Workout Magazine - Studio Chiesa communication
Trasporti e sostenibilità, un binomio possibile?
Heritage al femminile: Workout magazine incontra Camilla Buttà, Communication & Sustainability Manager di Vector S.p.A.
Di primo acchito associare un’impresa di trasporti internazionali a un concetto di sostenibilità pare una faccenda ingarbugliata. Nella migliore delle ipotesi evoca un ossimoro, soprattutto se parliamo di ambiente. Basta dare una scorsa ai dati dell’Inventario Nazionale delle Emissioni in atmosfera redatto annualmente da ISPRA oppure a quelli dei rapporti TERM dell’EEA (European Environment Agency): con pochi scostamenti da un anno all’altro – la sola grande eccezione è stato il 2020, contrassegnato dalla pandemia di Covid – i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di CO2 con una fonte prevalente (più del 90%) costituita dal trasporto su gomma, seguito dalla navigazione, dall’aviazione e, fanalino di coda, dal trasporto su rotaia. Senza contare che l’impatto sull’ambiente non è riconducibile solo al tema delle emissioni dei gas serra, ma anche alla gestione dell’energia e delle risorse naturali nonché dei rifiuti. La sensazione in questi casi è di andare a parlare di corda in casa dell’impiccato con tutto quel che ne consegue, ammissioni imbarazzate o risposte evasive che siano. Invece Vector è stata una sorpresa.
Fondata nel 1978 a Castellanza, collocazione quanto mai strategica vista la vicinanza dell’aeroporto di Malpensa, e lì ancora saldamente insediata, Vector S.p.A. vanta un curriculum di tutto rispetto di cui Camilla Buttà, della famiglia proprietaria dell’azienda di cui è Sustainability & Communication Manager, mi snocciola con giusto orgoglio i dati più importanti: rientra tra i primi 10 agenti IATA (l’unica a non essere una multinazionale) per merce movimentata via aerea, possiede alcuni camion propri, 4 magazzini, una cool-room per le merci che devono essere conservate a temperatura, la dogana interna e una macchina a raggi X, è certificata ENAC. Sono asset che le consentono di distinguersi in un mercato in cui, dice Camilla «basterebbero, volendo, un computer e un collegamento Internet per svolgere il lavoro mentre noi abbiamo deciso di portarci in casa una serie di servizi che fanno la differenza pur comportando costi fissi importanti». Così come fa la differenza la capacità di gestire quelle che vengono chiamate le spedizioni «fuori sagoma», cioè quelle che non possono essere containerizzate perché hanno dimensioni e peso eccezionali.
«Abbiamo sviluppato competenze specifiche su particolari settori merceologici, per esempio il farmaceutico o il food-beverage, che esigono una catena del freddo costante con determinati livelli non solo di temperatura, ma anche di umidità, e tipi particolari di imballaggio. Oppure il fashion, campo nel quale il rispetto assoluto della tempistica di consegna così come una conservazione impeccabile dei capi trasportati sono fattori imprescindibili. O ancora la difesa, che include anche il trasporto di mezzi, corazzati e non, e in questo caso siamo tra i pochissimi operatori italiani al 100% a gestire certe spedizioni». Questa capacità di rispondere a richieste non usuali e non banali ha portato a una crescita importante dell’azienda che oggi muove circa 40.000 spedizioni all’anno su mercati che sono essenzialmente extraeuropei con Cina, Corea, India, Vietnam e Brasile come punte di diamante, anche se, sottolinea Camilla «stiamo avendo ottimi risultati anche sugli Emirati Arabi, Australia, Stati Uniti, Messico, Giappone e Thailandia».
E dire che l’attività di spedizioniere non era esattamente nelle primarie ambizioni di Roberto Buttà, il padre di Camilla, che dopo aver iniziato un paio di facoltà universitarie aveva deciso di lasciar perdere la laurea. Ai trasporti ci era arrivato un po’ per caso: parlava molto bene l’inglese e questa skill lo aveva fatto assumere come centralinista in un’azienda di spedizioni internazionali. Il classico inizio dal basso, da cui parte una brillante avventura lavorativa: a 24 anni Roberto è già dirigente commerciale e una decina di anni dopo decide di mettersi in proprio. Poi nel 1990 la merge con Vector: «L’azienda, che all’inizio si occupava prevalentemente di trasporti terrestri su scala locale, era stata creata da cinque soci originari del territorio. Quando la compagine societaria ne perse due, il loro posto fu preso da mio padre e dal suo socio che apportarono un cambiamento deciso, più orientato all’internazionalità. Soprattutto mio padre ebbe l’intuizione di scegliere mercati, come la Corea, la Cina, l’India, che all’epoca non interessavano ai competitor orientati invece agli Stati Uniti: viaggiava molto, ha stretto forti relazioni commerciali con partner locali focalizzandosi sulle esportazioni aeree ed è così che la Vector ha cominciato a crescere». Nel corso del tempo Roberto ha acquisito le quote degli altri soci e oggi la holding di famiglia è proprietaria del 75% dell’azienda con la percentuale residua ancora in possesso dell’ultimo dei soci di partenza.
