Nel 2024 la spesa militare globale ha raggiunto il nuovo record di 2.718 miliardi di dollari, con un incremento del 9,4% rispetto all’anno precedente. Lo rivela l’ultimo rapporto pubblicato dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) lo scorso 28 aprile (com. stampa) , che lancia un allarme chiaro: siamo di fronte al più rapido aumento annuale delle spese militari dalla fine della Guerra Fredda.
Si tratta di un dato storico, che segna il decimo anno consecutivo di crescita ininterrotta. E a differenza del passato, non sono più solo le grandi potenze a trainare questa escalation. Oltre 100 Paesi hanno aumentato i propri bilanci per la difesa, rendendo la corsa agli armamenti un fenomeno globale, strutturale e trasversale, che coinvolge economie e governi di ogni tipo.
Dietro questi numeri si nasconde una visione del mondo sempre più improntata alla competizione, alla paura, alla logica del nemico. Una visione miope, che continua a considerare la forza militare come garanzia di sicurezza, trascurando invece le vere sfide del nostro tempo: giustizia sociale, crisi ambientale, coesione democratica, salute globale.
Sipri: della Nato oltre metà della spesa militare mondiale
Un dato particolarmente significativo riguarda i Paesi membri della Nato, che nel 2024 hanno speso complessivamente 1.506 miliardi di dollari: più della metà dell’intera spesa militare mondiale.
Sempre più Stati dell’Alleanza hanno superato la soglia del 2% del PIL destinata alla difesa, trasformando quella che inizialmente era una raccomandazione politica in un vincolo di bilancio sempre più stringente. Questa pressione sta ridefinendo le priorità economiche dei governi, determinando scelte che hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini.
Ma a quale prezzo?
Il rapporto Sipri segnala che l’aumento delle spese militari avviene spesso a scapito dei settori civili. In molti Paesi europei, la crescita dei bilanci per la difesa è accompagnata da tagli alla sanità pubblica, riduzioni nei fondi per l’istruzione, smantellamento del welfare e aumento del debito pubblico. Alcuni governi hanno già introdotto nuove tasse o misure di austerità, scaricando sui cittadini il costo di una militarizzazione che non è stata oggetto di un vero dibattito democratico.
I cinque Paesi che spendono di più in armi
I cinque Paesi che nel 2024 hanno investito maggiormente nelle forze armate sono, nell’ordine: Stati Uniti, Cina, Russia, Germania, India.
Da soli rappresentano il 60% della spesa militare globale, pari a 1.635 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti restano nettamente in testa, con una spesa che da sola supera quella dei successivi dieci Paesi messi insieme. La Germania, nel frattempo, ha consolidato il proprio ruolo come primo investitore in difesa in Europa occidentale, accelerando la propria trasformazione in potenza militare continentale.
Anche l’Italia ha seguito questa tendenza, con una spesa pari a 38 miliardi di dollari, posizionandosi al 12° posto a livello mondiale. L’aumento dell’1,4% rispetto al 2023 può sembrare contenuto, ma va inserito nel contesto di una strategia più ampia di riarmo condivisa all’interno della Nato, che spinge tutti i membri ad allinearsi agli standard militari imposti dall’Alleanza.
Sipri: un mondo che investe nella guerra mentre ignora la pace
«La sicurezza militare viene sempre più spesso prioritarizzata dai governi, anche a scapito di altri settori fondamentali per la società», ha osservato Xiao Liang, ricercatore del SIPRI. Il rapporto indica che la spesa militare globale ha raggiunto il 2,5% del PIL mondiale, con aumenti significativi in Europa e Medio Oriente, due aree devastate dai conflitti in Ucraina e nella Striscia di Gaza.
Ciò che inquieta non è solo la cifra in sé, ma la direzione verso cui ci stiamo muovendo come comunità internazionale. I governi continuano a rispondere alle crisi globali con più armi, più investimenti in tecnologie belliche, più blindatura dei confini, come se la sicurezza potesse essere garantita solo da mezzi coercitivi.
Ma davvero la sicurezza si costruisce con più carri armati, più caccia militari, più missili?
O forse è tempo di riconoscere che le vere minacce alla nostra sopravvivenza collettiva – crisi climatica, ingiustizia sociale, povertà, pandemie – non si affrontano con le armi, ma con cooperazione, dialogo, solidarietà e prevenzione?
Un appello alla responsabilità collettiva
In un mondo sconvolto da crisi multiple – climatiche, sanitarie, sociali, geopolitiche – ogni scelta di spesa ha un impatto che va ben oltre il piano economico. Ogni miliardo investito nella guerra è una sconfitta della civiltà.
Abbiamo bisogno di un altro paradigma di sicurezza, basato sulla prevenzione dei conflitti, sulla riduzione delle disuguaglianze, sull’accesso equo alle risorse. Abbiamo bisogno di un’economia che investa nella cura delle persone e non nella distruzione reciproca.
Scegliere la pace non è utopia. È una decisione politica e civile, possibile, urgente, necessaria.
Ma richiede volontà, impegno costante e coraggio morale. Il coraggio di chi non si arrende all’evidenza di un mondo armato e sceglie invece la via della convivenza, della responsabilità condivisa e della speranza.