Intervista a Luca Formenton, presidente della casa editrice.
di Paolo Soraci
Per raccontare la storia de Il Saggiatore non basta certo un articolo. Per dire, il più recente volume dedicato a questa sigla cruciale nella storia della cultura italiana prende più di 270 pagine. Quella della casa editrice fondata nel 1958 da Alberto Mondadori, il figlio ribelle di Arnoldo, è infatti, insieme, una grande avventura intellettuale, una sfida alla cultura di un’Italia ancora arretrata, un romanzo dinastico, un dramma famigliare. Si apre con una lettera di Alberto ad Arnoldo, insieme programmatica e accorata, intitolata “Al padre”. Come quella celebre di Kafka che proprio dal Saggiatore sarà di lì a poco pubblicata in prima edizione italiana, nel 1959. Da allora, tra gli andirivieni dentro e fuori dalla casa-madre (o meglio sarebbe dire la casa-padre), il Saggiatore segnerà con le sue collane e i suoi autori – bastano i nomi di Claude Lévi-Strauss, Marshall McLuhan, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Arnold Schönberg? – quasi settant’anni di letture, dibattiti e progressi culturali italiani.
Quello che ci interessa qui è un oggi che di quel passato è nutrito e innervato, ma che confina con l’appena ieri e si proietta sul futuro. E di questo parliamo con Luca Formenton, il presidente della casa editrice, rilevata nel 1993 dalla Mondadori, dove era rientrata per un’ultima volta dopo la morte del fondatore, riducendosi a collana di saggistica accademica, persa nell’immane catalogo del colosso di Segrate. Luca Formenton ha “firmato” questi secondi trentadue anni di storia del Saggiatore. In mezzo ci sono stati il ritorno alla piena indipendenza, l’avventura del gruppo editoriale con Pratiche e Marco Tropea Editore e l’attuale stagione segnata dal ritorno a sigla unica, arricchendo di grandi nomi e sorprendenti scoperte – Norman Manea, Allen Ginsberg, Carlos Fuentes, Joyce Carol Oates, Joan Didion, John Keegan, Ashley Khan – un già prestigioso catalogo.
Luca Formenton, che cos’è oggi il Saggiatore? Quanto e cosa pubblica? Quali sono i territori elettivi di intervento?
Nella sua filosofia di fondo, il Saggiatore rimane sostanzialmente quello che era ai tempi di Alberto: una casa editrice che guarda al contemporaneo e non all’attuale. Una casa editrice che ha una concezione illuministica della cultura, che concepisce i libri, siano essi narrativa o saggistica, come strumenti per aiutare i lettori a formarsi un progetto della propria vita. Ed è una casa editrice che negli ultimi anni si è profondamente rinnovata, allargando la sua audience a un pubblico molto più giovane di quello che tradizionalmente serviva. Oggi possiamo dire che grazie ai forti investimenti che sono stati fatti sulla comunicazione e traendo vantaggio anche del periodo del lockdown siamo riusciti ad allargare il nostro pubblico e ad abbassarne drasticamente l’età.
Come ci siamo riusciti? Secondo me prendendo atto del diverso comportamento che oggi distingue i marchi editoriali. Con l’avvento del web, con il peso sempre maggiore acquisito da tutti gli shop on line, con la costruzione dei social media, la comunità e quindi il marchio delle case editrici, è diventata molto più importante di quanto fosse un tempo, quando il lettore medio andava in libreria a cercare un libro, indipendentemente da chi era l’editore. Oggi invece, non dico che sia un comportamento generalizzato, ma sicuramente il lettore cerca anche il marchio, la casa editrice, l’oggetto libro di un determinato editore. E questo, lo ripeto, si ottiene costruendo una comunità intorno al marchio. Noi abbiamo lavorato molto bene, e non parlo di me, che sono un vecchio boomer, ma delle ragazze della comunicazione, che gestiscono il web e i social.
