Anche le galline, nel loro piccolo, possono essere felici

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Intervista al veterinario Pietro Venezia, autore del manuale ‘Galline felici in permacultura’, che nelle campagne di Forlì gestisce un podere di cinque ettari e una ventina di avicoli.

Negli Stati Uniti mancano le uova: nei supermercati sono quasi introvabili e, chi ha la fortuna di capitare nel negozio giusto al momento giusto, ne può acquistare un numero limitato, in genere una dozzina e non di più. Le uova mancano perché scarseggiano le galline: dall’inizio dell’anno, a causa dell’influenza aviaria, sono stati abbattuti più di 30 milioni di capi. «Il fatto che adesso siano senza uova i grandi allevamenti americani, dove gli animali sono blindati all’interno di capannoni, dimostra che i sistemi industriali, basati su pochi elementi, non sono affatto perfetti sotto il profilo della sicurezza sanitaria, come invece sulla carta sarebbero dovuti essere. E soprattutto dimostra la facilità con cui possono crollare sistemi di questo tipo, dove la genetica è molto spinta, dove gli animali non hanno alcuna possibilità di vivere una vita normale, di sperimentare la socialità né tantomeno la sessualità, dove non esiste vento né sole, dove la luce e la temperatura sono sempre uguali, dove i mangimi arrivano da chissà dove: bastano variazioni minime e sistemi come questi rischiano di crollare drasticamente. Più ci si allontana dai sistemi della natura, più problemi ci sono». A dirlo è Pietro Venezia, medico veterinario con oltre trent’anni di esperienza e autore (insieme ad Andrea Minchio) del manuale intitolato Galline felici in permacultura. Lo abbiamo contattato per parlare di allevamenti avicoli, proprio nei giorni in cui New York fa i conti con il razionamento e il confine con il Messico diventa la frontiera del nuovo contrabbando di uova.

Permacultura, spiega Venezia nel suo manuale, altro non è che un sistema di progettazione che pone al centro i princìpi etici del prendersi cura della terra, delle persone e del futuro. Parlando di animali, «significa ripensare i sistemi nei quali essi vengono inseriti, domandarsi il tempo e lo spazio a disposizione, i limiti con cui fare i conti, e chiedersi come costruire, progettare o adattare un sistema per accoglierli correttamente». 

Galline in permacultura, i vantaggi sono (anche) di chi le alleva

Nel suo podere Lab’Arca nelle campagne attorno a Meldola (Forlì Cesena), l’unico esempio italiano di permacultura citato dal sito britannico della Permaculture Association, insieme alla moglie Laura possiede una ventina tra anatre e galline: vivono all’aperto, pascolano. E, per usare le parole di Pietro, fanno parte di un «sistema cooperativo». Significa che danno una mano all’uomo: «Potremmo dire che hanno una funzione antiparassitaria – dice – perché le galline, se inserite in un frutteto, in un oliveto, oppure in un orto a fine produzione, possono eliminare una gran quantità di potenziali aggressori delle produzioni nutrendosi di insetti e di larve trovate ai piedi delle piante, nei primi centimetri di suolo». Loro sono contente, chi le alleva altrettanto: perché non ha bisogno di usare chimica di sintesi per combattere possibili insetti indesiderati e, mica poco, dalle galline riceve in dono anche le uova. 

Nel podere, cinque ettari complessivi di cui due a bosco, il resto tra orto, frutteto, grano ed erba medica, Laura si occupa di ortaggi, frutta e verdura: gestisce una Comunità a supporto dell’agricoltura, un modello agricolo di economia solidale, di cui fanno parte una cinquantina di famiglie che si riforniscono direttamente dai produttori. «Gli scarti organici della nostra produzione vengono compostati e le galline – spiega Pietro – danno il loro contributo nell’ottenere il compost che poi viene reintegrato nell’orto. E contribuiscono anche a combattere eventuali sprechi domestici: è una forma di economia circolare, un circolo virtuoso dove, se non ci fossero gli animali, mancherebbe un pezzo».

Dinamiche che chi è abituato a vivere la campagna probabilmente ben conosce e pratica, ma sulle quali chi è poco abituato ad avere a che fare direttamente con la produzione di cibo magari non si è mai soffermato: «Negli allevamenti industriali si parla spesso di tecnopatie, cioè di patologie legate a tecniche di allevamento che portano gli animali ad ammalarsi. Poco più di sessant’anni di zootecnia industriale hanno creato un problema enorme a livello ambientale, sociale e di visione del futuro. Così, oggi, c’è una paura incredibile della natura: molti pensano che far uscire un animale da un capannone significhi farlo ammalare. Invece è vero proprio il contrario».

Slow Food è partner del progetto SUSTAvianFEED, parte del programma PRIMA, finanziato dall’Unione Europea, che ha come obiettivo l’ implementazione di sistemi innovativi di allevamento del pollame che impiegano un’alimentazione sostenibile, utilizzando catene alimentari rispettose dell’ambiente e in grado di promuovere le economie locali e la promozione sociale.

L’uovo sarà l’ingrediente protagonista della Giornata della Ristorazione 2025, in programma il prossimo 17 maggio, a cui aderiranno anche ostesse e osti dell’Alleanza Slow Food dei cuochi. 

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