Se uno il formaggio di malga non l’ha mai annusato è come
non aver mai sentito il sole sulla faccia quando sorge e non
aver capito che il giorno a renderlo bello saranno le farfalle.
Luigi Ballerini
Si è spenta nei giorni scorsi Agnese Iobstraibizer, all’età di 86 anni. Anche la scorsa estate era possibile incontrarla nella sua amata malga Cagnon di Sopra, ed è stato così come per tutto il mezzo secolo precedente. Per una vita Agnese ha coltivato un’oasi di biodiversità e di coesistenza armonica tra l’attività umana e la natura nel cuore della catena montuosa del Lagorai, in Trentino, a quasi 2.000 metri: 392 ettari di pascoli e boschi. Laura Zanetti, fondatrice e per decenni presidente della Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, ne traccia un commosso ricordo.
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Raccontare Agnese Iobstraibizer, ultima proprietaria di malga Cagnon de Sora, è un’impresa biblica, tanto è stata profonda la sua presenza nella mia vita personale ed in quella della Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai.
Ripercorriamo ora la storia di Cagnon de Sora degli ultimi cinquant’anni:
Siamo a metà degli anni ‘60 quando Giovanni Gozzer di Fierozzo, marito di Agnese, scendendo in autunno da passo Palù del Fersina a caccia di qualche selvatico verso Calamento Alta, si ristora presso i vecchi caseggiati di una malga in stato di abbandono ed osserva un cartello con la scritta: “Vendesi”.
Decide così con il fratello Pietro, di acquistare il vasto alpeggio che, non a torto, viene definito “il piccolo Tibet”, per la bellezza dell’ampia pianora e le suggestive cornici montuose a sud. La compravendita è datata 29 luglio 1968. Dagli atti del Tavolare di Borgo Valsugana con comune catastale di Telve di Sotto, risulta che le compravendite di Cagnon si erano succedute a partire dal 24 giugno 1923 ( i documenti più antichi sono depositati presso l’Archivio della Provincia di Trento) con un accavallarsi di venditori e acquirenti tra cui la Società Fiduciaria Germanica di Liquidazione al nome di Toller “Cech ” Giacomo e Giovanni, e a una sequela di diritti di proprietà e frazionamenti da capogiro tra Palù e Sant’Orsola della valle del Fersina, più conosciuta come valle dei Mocheni.
Nel dicembre del 1973, a seguito della divisione dei beni di famiglia con il fratello Pietro, Giovanni Gozzer diventa unico proprietario di malga Cagnon de Sora e mentre continua la sua attività di Kromer, la giovane moglie Agnese che parla una lingua a noi sconosciuta: l’antico tedesco della val del Fersina/Bernstol, cura la gestione dell’alpeggio da metà giugno a ottobre inoltrato.
Il 4 dicembre del 1986, Agnese Iostraibizer vedova Gozzer, in base al certificato di eredità, ne diventa la sola intestataria, mentre la val Calamento si distingue in tutto il Lagorai come ultima Oasi dei Casari, grazie a un interessante cambio generazionale di giovani malghesi, figli e nipoti degli storici casari valsuganotti, e alle scelte coraggiose dell’amministrazione del Comune di Telve, che già negli anni ‘80 aveva avviato una intelligente strategia di protezione ambientale con la riqualifica delle malghe e la tutela di prati a pascolo.
Agnese Iobstraibizer di quella malga che sovrasta la piana pascoliva, ne è la regina: bella, piena di energia e ospitale.
Più avanti nel tempo mi racconterà: “non avevo mai fatto il formaggio, avevo una calgiera colma di latte e non sapevo da che parte iniziare; andai a cercare un malghese della malga più in basso; questo venne su in casera e si mise a lavorare il latte senza dirmi niente; dovevo – rubare – ogni azione e fissarmela bene in testa. Poi non venne più ed io ho dovuto arrangiarmi; a giorni veniva bene, altre volte meno, ma poi ho imparato anche come curarlo e soprattutto non ho mai cambiato ricetta: solo latte, caglio, fuoco a legna e la salamoia; non ho mai voluto usare le bustine e se qualche pezza anche oggi non riesce nessun problema: lo taglio a pezzi e faccio formai rostì”.