Nei primi anni Duemila si affaccia il tema del cambio generazionale: «Mio padre – racconta Camilla – si avvicinava ai sessant’anni, era ancora giovane (è del 1957), ma si trovava in un momento di riflessione sul futuro, si chiedeva e ci chiedeva cosa volessimo fare tanto più che l’azienda ormai aveva raggiunto dimensioni importanti ed era arrivata una proposta di acquisto veramente allettante». Il primo a rispondere alla «chiamata» è il fratello di Camilla, Andrea Buttà, oggi CEO, che entra in Vector nel 2007/2008, poi – siamo nel 2011– è il turno di Camilla: «Il mio percorso iniziale è stato molto lontano dal business di famiglia. Mi ero laureata in scienze turistiche specializzandomi poi in cooperazione internazionale e turismo responsabile e sostenibile e le mie prime esperienze lavorative sono proprio state in quel campo, una delle più belle ha visto come scenario il Perù dove ho anche vissuto per un po’ di tempo, ma ho seguito progetti in varie parti del mondo, dall’Ecuador al Marocco, dal Senegal al Madagascar. Poi ho compiuto 30 anni e mi sono resa conto che il tipo di vita che conducevo difficilmente si sarebbe mai conciliata con altre progettualità che avevo, tra cui anche quella della maternità e così sono rientrata in Italia e ho fatto il mio ingresso in Vector». Inizialmente Camilla si occupa di commerciale e pricing, affiancando alle sue funzioni la responsabilità di attivare un percorso di Diversity & Inclusion, a quei tempi concetti ancora nuovissimi e sconosciuti ai più. Infine dal 2021, quando Vector è diventata Società Benefit, ha assunto il ruolo di responsabile d’impatto e della sostenibilità.
Già, sostenibilità. Ma quale? O meglio, in che senso, visto il campo in cui opera l’azienda? «Innanzitutto per me sostenibilità non è solo quella ambientale, un’azienda sostenibile è un’azienda che si dota di una strategia che le permette di durare nel tempo – chiarisce Camilla – e se vuoi durare nel tempo devi non solo avere cura delle tue risorse senza andare a esaurirle, ma anche analizzare i rischi in cui puoi incorrere e il loro possibile impatto sull’azienda e sulla realtà che la circonda per poterli prevenire. Ecco perché, a mio parere, in primis deve esserci una sostenibilità in termini economici e di governance». Il lavoro fatto proprio per rispondere a questa esigenza è stato importante: «Abbiamo creato una holding famigliare per tutelare il passaggio generazionale delle quote e ci stiamo organizzando nel caso in cui l’altro socio decida di liquidare le sue. Secondariamente, siamo passati da una gestione padronale a una managerializzata creando un organigramma efficace in termini di strutturazione e crescita dell’azienda. Abbiamo infine adottato il modello 231 per gestire preventivamente i rischi di reato e poter quindi evitare il blocco dell’azienda nel caso malaugurato che invece ne venga compiuto uno». Un lungo e non semplice iter che ha consentito di «mettere in sicurezza» l’azienda.
Sull’impatto ambientale, Camilla non svicola, al contrario è molto chiara e decisa: «È evidente che lavorando nel settore dei trasporti e movimentando merci, quell’impatto c’è. Tuttavia facciamo il possibile per mitigarlo. Vector ha iniziato questo percorso nel 2014 con il conseguimento della certificazione 14001, dal 2018 mappiamo le nostre emissioni dirette e indirette, queste ultime connesse con le spedizioni, e abbiamo attuato una strategia di riduzione e compensazione di quelle dirette, cioè le nostre. Acquistiamo solo energia rinnovabile, per i nostri camion utilizziamo il più possibile HVO, cioè un carburante diesel vegetale al 100%, abbiamo ridotto considerevolmente la quota di materie prime vergini acquistate, come carta e plastica, in favore di materiali da riciclo, gestiamo in modo responsabile sia gli scarti che i rifiuti che derivano dalle nostre persone». Camilla sottolinea che, grazie alla mappatura delle emissioni delle spedizioni, i clienti possono andare in compensazione e attuare delle strategie di riduzione. E se non possono rinunciare alla spedizione aerea Vector può aiutare a trovare delle modalità meno inquinanti: «Per esempio, se si sceglie un volo diretto anziché uno in transhipment, che implica due voli, abbatti già solo così il 30% di emissioni perché sono le fasi di decollo e di atterraggio le più emissive. Purtroppo però il mercato non è ancora del tutto sensibilizzato sul tema, la leva prezzo resta il driver più importante e visto che certe scelte impattano dal punto di vista economico è difficile che vengano attuate di default. Occorrerebbe che in un’azienda, quando si affrontano questioni che impattano sulla sostenibilità, ci si sedesse tutti attorno a un tavolo esplicitando le reciproche esigenze. Purtroppo