S’Accabadora: la misteriosa donna che aiutava a morire

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S’Accabadora: la misteriosa donna che aiutava a morire 16 Maggio 2025 – Posted in: Lo Sapevi che – Tags: , , , , , , , , , , , , , ,

La Signora in Nero – Racconto di una Tradizione Sarda Dimenticata

Tra le ombre della Sardegna più antica, si aggira una figura quasi leggendaria. Non era una strega, un’assassina. Era una donna del popolo, custode di un compito tanto delicato quanto spietato: accompagnare l’ultimo respiro.

Nelle zone più isolate dell’isola, dove il medico era un miraggio e il dolore un compagno silenzioso, esisteva chi veniva chiamata quando ogni speranza si era già ritirata: una donna, sempre e solo una donna, che metteva fine alle agonie più crudeli.

Vestita di nero, con il volto celato, giungeva nella notte. I parenti del malato le aprivano la porta in silenzio. Lei entrava, faceva uscire tutti, e si chiudeva dentro. Nessuna parola. Solo lo scricchiolio del pavimento e il respiro affannato di chi attendeva la fine.

Talvolta usava un cuscino. Più spesso un piccolo strumento, su mazzolu: legno d’olivastro, pesante e corto, forgiato con cura per colpire una volta sola, alla fronte. Poi spariva com’era venuta. Silenziosa, invisibile, come se la morte stessa l’avesse chiamata e poi lasciata andare.

Il gesto era considerato un atto di pietà. Non solo verso chi soffriva, ma anche verso chi restava, troppo povero per curare, troppo stanco per aspettare. Le famiglie non la pagavano in denaro: offrivano pane, formaggio, vino. E un ringraziamento che non si poteva dire ad alta voce.

Il popolo la chiamava accabadora, da un antico verbo spagnolo, acabar: finire. Perché questo faceva: metteva fine. Al dolore, alla vita, al tempo. In molti paesi si raccontava che fosse la stessa levatrice ad accogliere e congedare. Nascita e morte, in mani uguali. Solo il vestito cambiava: chiaro per dare la vita, nero per spegnerla.

Fino agli anni ’50 del Novecento, in alcuni paesi dell’interno come Luras e Orgosolo, il suo nome si sussurrava ancora. Poi il silenzio. Ma nelle memorie familiari, nei racconti dei nonni, il suo volto velato continua ad apparire.

Non era paura, la sua. Era consapevolezza. La morte, in quelle terre, non era una punizione. Era un passaggio, un momento da accompagnare con rispetto.

Come una carezza che non lascia traccia, ma resta impressa per sempre nella memoria di chi l’ha vista passare.

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