When the moon hits your eye like a big pizza pie, that’s amore.
Una parafrasi dell’amore: That’s amore fu un’ode alla pizza, uno spot planetario per un piatto simbolo della cucina italiana, una divertente canzone conosciuta in tutto il mondo cantata sornionamente da Dean Martin nel film del 1953 The Caddy.
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La pizza è ormai un classico sovranazionale entrato nella vita quotidiana in quasi tutto il mondo: una delle poche specialità gastronomiche il cui nome è rimasto identico all’originale (italiano, indubbiamente) e che rappresenta un momento di socialità democratica.
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Matilde Serao (1884), in una delle sue citazioni più famose sulla pizza e più volte ripresa nei piccoli saggi di questo libro, profetizzava che la pizza fosse e dovesse restare un fenomeno legato al luogo in cui era nato, ovvero la città di Napoli.
Oggi sappiamo che questo vaticinio non è una profezia che si è realizzata, tutt’altro: l’indiscutibile bontà e la versatilità di questa specialità gastronomica hanno contribuito a diffonderla nei quattro angoli del mondo.
Potrà capitare di dare per scontato che tutti sappiano (o abbiano sempre saputo) di cosa parliamo quando si dice pizza e a tal proposito appare interessante – si cita dal web – l’affermazione di Antonio Pace (presidente dell’associazione verace pizza napoletana, Avpn) che ci apre occhi su un mondo da acculturare:
«sarebbe giusto ricordare che negli anni 80 dello scorso secolo gli americani credevano fosse un prodotto tipico degli Usa e che i giapponesi volevano sapere come si chiama la pizza in Italia».
Se ne ha conferma anche da un sondaggio di Sam Ward (Usa Today) condotto su un campione di 12.000 giovani americani duepunti per il 24% degli intervistati la pizza era la prima scelta (spaghetti e altri cibi di origine italiana assommano, complessivamente, al 22%), ma la nota dolente è proprio che molti degli intervistati, al tempo, erano convinti che la pizza fosse una preparazione ideata negli Stati Uniti.
Quando si parla di pizza a Napoli ci si prende molto sul serio ma deve essere chiaro che nel resto del mondo non scherzano affatto. Negli Usa, per stabilire la paternità della pizza, sono finiti davanti a un tribunale, la Court of Historical Review and Appeals che ha sede a San Francisco. Non si cada, però, nell’errore di considerarlo un vero tribunale le cui sentenze hanno valore di legge, perché i giudici di questa Corte particolare sono chiamati a esprimersi su argomenti di storia, avendo comunque ascoltato le controparti convenute come in un processo che si rispetti. Nel maggio 1991 la controversia tra alcuni studiosi finì in questo luogo perché bisognava stabilire che chi fosse l’inventore della pizza, così come la conosciamo oggi. In un’atmosfera eccitata, se non isterica, il presidente del tribunale George T. Choppeals, serio e con passato il giudice della Corte municipale della città, ha dato spazio alle opposte tesi, invitando i testimoni ai relatori esporle e sfregarle personalmente. Annie Soo, esponente della Chinese Historical Society, sosteneva la tesi che la pizza fosse discendente diretta della ping tse, quindi cinese, che veniva preparata per il figlio dell’imperatore della Cina fin dal XVI secolo. […]
A far da contraltare alla tesi cinese ecco Maurice Saint Yves, sostenitore della mediterraneità e, specificamente, della paternità italiana della pizza. Egli affermava che la pizza era conosciuta e mangiata in Italia già 3000 anni fa, il suo nome moderno deriverebbe dal termine latino picea, che significava “di pece”, dunque qualcosa di schiacciato e caldo, e indicava una pietanza che si stava cuocendo su una piastra bollente.
Il presidente di questo tribunale, il giudice Choppeals, ha proposto, di suo, che ci potesse essere una corresponsabilità etrusca nell’elaborazione della ricetta emettendo sentenze al 28 maggio 1991: la Court of Historical Review and Appeals si è espressa a favore della tesi di Maurice Saint Yves, la pizza è italiana!
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A questo punto è il caso di ritornare ai giorni nostri e di “dare un po’ di numeri” per provare a capire la vastità della diffusione della specialità gastronomica pizza, in Italia e nel mondo.
Iniziamo con un dato globale parliamo di un mercato mondiale che, si stima, generi un fatturato di circa 62 miliardi di euro per un numero, stimato, di 5 miliardi di pizze all’anno. In Italia si calcola siano in attività circa 50.000 pizzerie di cui 20.000 da asporto. Nel mondo si stima che i ristoratori italiani e le pizzerie raggiungano il numero di 72.000.
Infine, ne è passato di tempo, anche se non poi tantissimo, dalle prime pizze sfornate dagli italiani costretti, dalla povertà e dalla fame, a emigrare lontano dal proprio Paese, ma si può fermare senza tema di smentita che la pizza ha conquistato gli Usa in quanto gli statunitensi mangiano più pizza di qualunque altro popolo al mondo.
Di Sabina Berardino
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