Bruxelles, dicembre 2024
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Introduzione
Mercoledì 27 novembre il Parlamento europeo riunito in seduta plenaria ha approvato la Commissione von der Leyen II con 370 voti favorevoli, 282 contrari e 36 astenuti (53,78% di voti positivi).
Sebbene la presidente – sia alla vigilia, sia nel suo discorso in Parlamento antecedente al voto – abbia rimarcato la natura pro-europea della sua maggioranza (formata essenzialmente da popolari, socialisti, liberali e verdi), l’esito del voto consente di effettuare ulteriori valutazioni. Hanno votato a favore la gran parte dei popolari (PPE), dei socialdemocratici (S&D), dei liberali (Renew); i verdi (Greens/EFA) si sono divisi, mentre tra i conservatori (ECR) si sono espressi positivamente gli italiani di Fratelli d’Italia, oltre a rappresentanti delle delegazioni lettone, lituana, ceca e belga.
Anche per questo motivo, come già verificatosi in passato, specie sul finire della scorsa legislatura, e, in termini ancora più “estremi”, nelle ultime settimane in occasione del voto sulla risoluzione sul Venezuela e sulla proposta di rinvio della data di applicazione del regolamento sulla deforestazione, è lecito attendersi nel corso dei prossimi anni la formazione di molteplici maggioranze parlamentari, capaci di variare in base alla natura dei singoli dossier e delle specifiche issues all’esame del Parlamento, con una propensione a destra grazie anche al rafforzamento del gruppo ECR.
Uno sguardo ai voti: un confronto quantitativo e qualitativo
La Commissione von der Leyen II non parte dunque nel segno della continuità, rispetto al mandato precedente. Infatti, con il 53,78% di voti favorevoli, non solo ha peggiorato il grado di approvazione del 2019, ma ha anche incassato la maggioranza più ristretta da quando il Parlamento è chiamato al voto di conferma. Sono inoltre diminuiti (da 401 a 370) anche i voti postivi rispetto a luglio quando la plenaria aveva approvato la presidente von der Leyen per una seconda presidenza.
*Contestualmente al voto sulla Commissione Barroso, il Parlamento ha approvato una risoluzione per porre le linee guida dei rapporti interistituzionali con 478 voti a favore, 84 contrari, e 98 astenuti. In alcune ricostruzioni, tale voto, viene intercambiato voto alla Commissione
**Il Presidente, per essere approvato deve essere ottenere la maggioranza semplice; Santer, infatti, ottenne meno della metà dei voti a favore, ma fu eletto Presidente a causa dei diversi astenuti.
I grafici prendono in esame i voti che il Parlamento europeo ha attribuito negli anni (dal 1995, quando è chiamato al voto di conferma) alle diverse Commissioni europee. Il voto dell’Eurocamera si divide infatti in due fasi: l’elezione del Presidente indicato dal Consiglio Europeo e l’elezione della Commissione nel suo insieme.
Già da una prima analisi dei grafici, emerge che la Commissione von der Leyen II non è soltanto quella ad aver ottenuto la più bassa percentuale di voti dal Parlamento, ma rappresenta anche l’unico caso in cui il voto sul Presidente ha registrato più consensi rispetto a quello sul Collegio. Situazione questa determinata da fattori quali ad esempio la dispersione di alcuni voti di socialdemocratici e verdi – dovuta soprattutto alla scelta di affidare la vicepresidenza esecutiva all’esponente di ECR Raffaele Fitto – e al voto contrario dei popolari spagnoli, legato alla presenza nel Collegio dell’esponente Teresa Ribera, vicepresidente uscente del governo spagnolo a guida socialista.
Prendendo in esame il voto sulla Commissione, l’analisi si fa ancora più interessante mettendo a raffronto i voti dei diversi gruppi politici ricevuti dai due Collegi.
Dal confronto emerge subito una maggior rilevanza del PPE nel voto del 2024. Crescono di rilevanza anche i Verdi e ECR, nonostante entrambi i gruppi si siano divisi sul voto.
Cala invece la rilevanza del gruppo Renew, che, sebbene abbia votato in maniera compatta a favore della Commissione, si è ridotto notevolmente dopo le elezioni del 2024. Un fattore che, seppur in misura minore, ha condizionato anche la riduzione della “fetta” di voti di S&D, a cui hanno contribuito anche alcune defezioni nel voto.
Infine, è da sottolineare la riduzione dei voti (da 11 a 2) dei non iscritti: nel 2019, infatti, dieci esponenti del M5S, non iscritti ad alcun gruppo, votarono a favore della Commissione, uno scenario che nel 2024 non si è ripetuto anche perché gli eurodeputati M5S sono oggi iscritti al gruppo The Left che ha votato compatto contro la nuova Commissione.
VDLI I vs VDL II: le due Commissioni a confronto
Per concludere l’esame, vale la pena analizzare la diversa composizione delle due Commissioni von der Leyen, guardando ai gruppi politici di affiliazione dei diversi commissari, ricordando che la differenza della composizione, è ovviamente determinato dagli scenari nazionali intercorsi negli ultimi cinque anni, dal momento che sono i governi degli Stati membri a proporre i Commissari candidati.
Dall’analisi emerge chiaramente la netta predominanza del PPE, a cui è affiliata più della metà del Collegio. Restano stabili i rappresentanti di Renew (nel primo grafico il francese Breton è segnato come indipendente ma, nominato da Macron, non era distante da tale area politica), mentre cala il numero di commissari socialisti.
In generale, soprattutto grazie alla spinta del PPE, si può affermare che la nuova Commissione proviene maggiormente da partiti di centrodestra rispetto alla precedente. Inoltre va sottolineato come nel 2019 i vicepresidenti e vicepresidenti esecutivi[1] fossero suddivisi solo tra PPE (3), S&D (2) e Renew (2). Nella nuova Commissione invece i sei vicepresidenti esecutivi non includono solo questi tre schieramenti (2 S&D, 2 Renew, 1 PPE), ma anche un rappresentante di ECR (Raffaele Fitto) che rappresenta invece una forza politica decisamente più conservatrice.
[1] Tale distinzione non esiste nella Commissione von der Leyen II