La scuola materna di Tricerro, in provincia di Vercelli, ha un servizio mensa atipico. Un modello poco diffuso, se non raro, che invece dovrebbe essere prerogativa di un sistema di ristorazione scolastica che abbia l’intento di educare, oltre che di sfamare gli studenti.
In questa scuola non è una grande azienda il cui unico obiettivo è vincere la gara d’appalto a gestire il servizio mensa, ma un cuoco dell’Alleanza Slow Food.
Fabio Villa, cuoco dell’Osteria del Vecchio Asilo – che il nome sia un segno del destino? – di Tricerro, ha «un contratto diretto con i bambini». Lui si impegna a proporre un menù vario e biodiverso, mentre loro, i bimbi, si prestano a scoprire gusti nuovi. Non pensatelo come un mero patteggiamento, «i bambini ne sono curiosi ed entusiasti».
«Gli ho spiegato che il loro cervello è come una piccola spugna che ha bisogno di assorbire tante informazioni – racconta il cuoco -. Ora potrebbero non essere pronti a recepire alcuni gusti ma chissà che in futuro possano ripescare da questo bagaglio e riscoprirli. Ed è bello possedere un bagaglio ricco e variegato. Loro si fidano e assaggiano tutto e, se qualcosa non gli piace per proprio gusto personale, possono esprimere i loro giudizi. Devono capire che rispettiamo i loro gusti».
È tutta una questione di fiducia
Ma facciamo un passo indietro. Come si instaura una relazione di fiducia così forte tra un cuoco e i bimbi di una materna? E come si è trovato un cuoco dell’Alleanza in una mensa scolastica?
Quando, all’inizio di questo anno scolastico la cooperativa che gestiva la mensa della materna di Tricerro è fallita lasciando la scuola senza il servizio, il sindaco del paese ha pensato di rivolgersi a lui perché subentrasse nell’appalto.
Dopo un po’ di esitazione iniziale al pensiero di rinunciare al suo unico giorno di riposo, Fabio ha presto capito che avrebbe potuto fare la differenza per quei bimbi e non poteva quindi tirarsi indietro. «Ho consultato il menù degli anni precedenti ma, tra bastoncini di pesce e altre proposte insostenibili dal punto di vista nutritivo e ambientale, sembrava più adatto ad accontentare il dietista dell’Asl e rientrare in schemi fissi che a nutrire ed educare davvero gli studenti con un’alimentazione sana e giusta».
Così ha chiesto di avere carta bianca e di proporre non solo un menù ma un progetto educativo: «mi è subito venuto in mente l’appello lanciato da Slow Food per inserire l’educazione alimentare nelle scuole e mi è sembrata l’occasione perfetta per fare qualcosa di concreto in questo senso».
Un menù stagionale che valorizza la biodiversità
Fabio ha pensato per loro un menù apposito, completo e variegato, che segue le stagioni e propone prodotti locali, molti più legumi – confessa a questo punto che il suo segreto è frullarli, «così ne mangiano anche tre piatti» – e Presìdi Slow Food, come la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio. Le uova, ad esempio, sono quelle fresche dell’operatrice della scuola le cui galline mangiano l’avanzo dei pasti. L’olio è “quello buono”, da un produttore ligure e uno siciliano, «che dà il meglio di sé a crudo» e, infatti, il cuoco sta cercando, un passo alla volta, di fargli apprezzare l’olio crudo sugli alimenti. I pasti sono preparati al ristorante da Fabio e dalla madre – ormai per i bimbi nonna Lù – che lavora con lui in osteria, e arrivano, ogni giorno, alla scuola pronti per la cottura finale e il servizio.
«Io cerco sempre di fargli percepire il pasto non come un dovere noioso, piuttosto come un piacere e un momento di scoperta. Ci provo spiegando loro le proprietà dei cibi che gli propongo – come il fagiolo, la lenticchia, i broccoli – ma sempre con un linguaggio vicino alla loro età, che possa incuriosirli. E funziona! Dopo le vacanze di Natale un bimbo ha deciso che non gli piaceva più il pomodoro ma ha continuato a mangiare i broccoli perché gli avevo spiegato che lo rendono forte».
