TURISMO TENDENZE E PROSPETTIVE - Newsletter SL&A Marzo 2025 | Twissen

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Twissen collabora con SL&A nel proporre aggiornamenti costanti sul travel & tourism. La Newsletter di SL&A elabora previsioni basate su dati, studi e ricerche affidabili.  Le opinioni, per quanto importanti vengono lasciate ai nostri lettori: decisori, manager, operatori e professionisti del settore.

10 marzo.  PIÙ PRESENZE, PIÙ STRANIERI. MA ATTENTI A PARLARE DI “OVERTOURISM”.  Secondo i dati provvisori dell’indagine ISTAT “Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi”, il quarto trimestre 2024 presenta risultati molto positivi per l’andamento degli ospiti negli esercizi ricettivi: rispetto al medesimo periodo del 2023 le presenze aumentano infatti dell’11,1% e gli arrivi dell’1,2%.  Rispetto al quarto trimestre del 2023 le presenze registrano una crescita sostenuta per entrambe le componenti della clientela, ma con un incremento decisamente maggiore per gli stranieri (+5,9% per i residenti e +15,6% per gli stranieri). Le presenze dei turisti italiani sono in aumento nei mesi di ottobre e novembre (rispettivamente+9,7% e +13,7%), mentre a dicembre registrano una flessione del 3,1%. Le presenze dei turisti stranieri sono invece in forte aumento in tutti e tre i mesi del trimestre con variazioni superiori al 10%: in particolare +17,7% a ottobre, +13,9% a novembre e +11,9% a dicembre. Confrontando la composizione delle presenze negli esercizi ricettivi per l’intero trimestre rispetto a quella dell’anno precedente, la quota della componente estera cresce dal 53,2% del 2023 al 55,4% del 2024.

8 marzo. DONNE AL LAVORO NEL 2025. Ogni anno l’8 marzo The Economist pubblica l’indice del “soffitto di vetro”, che mette a confronto le condizioni di lavoro delle donne nei 29 paesi dell’OCSE, un club di 29 paesi. La Svezia è al primo posto, mettendo fine alla serie di due anni di vittorie dell’Islanda. I paesi nordici ottengono sempre buoni risultati, grazie alle politiche che sostengono la parità di genere e i genitori che lavorano. All’estremo opposto della classifica, la Corea del Sud, che era sempre arrivata all’ultimo posto, è salita al 28°, spingendo indietro la Turchia. La Nuova Zelanda è il paese che ha fatto registrare il miglioramento maggiore, salendo di otto posizioni e piazzandosi al quinto posto.  Uno sguardo più attento ai criteri di valutazione mostra quali fattori stanno guidando questi movimenti. Iniziando con l’istruzione, le donne in tutta l’OCSE si laureano all’università a tassi molto più alti rispetto agli uomini. A partire dallo scorso anno, il 45% delle donne aveva una laurea, rispetto al 37%  degli uomini. Nonostante questa tendenza la partecipazione alla forza lavoro delle donne rimane inferiore. Secondo gli ultimi dati disponibili, il 66,6% delle donne in età lavorativa aveva un lavoro rispetto all’81% degli uomini. Questi tassi variano notevolmente da paese a paese: in Islanda e Svezia, ad esempio, più dell’82% delle donne lavora, mentre in Italia la percentuale è solo del 58%. I tassi di partecipazione più bassi ostacolano la progressione di carriera, che a sua volta influisce sul divario retributivo di genere. La quota di donne nei Consigli di amministrazione delle aziende è aumentata dal 21% nel 2016 al 33% di oggi. Anche la rappresentanza in politica sta aumentando in tutta l’OCSE: la percentuale di seggi parlamentari occupati da donne ha superato per la prima volta nella storia  il 34%.

7 marzo. INCLUSIONE FA RIMA CON MARKETING .   È lapidario il giudizio di  Barbara Bosco su “The good in town” : “peccato che negli Stati Uniti molti colossi economici abbiano deciso di abbandonare le iniziative per la diversità e l’inclusione, per allinearsi alle nuove politiche del Governo”. Il mercato italiano (periferia dell’impero, ma anche trend setter) dimostra che le aziende che lavorano con continuità sul fronte della Diversity, Equity, Inclusion & Accessibility (DEIA) praticano (anche) una strategia commerciale vincente. È quanto emerge dal Diversity Brand Index 2025, ricerca italiana che misura l’efficacia dell’approccio inclusivo delle marche, crea una classifica e individua le migliori esperienze. La ricerca, condotta su un campione rappresentativo di 1.005 consumatori italiani, evidenzia una crescente polarizzazione nella percezione delle politiche inclusive: se da un lato il 69,5% degli intervistati sceglie con convinzione marche che parlano di inclusione, dall’altro si registra un aumento del 3,9% delle persone “arrabbiate”, contrarie alle politiche DEIA, che ora rappresentano il 17,8% del campione. Un dato significativo è quello relativo ai brand percepiti come non inclusivi: il 67,5% degli intervistati dichiara che non li consiglierebbe, con un aumento di 20 punti percentuali rispetto al 2024. Ancora più interessante è che il 32% (contro il precedente 0,6%) non accetta nemmeno le marche “neutrali” che non prendono posizione sui temi della diversità. I 10 progetti più meritevoli realizzati nel 2024 sono stati: ACE, Alexa, Fastweb, Ferrovie dello Stato Italiane, Idealista, Ikea, Nuvenia, Procter & Gamble, Sephora (con testimonial Big Mama) e TIM. La Generazione Z risulta particolarmente sensibile e penalizzante verso i brand non inclusivi, seguita dai Millennials. Curiosamente, ma forse neanche troppo, il cluster delle persone “arrabbiate” e contrarie alle politiche inclusive è composto principalmente da uomini (61%), residenti al Nord (51,8%) e di età tra i 18 e i 34 anni. A parte le Ferrovie, c’è poco turismo nell’inclusività; e forse anche viceversa.

