Sindrome VEXAS: una malattia scoperta (e studiata) grazie all’editing del genoma

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Al San Raffaele di Milano è stato sviluppato un modello della patologia ed è attivo un ambulatorio dedicato

Nell’ottobre 2020, mentre la maggior parte degli scienziati si affannava nella comprensione di come la risposta immunitaria fosse modulata dall’infezione del virus Sars-CoV-2, un gruppo di ricercatori del National Human Genome Research Institute, in collaborazione con i colleghi di altri dipartimenti e istituti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, era impegnato nell’indagine di alcune rare mutazioni connesse a sintomi condivisi fra diverse persone affette da problematiche infiammatorie. Al termine di una lunga serie di confronti e analisi, gli studiosi giunsero a identificare una nuova malattia, la sindrome VEXAS (Vacuoles, E1 enzyme, X-linked, Autoinflammatory, Somatic), che di recente è stata protagonista di uno studio dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) intenzionato a chiarire i meccanismi patogenetici di questa rarissima condizione.

UNA NUOVA SINDROME

La sindrome VEXAS si acquisisce durante la vita adulta e colpisce preferenzialmente individui di sesso maschile, di età superiore a 50-60 anni”, precisa la dottoressa Elisa Diral, ematologa presso l’Unità di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali Ematopoietiche dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Si tratta di una malattia delle cellule staminali del sangue dovuta a una mutazione del gene UBA1 che altera il processo di ubiquitinazione e interferisce con i meccanismi di degradazione delle proteine”. Infatti, l’ubiquitina è una proteina di piccole dimensioni che si ritrova in tutte le cellule e può legarsi ad altre proteine, contribuendo così alla marcatura di quelle destinate alla distruzione all’interno dei proteasomi, vale a dire i complessi presenti nella cellula e deputati all’eliminazione di proteine considerate dannose: pertanto, se si generano problemi o errori nel processo di ubiquitinazione le proteine “di scarto” rimangono in circolo nella cellula, suscitando sintomi potenzialmente gravi.

Le sindromi VEXAS sono contraddistinte da un lungo corteo di manifestazioni ematologiche ed infiammatorie”, prosegue Diral. “Sotto il profilo ematologico più del 90% dei pazienti presenta un’anemia macrocitica, mentre in percentuali inferiori si possono riscontrare alterazioni quali piastrinopenia e neutropenia, fino a evidenti quadri di mielodisplasia (fino al 50% dei casi), leucemie mielomonocitiche croniche o alterazioni del compartimento plasmacellulare. Dal punto di vista reumatologico e infiammatorio, invece, le manifestazioni più tipiche della sindrome VEXAS consistono in lesioni cutanee di vario genere, vasculiti, scleriti, uveiti e sintomi sistemici tra cui malessere e dolore muscolare. Infine, ci può essere un coinvolgimento del comparto polmonare con un andamento insidioso e un considerevole impatto sulla qualità di vita del paziente”.

UNA STORIA RECENTE…

È facile intuire che la sindrome VEXAS possa essere confusa con un elevato numero di condizioni infiammatorie - alcune delle quali molto più note - pertanto la diagnosi non è affatto semplice, ed è ulteriormente complicata dal fatto che la malattia è stata scoperta da pochi anni e, di conseguenza, è ancora poco nota. “L’emocromo non basta ad orientare il medico perché un’anemia macrocitica in un uomo al di sopra dei 60 anni è una condizione assai comune”, puntualizza Diral. “Laddove sia presente una combinazione con certe manifestazioni infiammatorie è possibile effettuare un test genetico per la ricerca di mutazioni a livello del gene UBA1, localizzato sull’esone 3 del cromosoma X”.

I ricercatori statunitensi citati in apertura hanno pubblicato su The New England Journal of Medicine un articolo nel quale è stata descritta per la prima volta la sindrome VEXAS: lo studio ha mosso le proprie basi dalla possibilità di sfruttare i test genetici per analizzare il genoma umano e tentare di definire le malattie dal punto di vista delle aberrazioni condivise dai geni. L’obiettivo della loro ricerca è stato quello di individuare la presenza di mutazioni genetiche comuni a persone con manifestazioni di malattia simili. In questo senso, gli scienziati hanno analizzato l’esoma e il genoma di quasi 1500 persone che riportavano sintomi generici (febbre e infiammazione generale) e di più di altre mille persone affette da non ben precisate malattie. Usando una combinazione di test di vario tipo - fra cui il sequenziamento del DNA con metodo Sanger - hanno scoperto che nel genoma di tre individui di sesso maschile era presente la medesima mutazione del gene UBA1. Così sono ricorsi a tecniche di editing del genoma per caratterizzare la nuova mutazione e alla fine, incrociando i risultati con le caratteristiche fenotipiche dei pazienti, sono stati in grado di descrivere la nuova entità nosologica.