Parola d’ordine: inclusione
Nella mensa della scuola materna di Tricerro non si impara solo a nutrirsi volendo bene alla terra e al proprio corpo, ma anche che le differenze non sono un limite. «Abbiamo anche due bambini musulmani, segnalati dai genitori come vegetariani. Per loro l’Asl mandava delle diete diverse ma a mio parere non soddisfacenti. Il paese non è grande quindi ho chiesto ai genitori se davvero i loro figli fossero vegetariani o avessero paura delle contaminazioni». Quando Fabio ha capito che la scelta di indicarli come vegetariani nasceva da una pura precauzione ha cercato una soluzione, che non escludesse nessuno.
«Al ristorante ho una dipendente musulmana, quindi sapevo di potermi fidare. Abbiamo cominciato a comprare pollo e manzo halal di una macelleria locale e, nei giorni in cui il menù include la carne, servo a tutti i bambini lo stesso piatto. Perché tanto possono mangiarla tutti – spiega Fabio la sua idea disarmante per la sua semplicità -. Ho cercato di portare ai bambini un esempio pratico di inclusione. Credo che anche questa sia l’educazione che si può fare in mensa e a scuola».
L’educazione alimentare si fa (anche) oltre i banchi di scuola!
E non finisce ancora qui. Gli spunti per nuove lezioni di educazione alimentare sono sempre tantissimi. Come quando a novembre, una delle piante da frutto del cortile della scuola era stracolma di cachi. Il cuoco ha coinvolto gli operatori scolastici perché li raccogliessero prima che fosse troppo tardi. In questo modo i bimbi hanno potuto assaggiarli in compagnia e l’eccedenza è stata distribuita alle famiglie e agli operatori da portare a casa.
«Abbiamo così evitato un inutile spreco. Anche questa può essere una lezione per gli studenti. Ora aspettiamo di scoprire cosa regaleranno le altre piante».
A volte è lo stesso Fabio a prestarsi in prima persona per attività pratiche con i bimbi, come ad esempio fare il pane fresco tutti insieme. Altre volte invece propone incontri con apicoltori, allevatori e casari, panificatori e anche con alcuni genitori coltivatori di riso. «Una volta ho invitato una puericultrice con cui i bimbi hanno piantato alcuni semini in vasetti che conservano in classe. Così hanno l’occasione di vedere con i propri occhi la fatica, la costanza e la cura necessarie per produrre un alimento».
La mensa buona, pulita e giusta nasce da un lavoro di rete
Il problema più grande resta la burocrazia con la quale il cuoco deve scontrarsi per riuscire ad allargare le maglie di schemi fissi che facilitano il lavoro degli adulti ma non insegnano nulla ai più piccoli sulla loro salute e il loro futuro. Ci tiene a ricordare che non è solo. Il sistema scolastico è un po’ come una rete di nodi e maglie: se la burocrazia è un filo sfilacciato che indebolisce il sistema, c’è anche chi ha dato forza al suo progetto. «Va reso grande merito anche alle maestre volenterose e aperte come le maestre Patrizia – è stata sua l’idea dei papà agricoltori – e Michela, senza le quali tutte queste belle attività non sarebbero possibili. Sono loro, ad esempio, a occuparsi della burocrazia necessaria a far entrare tutte queste persone a scuola e a supportare gli incontri con attività parallele. Credo che il buon andamento del progetto sia frutto di una buona collaborazione».
Fabio ci dimostra che una mensa buona, pulita e giusta è possibile: «Bisogna agire fin dalla materna e non abbandonarli mai, perché ogni età riesce a cogliere aspetti diversi di un sistema che permette di affrontare i temi di educazione ambientale, i temi etici e la complessità dei mestieri».