5 marzo. LA FELICITÀ NON È QUELLA CHE CANTA AL BANO.  Non è la prima volta che se ne parla, anzi: già negli anni ’80 una ricerca CENSIS cercava di spiegare all’UE perché gli Italiani fossero “gli scontenti d’Europa”, sostenendo che il rallentamento della crescita economica e sociale creava più frustrazione delle situazioni in qualche modo più stabili, nel bene e nel male. Adesso a rispondere a questa domanda è l’Indice di Felicità realizzato dall’Istituto Piepoli per Udicon. Dalla ricerca emerge un dato significativo: il 37% degli italiani si definisce molto felice (punteggio 8-10 su una scala da 1 a 10), mentre il 26% si dichiara infelice (punteggio 1-5). La maggior parte della popolazione si colloca in una fascia intermedia, con un livello di felicità “abbastanza alto”. I più felici risultano essere gli over 54, mentre gli adulti di mezza età (35-54 anni) sono i meno soddisfatti. L’indagine evidenzia che i principali fattori di felicità sono: eventi positivi in famiglia (36%), miglioramento della salute propria o dei familiari (28%), soddisfazione affettiva (20%), stabilità lavorativa (13%), maggiore disponibilità economica (13%). Specularmente le principali cause di insoddisfazione sono: problemi di salute propri o familiari (36%), difficoltà economiche (24%), eventi negativi in famiglia (22%), instabilità lavorativa o perdita del lavoro (13%), impatto dei conflitti internazionali (14%). A conferma delle tesi del Censis, la felicità degli Italiani non dipende solo dai consumi, ma anche dalla percezione di stabilità e di fiducia nel futuro. Questo vuol dire che il benessere delle persone non si misura solo in termini di reddito e potere di acquisto, ma attraverso la qualità della vita nel suo complesso. Servizi accessibili, stabilità lavorativa, affetti e sicurezza sociale sono parametri fondamentali nella società di oggi. Qualcuno direbbe: “ricchezza e povertà post-materialistiche”.

20 febbraio. VENDI L’ITALIA, TUTTA L’ITALIA, COMPRA L’ITALIA. Lo spirito nazionale ci porta direttamente da Sanremo ai banchi del supermercato. A stilare la classifica dei primi 25 claim per valore del sell-out è l’Osservatorio Immagino di GS1Italy, che, basandosi sui dati NielsenIQ, ha rilevato l’andamento delle vendite di più di 138 mila prodotti, classificati in base alla presenza in etichetta di oltre 100 tra claim, certificazioni, pittogrammi e indicazioni geografiche. Al primo posto si colloca l’icona della bandiera italiana con quasi 7 miliardi di euro di vendite, generate dai 15.414 prodotti che riportano il tricolore sull’etichetta. In seconda posizione la certificazione FSC (Forest Stewardship Council) , con oltre 4,9 miliardi di euro di vendite, seguita dall’indicazione “100%italiano”, anch’essa con più di 4,9 miliardi di euro. L’analisi della graduatoria per valore delle vendite evidenzia un mix di claim e certificazioni che si concentrano in alcuni dei macro-fenomeni di consumo rilevati semestralmente dall’Osservatorio Immagino. In particolare, spiccano l’area delle intolleranze alimentari (con i claim “senza glutine” e “senza lattosio”), l’universo del free from (“senza conservanti”, “pochi grassi”, “pochi zuccheri”, “senza olio di palma”, “senza coloranti”, “senza zuccheri aggiunti”) e quello del rich-in (con la segnalazione del contenuto di proteine, fibre, vitamine e con l’indicazione “integrale”). Dal monitoraggio continuativo condotto dall’Osservatorio Immagino emergono anche i claim relativi a tendenze emergenti del largo consumo in Italia, come la sostenibilità (“meno plastica”, certificazione “Sustainable cleaning”, biologico), i nuovi stili alimentari (con i claim “vegetariano”, “vegano” e la certificazione kosher), le modalità di produzione (claim “filiera” e “prodotto in Italia”). Non siamo (ancora) entrati nell’era-Trump e abbiamo buone speranze di salvarci, almeno a tavola.

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