L’altra è International Mountain Museums Alliance (IMMA): è l’associazione dei musei e dei centri di documentazione di montagna, ha poco meno di dieci anni e riunisce le dieci principali realtà operanti nel campo della promozione e valorizzazione della cultura e del patrimonio alpino e montano. Tutt’e due ci aiutano a portare all’estero la nostra proposta culturale, ad avere occasioni di scambio con professionisti che guardano alla montagna da punti di vista anche molto diversi dal nostro. E tutt’e due hanno sede qui, presso il Museo della Montagna, che di entrambe è anche socio fondatore e coordinatore.

Com’è avvenuto l’incontro con (RI)GENERIAMO?

È stato un avvicinamento progressivo. Inizialmente il museo ha avviato una collaborazione con Leroy Merlin riguardo a una serie di attività didattiche sui temi della sostenibilità ambientale. Poi si è sviluppata una partnership finalizzata all’allestimento di due nuove sezioni permanenti del museo: una dedicata a Walter Bonatti, di cui custodiamo l’archivio dal 2016 e al quale dal 2023 è dedicato appunto uno spazio sempre visitabile al primo piano del museo. L’altra dedicata invece alla spedizione italiana al K2, di cui sempre quest’anno ricorre il 70esimo anniversario, che abbiamo pensato di festeggiare insieme al 150esimo del museo. In entrambe queste occasioni Leroy Merlin è stato sponsor tecnico. Attraverso queste iniziative abbiamo conosciuto (RI)GENERIAMO.

Com’è nata l’idea di sperimentare il progetto GenerAtelier Musei?

Circa un anno fa abbiamo iniziato a ragionare sull’impatto sociale del nostro museo. E a orientarci sulla possibilità di realizzare un percorso condiviso con i ragazzi della Cooperativa Il Margine: la co-progettazione di una linea di merchandising del museo, disegnata e realizzata a seguito di visite guidate, curate dallo staff del museo, alle nostre collezioni permanenti. L’idea era di produrre degli oggetti che avessero un forte legame con le nostre collezioni, le attrezzature, con i materiali d’archivio e le personalità di cui conserviamo la memoria, insomma con la nostra identità. Questi oggetti speciali, come a noi piace definirli, sono poi stati messi a disposizione del pubblico nel nostro bookshop.

Come sta andando l’iniziativa, a pochi mesi dal debutto?

Dico solo che, dopo quello iniziale che era finalizzato ovviamente  a sondare il gradimento del nostro pubblico, abbiamo già avanzato un secondo ordine. Siamo particolarmente soddisfatti. Quanto agli oggetti, abbiamo cercato di offrire la massima varietà per incontrare i diversi gusti dei destinatari, e anche le differenze in termini di età. In generale l’accoglienza è stata ottima. Naturalmente ci sono oggetti che hanno attirato di più l’attenzione.  Come quelli, ad esempio la T-shirt, che fanno riferimento a Walter Bonatti, figura ben radicata nell’immaginario collettivo soprattutto per la positività e i valori che continua a trasmettere. Ma hanno avuto buona accoglienza anche le T-shirt dedicate a Rock The Mountain!, la nostra mostra che da metà luglio a settembre è stata ospitata presso la Casa Alpina Iren “Pierfranco Nigretti” della diga di Ceresole Reale, e quelle per bambini dai 4-8 anni. Per il futuro si potrebbe pensare, sempre con un approccio condiviso insieme ai ragazzi della cooperativa, coi quali si è instaurato un ottimo rapporto, a nuovi soggetti, a nuove grafiche. Ad esempio per la primavera-estate 2025. Ci stiamo ragionando.

Come si potrebbe incrementare a suo avviso l’impatto sociale del progetto GenerAtelier Musei?

Sarebbe bello lavorare sempre di più sulla eco-sostenibilità dei materiali utilizzati per realizzare gli oggetti. Anche perché, al di là del ritorno economico che ovviamente si cerca in queste attività, la cosa più gratificante e ritengo più positiva per un’istituzione come la nostra, che fa cultura ma che deve guardare anche al suo impatto sociale, è il pensiero che con queste iniziative si riesce a dare un contributo concreto: in termini di progettazione, di costruzione del progetto, e riguardo all’inclusione di persone con speciali fragilità ma anche con capacità speciali. Tra l’altro in concomitanza con il lancio di questa iniziativa siamo entrati a far parte di Torino Social Impact. Siamo stati uno dei primi musei del tessuto urbano torinese a farlo e ci è molto d’aiuto per comprendere quale sia il posizionamento del nostro museo, e come migliorarlo, in termini di impatto sociale. Del resto la filosofia dell’impatto sociale sta sempre più penetrando il mondo delle realtà museali e più in generale culturali, numerosi studi ormai lo confermano. Credo sia uno sviluppo molto importante, perché i musei oggi rappresentano spazi non solo culturali ma anche sociali. Devono cioè mantenere, nutrire, incrementare il rapporto con le loro comunità di riferimento. Per cui dotarsi di strumenti e di partner con cui effettuare questo genere di valutazioni e proiezioni, in termini di impatto sociale, è sicuramente molto utile.

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