Qualcuno ricorderà la campagna di solidarietà digitale lanciata dal governo durante il lockdown. Il Saggiatore fu la prima casa editrice ad aderire. Demmo i nostri libri, ovviamente ebook, gratis, un certo numero a settimana, con un messaggio che non aveva niente di commerciale, era un messaggio di comunità: “È un momento difficile e triste per tutti quanti. Quello che possiamo offrire noi sono le nostre storie, i nostri saggi. Ve li regaliamo, nella speranza che possiate avere un attimo di conforto in più con la loro lettura”. Questa cosa ha funzionato moltissimo, abbiamo fatto conoscere il marchio del Saggiatore anche al di là dei nostri lettori abituali. Alla fine, abbiamo chiesto a tutti i sottoscrittori, a tutta la nostra comunità “Mandateci un racconto di una pagina della vostra vita dietro la finestra, che ne faremo un libro”. Ci arrivarono un migliaio di testi, dai quali ne selezionammo duecento, e uscì un piccolo libretto digitale che si chiama La vita davanti alla finestra, che ha portato circa diecimila download.
La casa editrice somiglia più adesso al suo passato di quanto somigliasse anni fa. Da qualche anno abbiamo eliminato i tascabili. Eravamo consci che il mercato dei tascabili è un mercato che ha senso solo per grandi editori. Noi invece abbiamo scoperto per esperienza diretta che ripresentare i nostri libri in veste di trade edition, come si dice in gergo tecnico, a un prezzo anche più alto, funzionava molto meglio. C’è un famoso esempio che faccio sempre e che riguarda uno storico libro del Saggiatore, Dei ed eroi della Grecia, che in economica non vendeva più di centocinquanta, duecento copie l’anno. Ovviamente era impaginato male, fotografato, su carta da poco, tutto nell’ottica del risparmio tipico di un’edizione economica dal minimo costo industriale possibile. Quello che abbiamo fatto è stato riimpaginare il libro, dargli una nuova introduzione, metterlo nella collana maggiore, di conseguenza aumentare il prezzo da 13 a 24 euro.
Il risultato è che abbiamo venduto più copie, con un ricavo maggiore. Come se non bastasse, ed è una cosa che fa un po’ ridere, è pure uscito un articolo sul Corriere della Sera che diceva “il Saggiatore riscopre Keréniy”, quando era in catalogo da circa vent’anni. Dopodiché abbiamo fatto degli esperimenti con grandi editori che hanno una forte collana tascabile, stringendo, per esempio, un accordo con la Feltrinelli per cui abbiamo ceduto alla UE venticinque titoli dei nostri. La speranza era che potessero raggiungere un’audience più ampia e hanno funzionato molto bene.
L’altra grande novità del Saggiatore è l’attenzione che prestiamo alla narrativa, una presenza storicamente molto sporadica. Di questo si occupa direttamente Andrea Gentile, direttore editoriale e associated publisher e vera anima editoriale di questa casa editrice. Con lui abbiamo investito sulla narrativa e sulle nuove voci italiane, caratterizzate da una forte attenzione alla scrittura, contestualmente ripubblicando anche i nostri classici, tra i quali ricordo solo due acquisizioni recenti come Joan Didion e Olivia Laing, l’autrice di Città sola e di Everybody, che incarnano un’altra anima del Saggiatore, l’attenzione alla narrative non fiction, veramente uno dei trademark della casa editrice attuale.
Un altro segno distintivo del Saggiatore di oggi? I libri di saggistica sono prevalentemente italiani rispetto mentre una volta erano prevalentemente in traduzione. Questo perché progettiamo i libri in casa editrice, cercando di fare libri che in compenso abbiano un appeal internazionale, e infatti le nostre vendite all’estero sono nettamente aumentate. Un esempio per tutti è il libro A spasso con i centenari, che è nato da un’idea della casa editrice poi realizzato da una bravissima scienziata medica come Daniela Mari. Volevamo che avesse un esito anche all’estero e alla fine lo abbiamo venduto in sei Paesi.
