Milano, per il commissario Luca Botero soprannominato l’Amish per la sua avversione alla tecnologia, non è solo lo sfondo delle sue indagini. È una compagna silenziosa, una creatura viva che respira con le sue architetture, i suoi chiaroscuri, i suoi fantasmi.
Il Duomo, innanzitutto. Cattedrale gotica che domina la città, teatro di un delitto impossibile e primo tassello de L'enigma Kaminski. Le guglie acuminate fendono l’aria come spine di marmo, testimoni mute di segreti secolari. Là dentro, tra navate fredde e ceri consumati, Botero si aggira come un pellegrino laico, alla ricerca di indizi e non solo.
C’è poi la Cortina di Ferro, sede della squadra Alfa, che non esiste nella realtà ma è fortemente ispirata, anche nell’ubicazione, alla caserma Santa Barbara, conosciuta dai milanesi come la Perrucchetti. Muri spessi, cancelli in ferro battuto, finestre sbarrate: un baluardo militare d’altri tempi. Un mondo ruvido e fuori moda, proprio come lui. E proprio per questo, familiare e rassicurante.
Altro punto cardine dell’indagine è la Torre Rasini, edificio del 1935 firmato da Emilio Lancia e Giò Ponti, elegante e abbastanza datato da non suscitare la repulsione tecnologica dell’Amish. La sua facciata razionalista, i balconi aggettanti come orbite silenziose. Qui, nel finale del romanzo, attende una sorpresa. Una di quelle che Botero non ama, ma che saprà affrontare con il suo stile inconfondibile.
Non può mancare poi la Stazione Centrale, ventre metallico e monumentale, dove il commissario con gli occhi verdi schermati dagli occhiali scuri, osserva il via vai dei pendolari, cerca tracce tra i volti, soppesa espressioni e silenzi.
E infine i portici di via Vittor Pisani, campo base notturno dell’Amish. Lì cammina, accanto al suo cane dal pelo candido, Duca, riflettendo sulle indagini e annusando l’aria. Il rumore dei passi, le luci dei neon, le chiacchiere coi clohard. In quei portici, il commissario si muove come un investigatore degli anni Settanta, con l’immancabile trench sulle spalle e l’insonnia che non gli dà tregua. Ascolta la città, perché Milano, per lui, parla. E spesso gli sussurra i suoi segreti.
Paolo Roversi