Esistono animali che non esistono. Ed esistono allevamenti slow: ecco le differenze

Jacopo Goracci, zootecnico e membro del gruppo di esperti di Slow Food sull’allevamento, risponde alle domande dei soci di Slow Food Italia. 

Ci sono paesi e città, in Italia, dove vivono più suini di abitanti. E la stessa cosa, anzi in proporzioni in alcuni casi ancora peggiori, riguarda le galline, i polli, i tacchini, i bovini. Ma tutti questi animali, in queste città e in questi paesi, qualcuno li ha mai visti?

Risposta breve: no, vederli è praticamente impossibile.

Risposta lunga: no, perché la stragrande maggioranza degli animali allevati viene allevata al chiuso, in capannoni o gabbie: è l’allevamento industriale. Costa meno (alle aziende), ma è un modello che ha grandi criticità, sotto diversi aspetti. 

Noi di Slow Food crediamo in un approccio agroecologico all’allevamento. Abbiamo chiesto a Jacopo Goracci, zootecnico, membro dell’associazione italiana di agroforestazione, da anni parte del gruppo di esperti di Slow Food, di riassumere le caratteristiche principali degli allevamenti slow.

  • Gli animali vengono allevati all’aperto, dove possono nutrirsi e avere quei comportamenti che rendono la loro vita interessante;
  • Gli animali pascolano, cioè riescono a trarre valore nutritivo dalla loro vita all’aperto;
  • Dalla terra, gli animali non soltanto prendono qualcosa (cibo e nutrimento): in cambio forniscono cioè servizi ecosistemi, ad esempio concimando il suolo;
  • Proprio per gestire al meglio il suolo, il ruolo dell’uomo è fondamentale: gli animali vengono fatti ruotare, nel corso delle stagioni, in diverse aree dell’azienda, per evitare il sovrapascolamento e l’erosione delle risorse dei prati. Per questo, negli allevamenti slow, il numero di capi è normalmente di poche decine, al più qualche centinaio di esemplari.
  • Gli animali hanno cicli di vita più lunghi rispetto a ciò che accade negli allevamenti industriali: l’allevatore instaura una forma di relazione con gli animali e ne conosce i fabbisogni, rinunciando a considerarli come un mero strumento produttivo. 

Allevare in modo slow significa ragionare in termini di agroecosistema, cioè un ecosistema complesso, finalizzato alla produzione di cibo, dove convivono diverse forme di vita, sia vegetali che animali. Un sistema nel quale il prodotto finale – la carne, il latte, le uova – rappresenta soltanto un tassello di un mosaico molto più complesso, nel quale vanno tenute in considerazione le esternalità positive dell’allevamento slow, come la salute del suolo, la tutela del paesaggio, la capacità dei pascoli e dei boschi gestiti di assorbire CO₂.

L’allevamento è il primo tema approfondito nella Food to Action Academy 2025, la formazione di Slow Food Italia dedicata a tutti i soci Slow Food. Nella sessione primaverile approfondiamo cinque parole care alla nostra associazione per capire qual è la nostra visione a riguardo.

Ogni settimana, i soci Slow Food possono accedere al percorso formativo a loro dedicato e rivolgere domande agli esperti, le cui risposte saranno pubblicate nel podcast della settimana successiva.

Martedì 11 si è svolto il primo incontro online sull’allevamento slow, mentre martedì 18 marzo sarà pubblicata l’intervista podcast “L’esperto risponde” con Jacopo Goracci.

Per ascoltarla puoi iscriverti a Food to Action Academy qui.