Il formaggio di Agnese nel tempo è così richiesto e famoso da volare anche oltre Oceano per arrivare in California dove vive mio figlio. Diventare il formaggio dei poeti di San Francisco, il formaggio di Lawrence Ferlinghetti, l’ultimo grande esponente della Beat Generation. Ma anche di Neeli Cherkowski, il maggior poeta lírico di California che volle conoscere Agnese salendo in malga in una serata d’ottobre di luna piena. E di Luigi Ballerini, docente di letteratura italiana all’UCLA di Los Angeles, saggista e poeta pure lui che dedicherà al formaggio di malga di Cagnon de Sora questo versi:
Se uno il formaggio di malga non l’ha mai annusato è come
non aver mai sentito il sole sulla faccia quando sorge e non
aver capito che il giorno a renderlo bello saranno le farfalle
Se uno il formaggio di malga non l’ha mai suonato
con i polpastrelli delle dita è come non aver mai inteso
quale differenza corra, nel paesaggio, tra un mulino e un giroplano
Se il formaggio di malga del Lagorai uno non l’ha mai e poi
mai assaggiato, a lui si fanno incontro per la strada gli spettri
di una canzonatura permanente, anche se non se ne accorge
E il regista Ferdinando Vicentini Orgnani sceglierà come incipit al suo documentario “The Beat Bomb”, con al centro la vita di Lawrence Ferlinghetti, l’editore/poeta venerato di San Francisco, la malga di Agnese in una suggestiva giornata di settembre, avvolta nella nebbia.
Sono gli anni in cui fondo la Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai, sull’onda di quella terribile legge europea, la 54/96 del ‘98, che se applicata, avrebbe decretato la morte di tutti quei cibi rari, a rischio di estinzione, tra cui anche i formaggi alpini. Un lavoro associativo che si rafforza dopo l’emergenza di “Mucca pazza”, catastrofe sanitaria ed economica, ma anche storia emozionale ove si era andata a spezzare un’etica tra l’umanità e la sua nutrice primaria. Il malghese quindi nell’esercizio del proprio sapere diffuso e dei diritti di Uso Civico, torna ad essere “l’esattore” della terra di montagna, consapevole del proprio ruolo: non solo persona mitica, capace di produrre eccellenti formaggi, ma anche figura che sunteggia tutta la montagna, a partire dalle sorgenti. Perché malga non significa solo burro, formaggio e ricotta ma anche garanzia dell’assetto idrogeologico del territorio, della bellezza del paesaggio e della custodia delle biodiversità.
Agnese aderisce con entusiasmo e intelligente curiosità a un lavoro associativo molto formativo, diventando nel tempo, assieme a un altro grande casaro del Lagorai, Francesco Franzoi di malga Valpiana, la pioniera a tutela dell’Originale Formaggio Malghe del Lagorai, disciplinato con marchio a delimitazione geografica, sotto la guida del compianto professor Pietro Nervi e perfezionato più avanti nella tipologia del giusto cagliaggio dal tecnologo alimentare e docente di tecniche casearie all’Istituto di San Michele all’Adige Giampaolo Gaiarin, nostro prezioso consulente, tuttora figura di riferimento importante per i malghesi del Lagorai.
Va detto che l’Associazione sorta ufficialmente il 22 novembre 2002, con sede a Telve, raggruppa dieci malghe a ridosso della media Valsugana, comprendendo una vastità di spazi montani in quella che lo scrittore Franco de Battaglia ha definito nel suo libro Lagorai “l’unica montagna decompressa del Trentino”.
E al Libero formaggio di Agnese e della comunità casearia che lo produce, non omologato ai prodotti caseari industriali, viene assegnato il prestigioso Presidio Slow Food.
Della montagna della “resistenza casearia” Agnese Iobstraibizer diventa una figura contadina leggendaria, donna tra le più celebrate di tutto il meridiano alpino perché guida maestra nella cura degli animali e dei suoi pascoli liberi da fave, ortiche e dalla terribile deschampsia cespitosa che divora le biodiversità.
Si, Agnese è stato l’esempio concreto di come si possa e si debba salvare la terra di montagna.
