PRIDE MONTH: COMUNICARE OLTRE IL RAINBOW-WASHING - Agenzia YES S.p.A.

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Quando il marketing incontra l’attivismo

Giugno è il mese del Pride: tornano le collezioni arcobaleno, gli spot emozionali e gli hashtag dedicati. Il Pride Month è uno dei momenti più significativi dell’anno per la comunità LGBTQIA+ e, di riflesso, per la comunicazione contemporanea. Ma ogni anno la stessa domanda torna a galla: dove finisce il supporto autentico e dove inizia il rainbow-washing?

Negli ultimi anni, il Pride è diventato un grande evento pop-culturale: festival, campagne pubblicitarie, collaborazioni fashion e corporate post invadono i feed di giugno. Ma sempre più utenti – soprattutto le generazioni più giovani – pretendono coerenza, perché non basta colorare il logo per un mese, servono azioni concrete.

Per una comunicazione efficace oggi serve trasparenza: sono necessari rappresentazioni reali, con il coinvolgimento di creator e artistə nella creazione delle campagne, e supporto concreto, spesso dato attraverso donazioni ad organizzazioni dedicate o policy più inclusive nelle aziende.

In un mondo in cui la comunicazione contribuisce a formare l’immaginario collettivo, è fondamentale interrogarsi anche e soprattutto sul potere del copy: le parole possono includere e rappresentare, ma anche semplificare e escludere. Scrivere in modo inclusivo non significa rinunciare alla creatività, ma renderla più autentica e consapevole. Anche piccole scelte, come l’uso di forme neutre o l’attenzione alle persone rappresentate, possono cambiare profondamente il tono e l’impatto di un messaggio.

Oggigiorno il linguaggio guarda sempre di più verso nuovi codici, caratterizzati da una maggiore ironia e da un maggior storytelling identitario: ecco che i meme si affermano strumento di consapevolezza che va oltre la retorica, mentre il fenomeno dell’Hyperlocal Pride, che vede brand e artisti raccontare storie specifiche e locali, cerca di evitare l’omologazione di un’unica narrazione globale dando spazio alla personalizzazione.

La vera sfida oggi non è parlare “a” una community, ma “con” essa. Le campagne migliori del Pride Month non sono quelle in cui i brand “fanno vedere” il loro supporto, ma quelle in cui cedono spazio, amplificano voci, creano connessioni.

Nessun claim patinato, ma maggior spazio e ascolto; parlare ed esprimersi con responsabilità, per creare relazioni orizzontali e co-costruite. Solo così il Pride Month può andare oltre “l’essere una semplice campagna”, e diventare un’opportunità per i brand per comunicare meglio, con più empatia e verità.

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