…E NESSUNA TERAPIA SPECIFICA

“Dal momento che la sindrome VEXAS è stata caratterizzata solo da poco tempo, non esistono linee guida di trattamento con farmaci specifici”, riprende Diral. “La terapia attualmente impiegata prevede l’utilizzo di farmaci corticosteroidi che aiutano a controllare con efficacia le manifestazioni infiammatorie. Purtroppo, se protratta a lungo la terapia steroidea può condurre a una serie di complicanze di tipo infettivo, con effetti collaterali anche a livello metabolico (osteopenia e osteoporosi, con aumentato rischio di fratture) e disordini dismetabolici, quali aumento poderale ed alterazioni della glicemia e del profilo lipidico”. Di conseguenza, l’impatto sulla qualità di vita del paziente è notevole e sono necessari trattamenti alternativi, in grado di ridurre l’utilizzo del cortisone continuando a controllare i sintomi infiammatori della malattia. Farmaci come la 5-azacitidina hanno prodotto una discreta efficacia, soprattutto nei pazienti con VEXAS e sindrome mielodisplastica associata, e in alcuni casi sono stati in grado di negativizzare la malattia per lungo tempo.

Una serie di studi retrospettivi su pazienti affetti da sindrome VEXAS ha portato in evidenza il ruolo dei farmaci immunosoppressori, quali gli inibitori dell’interleuchina 6 (tocilizumab) e dell’interleuchina 1 (anakinra, canakirumab), oppure gli inibitori della calcineurina e delle tirosin-chinasi JAK1 e JAK2 (ruxolitinib)”, aggiunge Diral. “Questi ultimi sono stati utilizzati di recente e con maggiore efficacia in quanto potenti antinfiammatori”. Gli inibitori di JAK1 e JAK2 sono gli stessi usati per il trattamento della mielofibrosi, una condizione caratterizzata da un aumentato il rischio trombotico che si osserva anche nei pazienti con sindrome VEXAS.

A MILANO UN AMBULATORIO DEDICATO ALLA PATOLOGIA

Nuove sperimentazioni sugli inibitori di JAK2 sono in partenza anche per i pazienti VEXAS”, aggiunge Diral riferendosi a un trial di Fase II su pacritinib, un inibitore orale di JAK2 usato per trattare la mielofibrosi. “Inoltre, altri studi sull’esplorazione dei meccanismi patogenetici della sindrome stanno aiutando a fare luce sulla malattia. Tra di essi quello condotto dai colleghi dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) in collaborazione con la Divisione di Genetica e Biologia Cellulare del San Raffaele, i quali hanno pubblicato sulla rivista Nature Medicine un articolo in cui si riporta l’utilizzo dell’editing del genoma per chiarire i meccanismi alla base della sindrome VEXAS”.

Gli esiti di questa ricerca costituiscono un traguardo importantissimo, che si raccorda all’apertura, presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, del primo ambulatorio interamente dedicato alla sindrome VEXAS, nato dalla collaborazione tra l’Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, diretta dal prof. Fabio Ciceri, e l’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare, diretta dal prof. Lorenzo Dagna. Obiettivo della nuova realtà clinica - gestita dalla dottoressa Diral in collaborazione con il collega reumatologo dott. Corrado Campochiaro - è di garantire ai pazienti un’assistenza multidisciplinare e personalizzata. “Abbiamo già in cura 16 pazienti”, spiega Diral. “Inoltre, è attivo un indirizzo e-mail dedicato (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) a cui è possibile scrivere per ricevere informazioni sulla malattia e che i medici possono usare per indirizzare i pazienti verso un consulto. L’ambulatorio vuole essere una realtà con cui migliorare il percorso diagnostico e terapeutico delle persone con sindrome VEXAS, promuovendo al contempo la ricerca scientifica attraverso l’accesso a trial clinici e favorendo la possibilità, per i pazienti, di aderire ai protocolli terapeutici”. Un duplice obiettivo per innalzare la qualità di vita di chi è affetto da questa rara patologia, creando un punto di riferimento in cui essi possano sentirsi compresi e supportati.

Recapiti
info@osservatoriomalattierare.it (Enrico Orzes)