Questa è l’ottica generale, dopodiché gli ambiti della saggistica di cui si occupa il Saggiatore sostanzialmente non sono molto cambiati: politica, storia, scienza, quest’ultima non nel senso più banale di pop-science, ma come ricerca di titoli e autori capaci di unire vocazione divulgativa e affermazione di paradigmi nuovi e diversi.
Insomma, qualità, qualità, e ancora qualità come specifico editoriale, sia nella scelta dei testi che nella loro proposta.
Ma certo. L’attenzione alla qualità è cruciale per un editore indipendente e di dimensioni contenute come il Saggiatore e parlo anche della qualità dell’oggetto. Ormai abbiamo capito che il libro di carta rimarrà, probabilmente avrà un mercato ridotto perché certo non sono conti magnifici, ma chi rimarrà nel libro di carta dovrà puntare certo sulla bontà dei testi e delle traduzioni e sulla cura redazionale, ma anche e non secondariamente sulle caratteristiche fisiche, grafiche, tattili di quel che pubblica, sulla stampa, la cartam le copertine, le sovraccoperte. Lo diceva sempre il mio grandissimo amico Peter Mayer, che è stato amministratore delegato in una mega casa editrice come Penguin, ma aveva anche una sua piccola sigla: “L’importante è la tangibilità e la bellezza del prodotto. Finché si rimane nella carta bisogna puntare sulla qualità”. Noi, per citare un nostro storico grafico, abbiamo “rubato” il bianco all’Einaudi. In nome di questo rigore abbiamo riprogrammato il catalogo, che oggi ha solo due collane, o meglio una sola collana in due formati: La Cultura grande e La Cultura piccola, che ospitano anche i titoli di narrativa, con un’idea unitaria di grafica, bianca, come dicevamo, e di illustrazione. Entrambi gli aspetti – e la grafica interna – sono affidati a una giovane grafica, che sta a Venezia ed è bravissima.
Ecco, quindi, la vocazione primaria dell’editore resta la saggistica, ma la sensazione è che anche in questo ambito il pubblico abbia conosciuto cambiamenti decisivi. A chi parla oggi Il Saggiatore? E come ci si rivolge? Come parla al suo pubblico il Saggiatore?
In parte l’abbiamo già detto prima: il Saggiatore parla a un pubblico giovane, dai venti ai trentacinque anni, oltre al nocciolo storico e inevitabilmente più anziano. Quello che siamo riusciti a fare in questi anni è mantenere la tradizione innovandola. Un esempio della nuova attività saggistica del Saggiatore sono i piccoli manuali, che hanno avuto un enorme successo, dal Piccolo manuale illustrato per cercatori di funghi a quelli per cercatori di foglie, di nuvole, di biblioteche, libri che escono dalla cosiddetta Officina Saggiatore, costruiti e scritti in casa editrice, direttamente dagli editor. Piccoli libri con prezzi bassi nell’ambito di una saggistica più facile, mai stupida, sempre con un angolo intelligente, che si affianca alla saggistica come l’abbiamo sempre fatta, e in mezzo ci stanno titoli come La storia del mondo in dieci imperi, di Paul Strathern, un tipico esempio dei libri che facciamo oggi; una forte idea di ricostruzione della storia con dietro una forte idea istituzionale.
Il Saggiatore produce un centinaio di novità all’anno e ha rinunciato alla propria collana di economici come bilanciare l’equilibrio tra novità e catalogo?
circa un centinaio di titoli all’anno di cui le novità vere e proprie sono più o meno una settantina, una trentina sono libri di catalogo, riproposte dal catalogo storico ovviamente, ma anche quello che abbiamo lanciato in questo decennio. E quindi sì la de Beauvoir, Lévi-Strauss, che per carità vendono benissimo, ma anche titoli molto più attuali, da Nassim Taleb e Il cigno nero, a un libro storico come il dialogo tra Truffaut e Hitchcock, altro libro che vende costantemente, o quello che è stato per lungo tempo il nostro best seller: Senza perdere la tenerezza di Paco Ignacio Taibo II, la biografia del Che Guevara più venduta forse al mondo, in Italia di sicuro.