In un tempo in cui le frontiere tornano a essere erette come muri e l’Europa sembra smarrire la sua vocazione di casa comune, la figura di Pier Giorgio Frassati (nato proprio oggi 124 anni fa) emerge con straordinaria attualità. La sua vita, radicata nella responsabilità verso lo studio e nella cura per gli ultimi, nella passione verso la montagna e nella dedizione viscerale agli amici, ha saputo avere uno sguardo internazionale che, sebbene sia uno degli aspetti meno conosciuti e studiati, possono indicarci oggi alcune coordinate di impegno per rinnovare il coinvolgimento in un processo di integrazione europea di pace e fraternità.
In un tempo in cui si è acceso il dibattito sul progetto europeo – da anni inceppato a causa della mancanza di volontà di far seguire alla globalizzazione della finanza quello della fratellanza, e ora minato dal crescente egoismo e isolazionismo statunitense, oltre che dall’aggressività delle dittature di fatto e della diffusione delle idee illiberali nei paesi democratici – è la vita del “Santo dei giovani” che può indicare al vecchio continente la via. Frassati non fu un politico, ma visse la politica come servizio, incarnando un’idea che oggi suona quasi rivoluzionaria: l’azione sociale e la costruzione di un mondo giusto non sono prerogativa delle istituzioni, ma compito di ciascuno.
Connesso intimamente con le paure e le aspirazioni del suo tempo
L’impegno Pier Giorgio l’ha scoperto grazie al suo essere, oltre che il “Santo dei giovani”, il “Santo delle associazioni” (Azione cattolica, Fuci, San Vincenzo) dove ha maturato uno stile che lo ha portato a essere connesso intimamente con le paure e le aspirazioni del suo tempo. Figlio di una famiglia dell’alta borghesia torinese, avrebbe potuto scegliere il privilegio e il distacco, invece l’esperienza comunitaria maturata dalla partecipazione alla vita ecclesiale attraverso le associazioni del laicato associato lo portarono a scegliere la vicinanza ai minatori, ai poveri, agli sfruttati. È per la sua vocazione a essere prossimo agli ultimi e agli sfruttati del suo tempo che studiò ingegneria mineraria: non per ambizione personale, ma per assumere le ansie e le ferite di quegli uomini spesso sfruttati e cercare di migliorare la sorte di chi lavorava nelle viscere della terra.
Questa attenzione ai dimenticati della storia lo rese cittadino del mondo. Viaggiò per un’Europa che non esiste più, lamentandosi delle sue frontiere (si veda la lettera a Maria Fisher del 24 novembre 1921); studiò all’estero, in Germania, dove intrecciò relazioni con giovani di diverse nazionalità vivendo un’esperienza che da giovani europei, oggi, definiremmo Erasmus; si impegnò per la pace, in un’epoca segnata dalle tensioni tra le due guerre mondiali, rendendo sempre operosa la sua preghiera e mostrando l’importanza della vicinanza e della cura che dovrebbe essere propria di ogni credente. La sua convinta attività in “Pax Romana”, organizzazione che riuniva studenti cattolici di diversi Paesi per costruire un futuro di riconciliazione, ci mostra come Pier Giorgio aveva compreso che la pace non è solo un trattato tra governi, ma un’architettura che si edifica giorno per giorno, nell’amicizia tra i popoli e nella giustizia sociale!
La montagna: un modo per allenarsi a vivere la solidarietà
La stessa passione di Pier Giorgio per la montagna – che meglio si gustava in condivisione con gli amici – va oltre l’amore per l’escursionismo, è un modo per allenarsi a vivere la solidarietà: in montagna, come nella vita, nessuno arriva fino in cima da solo, ha bisogno di salire in cordata. È lo spirito di collaborazione e sostegno reciproco, cuore del suo impegno sociale e religioso, mostra l’importanza del maturare la distinzione tra la generosità e generatività, tanto nei rapporti individuali quanto nella cooperazione tra nazioni: per la costruzione di un mondo giusto e equo non basterà il generoso impegno, occorrerà saper coinvolgere gli altri (siano i nostri vicini o altri Paesi) in un percorso di crescita e responsabilità per la costruzione di una città fraterna, giusta, solidale.
Una lezione che gli stati che dovrebbero comporre l’Europa sembrano aver dimenticato: troppo spesso la politica si riduce a difendere confini, a costruire barriere, a pensare l’identità come esclusione. Frassati ci insegna un’altra via: la politica della fraternità, che non teme l’incontro, che ridicolizza le frontiere come ostacoli alla libertà e che mette al centro chi resta indietro. In un’epoca di crisi migratorie, diseguaglianze e nuovi nazionalismi la sua testimonianza è un monito e un appello.
Frassati non era solo un uomo di idee, ma un uomo di gesti concreti
Pier Giorgio che non era solo un uomo di idee, ma un uomo di gesti concreti, esercitati spesso nel nascondimento, ventenne scriveva ai minatori, esortandoli a non sentirsi soli, difendeva con forza la dignità dei popoli oppressi, prendendo posizione anche contro le ingiustizie delle potenze europee, come quando condannò l’occupazione francese della Ruhr. Il suo impegno, fatto di piccoli gesti, di un quotidiano “artigianato di pace”, come lo definirebbe oggi Papa Francesco, superava i confini geografici e sociali. E se l’Europa vuole ritrovare la sua anima, deve tornare a essere il sogno di Ventotene, il sogno di Schuman, De Gasperi e Adenauer: un progetto che nasce dal bisogno di abbattere le divisioni e costruire insieme contro ogni egoistico nazionalismo.
Pier Giorgio Frassati, con il suo slancio verso gli ultimi e la sua fede nella possibilità di un mondo più giusto, avrebbe benedetto questa strada e ci avrebbe incoraggiato per rendere questo sogno realtà. La sua visione della politica non era fatta di giochi di potere, ma di servizio, di prossimità, di lotta per i diritti degli ultimi. La sua vita, vissuta con intensità fino all’ultimo respiro, è un richiamo potente a un’Europa che non si chiuda nelle sue paure, ma che torni a sognare insieme, con coraggio e Speranza.
Articolo pubblicato su Avvenire del 6 aprile 2025