Jordan Prosser | Big Time - Mattioli 1885

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Posted at 13:16h in Books, Senza categoria

Nel suo ultimo giorno in Colombia, Julian Ferryman uccise un tizio. Non uno del posto, grazie a Dio: nemmeno Julian era un turista tanto avventato. Non si prese la briga di scoprire chi fosse quell’uomo: non gli frugò nelle tasche, non si fermò neppure per chiamare aiuto. Julian si stava studiando l’occhio sinistro nel deforme specchio metallico di un bagno pubblico, da qualche parte nel centro di Medellín, abbassandosi la palpebra e seguendo i capillari sanguinanti sulla superficie della cornea, quando l’uomo gli era venuto incontro barcollando da una delle toilette.

“Sei lui” gli disse l’uomo in tono aspro.

Julian sorrise. Lo ignorò. Fece per andarsene.

“Sei lui” ripeté l’uomo, tentando di afferrare Julian per una spalla.

Julian era stato in quella parte di mondo sufficientemente a lungo per sapere che non era così insolito incontrare tizi come quello. Una categoria a parte rispetto agli altri ragazzi. Bidonati in occasione di un appuntamento galante. Troppa coca, troppo sole. Emarginati dai loro stessi genitori. Incapaci di sopportare l’umidità. Julian pensò che fosse irlandese, per via dei capelli biondo-fragola e delle sue erre ritmate.

Lo allontanò con una mano, mugugnò delle finte scuse.

“Non credo di essere chi pensi che io sia.”

“Invece lo sei” disse l’uomo, con una tale dolcezza che Julian dovette fermarsi un istante per accertarsi di non conoscerlo.

“Stammi bene” disse Julian, avviandosi verso la porta.

La mano dell’uomo si abbatté con decisione sulla sua spalla e, quando Julian si voltò, il volto terreo del ragazzo sembrava incupito. E le sue labbra cotte dal sole erano cerchiate di saliva.

“L’hai visto” disse l’uomo, non intenzionato a mollare. “Hai visto ciò che è successo perché… ti ho visto mentre lo vedevi.”

Qualche istante dopo, era sulle piastrelle, con uno squarcio sulla fronte da cui colava del sangue rosa verso un foro di scarico al centro del pavimento. Le cose possono succedere così velocemente. Superfici sdrucciolevoli. Cervello annebbiato dai postumi di una sbronza. Una spintarella diventa uno spintone che diventa un tonfo. In quel momento, Julian avrebbe potuto fermarsi e chinarsi per controllare ma non lo fece. Invece, se ne andò senza sapere quale sarebbe stata la sorte di quell’uomo. I suoi amici l’avevano trovato, lo avevano riportato all’ostello? Gli avevano fatto dare dei punti di sutura in una clinica, un bicchierino di rum Zacapa, proprio così, e lui si era ripreso alla grande? Era tornato a casa dal viaggio, aveva chiesto un rimborso all’assicurazione, aveva mandato qualche foto della ferita per dimostrarlo? Anni dopo, se n’era rimasto seduto a braccia conserte, con un sorrisino malizioso, mentre il testimone alle sue nozze raccontava la storia alla giovane donna con la quale aveva messo le cose in standby appena prima di partire per quel viaggio, tanti anni prima?

No. Non aveva mai ripreso conoscenza. Un meccanico sulla via di casa dopo un turno di dieci ore lo aveva trovato lì più o meno al tramonto, pelle fredda, labbra blu, sangue come linfa degli alberi: resina scura e dura. La policía aveva passato la notte sulla scena, setacciando la zona, senza successo. L’uomo era stato portato all’obitorio locale in una sacca nera di polivinile e poi all’ambasciata irlandese. Erano stati apposti dei timbri, erano state fatte delle telefonate. Qualche settimana dopo, un costoso volo di rimpatrio nella stiva di carico di un 737, tra kayak, mazze da golf e animali terrorizzati con gli occhi sbarrati. Un funerale nel paese natale con vista sul Mar Celtico e, più tardi, tè e whisky Jameson a casa di sua mamma. La giovane donna con la quale aveva messo le cose in standby appena prima di partire era rimasta a lungo, molto a lungo, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra.

Traduzione di S. Pezzani

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