In uno studio pubblicato su The Lancet Oncology i ricercatori hanno indagato se l’età avanzata costituisca un fattore prognostico sfavorevole
Alla fine dello scorso mese di dicembre è stata presentata l’edizione aggiornata del volume “I numeri del cancro in Italia 2024”, secondo cui sono state poco meno di 400mila (390.100 per la precisione) le nuove diagnosi oncologiche in Italia nell’anno appena trascorso. Si tratta di un dato in linea con quelli degli anni precedenti confermando una certa stabilità, con il tumore della mammella che continua a essere la forma maggiormente diagnosticata, seguita dal tumore al colon-retto e del polmone. Guardando più nel dettaglio, però, si osserva che certi tumori mantengono un’incidenza elevata e fra questi spicca il tumore dell’endometrio: è la terza più frequente neoplasia tra le donne nella fascia di età compresa tra 50 e 69 anni e la quarta in assoluto nel sesso femminile dopo mammella, colon-retto e polmone. Pertanto uno degli obiettivi della ricerca in campo oncologico è di comprendere a fondo i fattori di rischio a cui è associata questa forma di tumore.
In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista The Lancet Oncology un gruppo internazionale di oncologi e ginecologi, coordinato dal personale dello University Medical Center di Leiden (Olanda), ha analizzato i dati di 1.801 donne incluse negli studi clinici PORTEC-1, -2 e -3 allo scopo di capire se l’età avanzata costituisca o meno un fattore prognostico causale per questo tipo di tumore. Infatti, l’età avanzata è inclusa tra i fattori di rischio per il tumore dell’endometrio, insieme a obesità (elevato indice di massa corporea), menopausa tardiva, menarca precoce, nulliparità, diabete, sindrome metabolica, ipertensione, terapia ormonale sostitutiva a base di estrogeni senza controllo del progesterone, storia familiare e predisposizione genetica. Indubbiamente si tratta di un lungo elenco ma quello che ricercatori hanno cercato di scoprire attraverso la loro analisi è se le donne con insorgenza di questo tumore in età avanzata presentino un maggior rischio di recidiva o di decesso associata alla patologia. Per farlo hanno preso in considerazione donne affette da forme di tumore a rischio intermedio (714), intermedio-alto (427) e alto (660).
Infatti, proprio sulla base dei fattori prognostici e molecolari i tumori dell’endometrio si suddividono in classi di rischio che prevedono anche un diverso tipo di trattamento. I tumori a rischio intermedio (G1-G2 senza invasione dello spazio linfovascolare) comprendono sia forme con instabilità dei microsatelliti che tumori senza una definizione molecolare specifica, mentre quelli a rischio intermedio-alto sono maggiormente infiltranti, scarsamente differenziati e possono essere affrontati in maniera diversa a seconda che i linfonodi siano o meno negativi. Infine, il trattamento dei tumori ad alto rischio richiede una combinazione di chemioterapia sistemica seguita da radioterapia o radio-chemioterapia concomitante.
I ricercatori hanno pertanto effettuato una valutazione comparativa di tutti i dati raccolti, da quelli di natura clinica a quelli ematici e istologici, senza trascurare quelli molecolari, allo scopo di dare una connotazione chiara alla variabile dell’età. In questo modo hanno compreso che sia il rischio di recidiva che di morte aumenta in maniera significativa con l’aumentare dell’età delle pazienti. Inoltre, le donne in cui la diagnosi viene posta in età più avanzata presentano con maggiore frequenza l’invasione del miometrio e risultano spesso più affette da forme di tumore con mutazione di p53, associate a una prognosi infausta. Secondo l’analisi degli oncologi l’età avanzata è dunque associata all’insorgenza di forme tumorali più aggressive e questo concorre a definire una casistica di donne a maggior rischio che devono esser sottoposte a controlli e per cui sono necessari protocolli di trattamento mirati. Tali conclusioni sono in parte riprese da un commento pubblicato sullo stesso numero della rivista, firmato da due ricercatori del reparto di Ginecologia Oncologica del City of Hope National Medical Center di Duarte. “Sono necessarie nuove strategie di trattamento per affrontare sia le disuguaglianze in termini di mortalità tra le diverse popolazioni che la crescente incidenza a livello globale del tumore dell’endometrio” riportano gli autori, consci che una maggior comprensione della biologia del tumore dell’endometrio stia portando all’impiego di nuove combinazioni chemioterapiche e, soprattutto, aprendo la strada ai nuovi trial che esplorano promettenti combinazioni terapeutiche contro le forme più avanzate di tumore.
Una di tali ricerche è stata pubblicata ancora sulla rivista The Lancet Oncology poche settimane più tardi e riporta i risultati dello studio di Fase III AtTEnd in cui è stata esplorata la validità dell’uso combinato di atezolizumab (un anticorpo monoclonale diretto contro PDL1) con la chemioterapia standard nelle forme avanzate o recidivanti di tumore dell’endometrio. Infatti, quasi un tumore dell’endometrio su tre presenta instabilità dei microsatelliti ed è maggiormente suscettibile alla terapia con farmaci inibitori dei checkpoint immunitari: sono in crescente aumento gli studi clinici - come AtTEnd - che supportano i buoni risultati della combinazione tra farmaci immunoterapici e chemioterapia standard anche nelle prime linee di trattamento (è il caso del trial di Fase III DUO-E). L’aggiunta di farmaci immunoterapici nei protocolli di trattamento di forme avanzate o metastatiche di cancro dell’endometrio ha portato a un sostanziale miglioramento degli esiti della terapia, soprattutto in presenza di instabilità dei microsatelliti, un risultato nettamente evidenziato nel trial AtTEnd in cui la combinazione di atezolizumab e chemioterapia standard ha incrementato la sopravvivenza libera da progressione, specialmente nelle pazienti con MisMatch Repair deficiency (MMRd), situazione contraddistinta dall’accumulo di inserzioni e/o delezioni nei siti microsatellitari.
La disponibilità di nuovi trattamenti rende ancora più urgente l’approfondimento dei fattori di rischio associati a questo tumore che, se identificato precocemente, ha maggiori tassi di sopravvivenza. È perciò fondamentale mettere a punto programmi che non escludano dai controlli le donne in età più avanzata e che integrino anche un’attenta analisi genetica laddove si evidenzino possibili fattori di rischio ereditario (questo tumore, ad esempio, riconosce una forte associazione con la sindrome di Lynch).