La forza dell'Arte

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Workout Magazine - Studio Chiesa communication

Business di famiglia: Workout magazine incontra Tommaso Rossini, CEO di R.T.A. Srl e R.T.A. Robotics

Alla fine sempre a lui si torna, a quella straordinaria figura di imprenditore che fu Adriano Olivetti e alla sua rivoluzionaria visione di una fabbrica che «deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia» e che deve essere bella perché la bellezza sia «di conforto nella vita di ogni giorno». Si era negli anni Cinquanta e Olivetti nello stabilimento di Pozzuoli che inaugurava pronunciando quelle parole vedeva «un simbolo del modo in cui noi crediamo di dover affrontare i problemi dell’oggi, un simbolo delle cose che ci affaticano, ci animano e ci confortano». Tre verbi la cui associazione non manca mai di sorprendermi per la perfetta sintesi che disegnano, quella che caratterizza la nostra vita di tutti i giorni.

Da allora sono passati ben settant’anni ma si può dire che relativamente da poco certi suoi concetti sono diventati parte integrante della vision delle aziende italiane (e nemmeno poi di tutte, a dire la verità): lentamente si sta facendo strada un nuovo modello di imprenditore, guidato dalla Corporate Social Responsability, che lo identifica non solo come attore economico, ma anche come protagonista di una crescita civile, sociale e culturale del territorio. Soprattutto per quanto concerne la cultura, sempre più la si individua come uno degli strumenti con la quale operare in ambito CSR con un beneficio che è reciproco, per la comunità e per l’impresa: la comunità trova una risposta concreta alle sue necessità in termini di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, di supporto all’organizzazione di eventi e iniziative e in generale di allargamento della sensibilità locale su temi culturali, l’impresa migliora in reputation e in visibilità rafforzandosi sul mercato, anche nei confronti dei suoi competitor.

L’headquarter dell’azienda a Marcignago (Pavia).

Particolarmente interessante in questo senso è il fenomeno delle Corporate Art Collection, cioè l’acquisizione di opere d’arte da parte di un’azienda con la costituzione, all’interno degli spazi della società, di un vero e proprio museo privato che non di rado è aperto al pubblico, magari anche solo in determinati momenti dell’anno. Pur prescindendo dall’ovvia considerazione di essere comunque un asset finanziario, anche se nobilitato da una passione, una collezione d’impresa porta più di un vantaggio. Ce ne parla Tommaso Rossini, CEO di RTA, azienda leader in Italia nel mercato dei motori passo-passo, e di RTA Robotics, «gemmazione» recente della capogruppo (di entrambe parleremo a breve): «L’arte comunica all’esterno una qualità fondamentale nell’attività d’impresa, la creatività. Non solo, è una perfetta consigliera in questo campo perché invita e stimola al pensiero laterale, al pensiero centripeto, distante anni luce dal concetto sotteso al foglio Excel con le sue celle, e lo dico da utilizzatore di Excel! Penso che aiuti tantissimo nel lavoro di tutti i giorni e ho la sensazione che questa percezione non sia solo mia, ma sia generalizzata, visto che la nostra collezione non è chiusa nel mio ufficio, ma è diffusa in tutta l’azienda».

Sì, perché Tommaso ha inserito le opere in spazi che si possono definire «pubblici», come gli esterni della palazzina, l’ingresso con la reception, i corridoi, le sale riunione, una scelta fortemente voluta fin dagli esordi di questa iniziativa: «Sono convinto che piacciano e che qualcuno non solo ne possa fruire nel senso che sottolineavo prima, ma che le possa anche vivere come spinta a un approfondimento». Si tratta di una trentina di opere raggruppate intorno a due filoni principali: pop art e arte povera, con un focus sugli artisti del territorio come Marco Lodola, il gruppo dei Plumcake, Gianni Cella che di quel gruppo aveva fatto parte per poi seguire altre strade. Ai loro lavori si affiancano, talvolta nella stessa stanza, le opere di Giuliano Tomaino – il cui Cimbello accoglie il visitatore prima ancora che varchi la soglia dell’azienda –, i vortici di minuscole barchette di carta, delicate e preziose come origami, di Riccardo Gusmaroli, i quadri cerebrali e quasi distopici di Fosco Grisendi, con cui Tommaso ha negli anni sviluppato un’amicizia che, si capisce per come ne parla, lo appaga e lo arricchisce. Senza dimenticare i lavori «alchemici» di Umberto Mariani con la sua magica capacità di trasformare la pesantezza del piombo in morbidi panneggi e i capolavori in seta di Kim Guitart.

Giuliano Tomaino, Cimbello.

All’inizio di questa passione c’è una figura femminile, la nonna di Tommaso: «Era una donna che, pur non avendo studi strutturati alle spalle, possedeva una grande sensibilità e un grande amore per l’arte. Negli anni Sessanta e Settanta frequentava le gallerie di Milano, aveva anche comprato dei Fontana, che poi, ahimè, ha venduto. I miei genitori hanno ereditato, oltre che i suoi interessi, una parte della sua collezione che hanno poi ampliato. Il grosso lo conserva ancora mia madre nella nostra casa di famiglia, alcune opere a suo tempo le avevo invece prese per me ed è stato a quel punto che sono stato colpito da un pensiero: dato che la maggior parte del mio tempo lo passo in azienda, sarebbe stato bello averle in ufficio, poterle guardare ogni volta ne avessi avuto voglia. Ma poi da lì la riflessione si è subito spostata sull’opportunità di distribuirle invece nelle aree comuni, allargandone la fruizione e andando incontro così a una delle mie convinzioni, e cioè che per venire in azienda volentieri bisogna trovarci un motivo di attrazione. E per me questo non può che essere “il bello”: spazi armoniosi, chiari, ampi, luminosi arricchiti da opere d’arte, un luogo fisico dove si sta bene». L’espansione della collezione ha seguito il filo conduttore della ristrutturazione degli interni: «Ogni volta che veniva effettuato un intervento, cercavo di inserire un’opera». E la molla che invece spinge Tommaso nelle scelte? Innanzitutto il tema dell’enigma: «Amo quei lavori che contengono una domanda senza una risposta, che sono un quesito aperto, proprio come i dipinti di Grisendi. E poi quelli che sono un inno alla fantasia e alla rottura delle barriere intellettuali, che mi stimolano visivamente, cromaticamente, concettualmente».