“Una donna che resta in montagna – ha scritto Franco de Battaglia nel suo commovente addio ad Agnese – la riempie di vita, di bontà e di speranza”.
Ma ciò che ha reso Agnese così cara a noi tutti, è stata soprattutto la testimonianza della sua forza morale nell’affrontare la tragica morte del giovane figlio Valentino. Senza conoscere Freud e Jung, Agnese ha saputo accogliere un dolore troppo grande per una madre, non trattandolo da nemico, ma entrando in una navigazione “altra” dove portare l’immagine di Valentino in ogni gesto della sua vita lunga e operosa.
Geaaaa
Geoooo Geaaa Agnese.
Note:
Geooo, geaaa è il richiamo nell’antico dialetto tedesco che Agnese Iostraibizer usava come richiamo per ricondurre la mandria dal pascolo alla stalla per la mungitura serale.
Kromer: tedeschismo che sta per commerciante ambulante nei masi di montagna.
Formai rostì: formaggio fritto.
Calgera: grande pentolone di rame.
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Ci saranno altre Agnese sul Lagorai e sugli alpeggi trentini? Il richiamo in antico dialetto tedesco, o nelle tante lingue dell’arco alpino, riecheggerà ancora nei prossimi decenni? Racconteremo ancora storie come quella che Laura Zanetti ci ha trasmesso in questo ricordo?
È una scelta di futuro, che spetta a ciascuno di noi indirizzare. Un destino che può ancora immaginare montagne abitate, vive, laboratori di pensiero alternativo e plurale, culle di biodiversità e stimoli al cambiamento. Oppure montagne spopolate, sapori e pensieri sterilizzati. Le conseguenze sarebbero drammatiche.
Dovremmo conoscere le storie di Agnese, e delle tante Agnesi di ieri e di oggi, per renderci conto di quanto abbiamo bisogno della montagna. Non per una gita domenicale. Non per un momento di pausa della calura estiva. Non solo per assaggiare sapori straordinari. Abbiamo bisogno della montagna perché la sicurezza del fondovalle e delle città è legata a doppio filo alle attività che qui si svolgono. Sfalciare un prato, curare un pascolo, mantenere un torrente pulito, salvaguardare i muretti a secco: sono tutte azioni che incidono direttamente sulla capacità dei territori a valle di reagire al dissesto idrogeologico e agli eventi estremi.
Abbiamo bisogno della montagna perché dalla montagna arrivano le energie per affrontare la crisi climatica e i cambiamenti in corso. A partire dalla biodiversità, custodita e migliorata da secoli da agricoltori e allevatori, in un lavoro paziente e in simbiosi con la natura. Le comunità montane conservano una moltitudine di risorse che sono saperi materiali e immateriali che non possono andare perduti, frutto di una cultura antichissima e sempre proiettata nelle sfide del futuro. La montagna, oggi più che mai ferita, mostra le cicatrici più evidenti della crisi climatica. Eppure rimane una palestra di modalità altre di fare comunità e creare relazioni. Dopo tanti anni in cui abbiamo cercato di portare i modelli “di pianura” in montagna, oggi abbiamo bisogno più che mai di riscoprire in pianura i valori che hanno animato per una vita Agnese.
Supportiamo i tanti giovani che tra qualche settimana saliranno negli alpeggi delle valli alpine. Andiamo a trovarli, rispettando il ritmo e i bisogni del lavoro che qui svolgeranno. Portiamo loro il nostro sostegno. Ascoltiamo le storie che avranno da raccontarci, per comprenderne le speranze, la visione e i bisogni. E da cittadini attivi indirizziamo le nostre scelte per non portar loro via il futuro. Non solo le scelte di acquisto alimentare. Ma anche quelle del nostro impegno sociale, delle deleghe che affidiamo alla politica, della cura che scegliamo di esercitare, delle conoscenze che decidiamo di condividere.
Salutiamo Agnese, e auguriamo buon lavoro a tutti i ragazzi e le ragazze che, estate dopo estate e ancora per tanti e tanti anni, ne raccolgono l’impegno e ne proseguono la testimonianza.
A cura di Slow Food Trentino