Pace, Giustizia e Verità - Azione Cattolica Italiana

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Nel suo primo discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Papa Leone XIV ha delineato con chiarezza la traiettoria spirituale e pastorale che intende seguire nel suo pontificato. Lo ha fatto evitando eccessive formalità protocollari e scegliendo di offrire una visione profonda e concreta del compito che attende oggi la Chiesa, così come le nazioni, le istituzioni internazionali e, prima ancora, le coscienze di ciascuno. Tre parole semplici e allo stesso tempo decisive e vincolanti hanno scandito il suo intervento: pace, giustizia, verità. Tre parole che, come radici vive, possono ancora rigenerare il tessuto provato dell’umano. Un umano spesso smarrito, ferito, dimenticato.

Anche in un mondo in guerra, la pace, ci ha detto Papa Prevost, non è solo assenza di conflitto. Troppo spesso la intendiamo come una sorta di armistizio precario, un intervallo tra uno scontro e l’altro E invece è qualcosa di molto più profondo: un dono, il primo dono di Cristo risorto, ma anche una responsabilità da assumere ogni giorno. La si costruisce nel cuore e a partire dal cuore scegliendo parole che non feriscono, gesti che non dividono, scelte che non alimentano il risentimento. Questo vale per il micro delle nostre povere vite e per il macro delle nazioni e dei popoli. La pace è relazione, è pazienza, è coraggio. E chiede oggi di essere difesa dalla corsa globale al riarmo, dal discredito gettato sulle istituzioni internazionali, dalla logica della chiusura e dell’indifferenza.

Non può esserci pace senza giustizia. Lo ha ricordato il Papa richiamando il Magistero di Leone XIII e la sua Rerum Novarum, pietra angolare della dottrina sociale della Chiesa. L’epoca che stiamo vivendo mostra segni evidenti di frattura: tra Nord e Sud del mondo, tra ricchi e poveri, tra chi viene accolto e chi è respinto. L’indifferenza davanti alle disuguaglianze non è neutra: è complicità. La giustizia invocata da Leone XIV non si esaurisce nei codici o nei proclami: è anzitutto un impegno per riconoscere e tutelare la dignità di ogni persona, soprattutto di chi è fragile, vulnerabile, invisibile. Dal nascituro al migrante, dal disoccupato all’anziano, ogni vita è degna, ogni volto è portatore di una storia sacra.

Il Pontefice ha parlato anche di sé, ricordando le sue radici di migrante. È un richiamo non solo personale, ma profondamente evangelico: nessuno è straniero agli occhi di Dio, e nessuno dovrebbe esserlo per noi. È la memoria dell’esodo, della nostra intrinseca fragilità di fronte al domani, che fonda ogni declinazione dell’umanesimo cristiano, a partire dalla propria personale emancipazione e liberazione, sia spirituale che materiale.

Ma il Papa sa che anche la giustizia e la pace possono essere manipolate se non sono radicate nella verità. Ecco perché la terza parola scelta è forse la più esigente. In un tempo in cui la verità è spesso deformata, relativizzata, usata come arma o come merce, ricordare che essa è anzitutto un incontro – l’incontro con Cristo vivente – significa rimettere al centro una visione relazionale e incarnata della realtà. La verità che libera, dice il Vangelo, non è un’opinione vincente ma una parola che si fa vita, una luce che si dona con amore.

Il discorso di Papa Leone XIV non è stato solo un atto dovuto alle cancellerie del mondo. È stato un appello forte e mite, profetico e concreto, a riscoprire la possibilità di un nuovo inizio. Nel cuore dell’Anno giubilare dedicato alla speranza, il Papa ha indicato una via non solo possibile, ma necessaria. E ci ha ricordato che non c’è speranza senza verità, non c’è verità senza giustizia, non c’è giustizia senza pace. E che la pace, oggi, è il nome più alto della politica, e il compito più urgente della fede.

Recapiti
Antonio Martino