Fosco Grisendi, Confidence 43.

Il concetto di benessere in azienda si declina anche su altri piani: «Negli Stati Uniti due sono le classifiche che tutti guardano: il Fortune Global 500, cioè la lista delle 500 aziende più performanti al mondo in termini di revenue, e il World Best Workplaces, che invece individua quelle imprese che mettono al centro del loro sistema valoriale le persone. Beh, io mi indirizzo sempre su questa seconda. Perché penso che qui dentro si debba stare bene. Certo, tutti dobbiamo concorrere agli scopi dell’impresa, ma mi piace pensare che chi viene a lavorare da noi lo fa perché c’è un sistema organizzativo poggiato su un sistema valoriale che potrei definire fluido, amico, aperto, lontanissimo dalle immagini – un po’ stereotipate e peraltro in abbandono un po’ ovunque – della fabbrica buia, chiusa in tutti i sensi, «padronale», un termine che proprio non mi appartiene. Qui è l’opposto: è un luogo dove ognuno può realizzarsi a partire dalle proprie competenze, dove si può dare il proprio contributo anche con un certo grado di autonomia e dove il management è aperto alle iniziative dei collaboratori, insomma credo sia un buon luogo di lavoro».

Tommaso insiste molto su due concetti: il benessere dei collaboratori e la qualità del lavoro, che deve essere orizzontale, appagante e aperto. Riguardo al primo sottolinea che RTA, tra le primissime aziende nel Pavese, ha adottato nel settembre 2020 lo smart working conservandolo anche dopo la pandemia perché «è un modello moderno, che punta sulla produttività degli individui, ma anche sul worklife balance, concetto a cui credo moltissimo». Riguardo al secondo molto si deve a quella che Tommaso definisce una «rinfrescata al management» che include anche uno sforzo concreto sulla parità di genere: «La quota femminile è ancora bassa – parliamo di circa 15 sulle 85 persone del Gruppo – ma è in crescita in posizioni anche apicali. Per esempio abbiamo una Direttrice del personale e una Direttrice amministrativa, con profili di alta competenza». Il clima che si respira in RTA è positivo, di quelli che invitano a restare e in effetti, sottolinea Tommaso, il tasso di retention è alto: «Ho anche una classifica dei “ripescaggi”: sono già un paio, persone che si erano dimesse per vari motivi e che sono poi tornate da noi, segno che evidentemente in questa azienda c’è qualcosa che piace». Il team è giovane, la media delle ultime assunzioni – circa una quindicina – è intorno ai 34 anni, «un dato sicuramente interessante».

Riccardo Gusmaroli, Mondo rame.

È arrivato il momento di raccontare la storia di R.T.A. e del fondatore, Bruno Rossini, che di Tommaso era papà. Ma prima occorre tracciare il ritratto odierno di questa azienda di Marcignago che riassume in sé anche l’ambizione di un territorio, quello della Provincia di Pavia, di diventare un vero e proprio distretto dell’innovazione tecnologica. Cominciamo dall’età: cinquant’anni l’anno prossimo, portati «abbastanza bene perché innanzitutto siamo sopravvissuti al passaggio generazionale che è sempre un momento delicato – ride Tommaso – e poi perché siamo stati bravi a muoverci in mercati che pur essendo maturi e in evoluzione continuano a mantenersi in salute. Quello di riferimento per noi è l’automazione industriale: vendiamo un sistema di componenti di meccatronica che va dall’elettronica logica e di interfaccia con l’utente fino alla meccanica di precisione. Con al centro il nostro core che è l’elettronica di potenza, che è ciò che produciamo noi ed è il nostro DNA fin dalle origini: parliamo di sistemi di controllo appunto di potenza per motori elettrici di precisione che vanno su macchinari particolari ad alta produttività e alta precisione».

Dal 2021 da R.T.A. si è sviluppata una branca, R.T.A. Robotics, distinta dalla capogruppo (pur occupando la stessa location e appoggiandosi a tutte le sue strutture, compresa la parte vendite), sia a livello societario sia come immagine: «La si può definire una startup di robotica industriale che si basa su una mia convinzione, cioè che ci sia una convergenza tra automazione industriale e robotica e che quindi sempre più possano essere inseriti elementi robotici direttamente nei macchinari industriali e non, come accadeva tradizionalmente, a valle. Mi spiego meglio: chi vende robot tipicamente “mette insieme” dei pezzi a monte o a valle di un macchinario. Noi invece pensiamo a bracci robotici intrinseci ai macchinari stessi. Quindi diciamo che ho visto una possibile sinergia con i prodotti di R.T.A. e mi sono mosso con l’offerta ai nostri clienti anche di questi oggetti che sono parecchio complessi e prevedono una parte di programmazione software».

Recapiti
Anna Brasca