Acqua: l’oro blu sangue - Azione Cattolica Italiana

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L’acqua è alla base della vita sulla Terra. Copre il 71% del nostro pianeta eppure, nella sua forma utilizzabile, è una risorsa rara e sempre più contesa. Seppur chiamato “pianeta blu”, solo lo 0,5% dell’acqua è disponibile per l’uomo e solo una porzione di questa è potabile o incontaminata. Una scarsità che la trasforma in bene prezioso, oggetto di contese geopolitiche, disuguaglianze e sfide globali.

La geopolitica dell’acqua: risorsa scarsa, tensioni crescenti

La “geopolitica dell’acqua” è una delle chiavi per comprendere i conflitti e le tensioni del mondo contemporaneo. A fronte di una crescita demografica che ci porterà a superare i 9 miliardi entro il 2050, e di un cambiamento climatico che altera profondamente il ciclo idrico globale, l’acqua diventa un elemento strategico quanto il petrolio.

Le disuguaglianze sono evidenti: il Sud America, l’Oceania e l’Asia settentrionale possiedono ampie risorse idriche pro capite, mentre il Nord Africa, il Medio Oriente e parte dell’Asia soffrono una forte carenza. Il Canada ha solo lo 0,5% della popolazione mondiale ma il 12% delle risorse idriche. La Cina, pur avendo meno acqua disponibile, consuma sette volte tanto il Brasile, che detiene il primato delle riserve.

Non è quindi solo una questione di “dove” l’acqua si trova, ma anche di “chi” è in grado di prelevarla, distribuirla e gestirla. La sicurezza idrica è un indicatore complesso che include infrastrutture, tecnologie e politiche economiche. Le risposte a queste disparità sono tutt’altro che semplici e aprono dibattiti sulle responsabilità storiche dei Paesi industrializzati e sulla giustizia climatica.

Conflitti dell’acqua: dalle dighe alle guerre

Quando l’acqua scarseggia o è distribuita in modo ineguale, diventa un elemento di tensione politica, sociale ed economica. La competizione per il controllo di fiumi, laghi e falde acquifere transnazionali può degenerare in veri e propri conflitti, armati o diplomatici. In molti casi, l’acqua non è l’unica causa della guerra, ma rappresenta un fattore aggravante o strategico, sia come risorsa da controllare, sia come strumento di pressione.

Attualmente, secondo l’Atlante geopolitico dell’acqua, almeno dieci conflitti in corso nel mondo sono influenzati – direttamente o indirettamente – dalla questione idrica. In Yemen, Somalia e Afghanistan, la combinazione di siccità, instabilità politica e mancanza d’accesso all’acqua ha amplificato crisi umanitarie già drammatiche. In Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese vede anche un forte squilibrio nell’accesso alle risorse idriche tra le due parti. Il controllo del Golan, infatti, assegna a Israele il reale controllo del Giordano, consentendo allo Stato ebraico di utilizzare l’acqua come vera arma di negoziazione.

I fiumi transfrontalieri sono i principali scenari di contesa: 286 corsi d’acqua e 592 falde sotterranee sono condivisi da più Paesi. Questo rende la cooperazione o il confronto inevitabili. Alcuni esempi emblematici: – Il Nilo, che attraversa 11 Paesi africani, è oggetto di una lunga disputa tra Etiopia, Sudan ed Egitto, soprattutto per la costruzione della Grande Diga del Rinascimento Etiope. – Il fiume Mekong, in Asia sud-orientale, è al centro di tensioni tra Cina, Laos, Cambogia, Thailandia e Vietnam, a causa delle dighe che modificano il flusso delle acque e minacciano le economie agricole locali. – I fiumi Tigri ed Eufrate, condivisi da Turchia, Siria e Iraq, sono anch’essi motivo di contese, legate alla gestione unilaterale delle acque da parte della Turchia.

Un caso particolarmente rilevante è il conflitto idrico tra India e Pakistan, due potenze nucleari legate da un trattato cruciale: il Trattato delle Acque dell’Indo, firmato nel 1960 sotto l’egida della Banca Mondiale. Questo trattato assegna a ciascun Paese l’uso esclusivo di alcuni rami del sistema fluviale dell’Indo. Tuttavia, la tensione è riemersa ciclicamente, specie in seguito a crisi militari (come nel 2016, nel 2019 e nel 2025), quando l’India ha minacciato di ridurre il flusso delle acque verso il Pakistan, alimentando il rischio di un’escalation. Il controllo delle dighe, dei canali e delle acque nella regione contesa del Kashmir rende la situazione ancora più instabile e vulnerabile.

Altro simbolo di conflitto sono le dighe, infrastrutture fondamentali per la produzione idroelettrica e per la gestione delle risorse, ma spesso al centro di contese. Oggi ne esistono oltre 900.000 nel mondo, di cui circa 40.000 di grandi dimensioni. Se da un lato permettono di regolare i flussi e aumentare la sicurezza idrica, dall’altro possono causare danni ambientali, sfollamenti forzati e tensioni internazionali. Emblematico il caso della Diga delle Tre Gole in Cina, che ha comportato lo sfollamento di oltre 1,4 milioni di persone e ha avuto importanti ripercussioni ambientali lungo il fiume Azzurro.

Obiettivo 6 dell’Agenda 2030: acqua potabile per tutti

Nel 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’acqua potabile come diritto umano. Cinque anni dopo, l’Obiettivo 6 dell’Agenda 2030 ha sancito l’impegno globale per garantire, entro il 2030, l’accesso universale ed equo all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari.

Il traguardo è chiaro, ma le vie per raggiungerlo sono complesse e controverse. Il nodo cruciale è la natura dell’acqua: bene pubblico o risorsa di mercato? Le privatizzazioni (come il caso controverso di Cochabamba, in Bolivia) hanno spesso generato proteste. D’altra parte, affidarsi solo alla fiscalità pubblica non basta nei Paesi a basso reddito o con bilanci locali fragili. Insomma, resta la necessità di distinguere tra acqua come bene pubblico e gestione pubblica dell’acqua, senza mitizzare o demonizzare a priori i modelli di gestione.

Una sfida collettiva e globale

Oggi più che mai, l’acqua è al centro di una trasformazione culturale e politica. Non solo risorsa, ma diritto, simbolo e responsabilità condivisa. Il rischio di “sacralizzare” l’acqua senza affrontare le vere sfide tecniche e politiche è reale. Ma lo è anche il pericolo opposto: trattarla solo come merce, ignorando il suo valore universale.

Serve una nuova governance dell’acqua: equa, partecipata, sostenibile. Che sappia conciliare diritto, scienza, etica e pragmatismo. Perché il futuro del pianeta – e delle persone – passerà sempre di più da una sola, semplice, fondamentale domanda: chi ha accesso all’acqua?

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Redazione