Petrini, Giornata mondiale ambiente: serve un nuovo umanesimo

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«Carlo Petrini: l’Agenda 2030 non è morta, ma servono scelte coraggiose, pace e solidarietà, non a parole, ma nei fatti»

Sono passati dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco nel maggio del 2015, dall’approvazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, nel settembre dello stesso anno, e dall’adozione dell’Accordo di Parigi sul clima durante la Cop21 tenutasi a novembre. Tre documenti che hanno fatto sperare in un cambio di rotta deciso verso un mondo più giusto, sostenibile e fraterno e che hanno fatto sì che oggi guardiamo al 2015 e lo ricordiamo come un anno spartiacque. Quali furono i fattori che condussero a ciò? L’anno prima l’IPCC (il gruppo di esperti sul clima), aveva pubblicato un report allarmante in cui per la prima volta si metteva in evidenza l’origine antropica della crisi climatica; l’opinione pubblica da qualche anno stava iniziando a mobilitarsi e gli strascichi della crisi economico-finanziaria del 2008 avevano messo in luce tutte le storture del neoliberismo e del modello di crescita economica infinita.

La visione ambiziosa dell’Agenda 2030

Nel 2015 si cercava dunque un nuovo racconto globale capace di unire sviluppo, equità e ambiente. L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta il 25 settembre da 193 paesi riuniti presso l’Assemblea Generale dell’ONU è stata la risposta. Un grande programma d’azione su scala globale composto da 17 obiettivi e 169 azioni puntuali per raggiungerli. Una visione ambiziosa declinata su cinque pilastri fondamentali: cura verso le persone, eliminando povertà, fame e garantendo dignità e uguaglianza; salvaguardia del pianeta, le cui risorse naturali devono essere protette; attenzione alla prosperità per assicurare a tutti una vita piena e soddisfacente; promozione della pace, condizione indispensabile per ogni forma di progresso; e una governance globale collaborativa nell’intento di “non lasciare indietro nessuno”.

In che direzione stiamo andando?

Oggi, a dieci anni dall’approvazione e a cinque dalla scadenza, viviamo in un mondo che sembra andare nella direzione opposta. Solo il 17% delle azioni è davvero sulla buona strada. Un terzo ha fatto passi indietro e le restanti sono in una situazione di stallo. L’elemento più drammatico è che le azioni più strettamente legate alla dignità umana e alla salute della Terra registrano i peggiori risultati. Pensiamo al clima: le emissioni continuano a salire, le temperature globali pure. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato. Incendi, alluvioni, siccità estreme si sono moltiplicate causando migliaia di morti e sfollati. Eppure, i più potenti del mondo si voltano dall’altra parte. Le lobby dei combustibili fossili nel 2022 sono riuscite a aggiudicarsi sussidi per un valore 1,52 trilioni di dollari; il più alto di sempre. All’inizio di quest’anno gli Stati Uniti di Trump hanno abbandonato per la seconda volta l’Accordo di Parigi e in Europa si discute un piano di riarmo da 800 miliardi di euro: uno smacco per la pace e per una prosperità vera e condivisa.

Crisi climatica e disuguaglianze insistono sulle stesse persone

Ecco allora che la transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile al momento restano belle parole per i convegni, mentre le azioni concrete latitano. La povertà aumenta: 700 milioni di persone sono povere. La scuola si indebolisce, solo il 58% degli studenti nel mondo ha l’abilità di comprendere un testo, minando le possibilità di avere una futura generazione di adulti capaci di affrontare consapevolmente le sfide che li attenderanno. L’accesso all’acqua potabile è ancora precluso al 25% della popolazione mondiale. Oltre 730 milioni di persone soffrono la fame, 2,3 miliardi vivono in condizioni di insicurezza alimentare, e il divario di reddito tra agricoltori di piccola scala e grandi proprietari terrieri continua ad aumentare. Non stiamo lasciando indietro qualcuno. Stiamo lasciando indietro tanti, troppi. Crisi climatica e disuguaglianze poi, quasi sempre, insistono sulle stesse persone, che per sopravvivere si trovano costrette a migrare. Chi non migra per via del clima ostile lo fa a causa dei conflitti – aumentati del 40% dal 2020 – che dall’Ucraina alla Palestina, dal Sudan al Sahel stanno divorando risorse, energie e speranze. E noi, qui, nel cosiddetto “mondo sviluppato”, ci stupiamo ancora se bussano alle nostre porte. Il numero dei rifugiati ha toccato il massimo storico nel 2023, così come i morti sulle rotte migratorie. Una società che lascia indietro così tante persone e che tollera la guerra non può dirsi sana. Nel 2023, le vittime civili di guerra sono state oltre 33.000, di cui 7 su 10 coinvolte nel conflitto israelopalestinese, con una percentuale crescente di donne e bambini.

Riscopriamo il senso del bene comune per cambiare davvero rotta

Dinanzi a questo scenario drammatico, è importante ribadire a gran voce che l’Agenda 2030 non è morta. È ancora una bussola preziosa. Ma servono scelte coraggiose. In primis abbiamo bisogno di pace, ovunque nel mondo. Necessitiamo poi di più solidarietà, non a parole, ma nei fatti: cooperazione internazionale vera, investimenti nei Paesi più fragili. Non si tratta di carità, ma di giustizia. E in ultimo serve un’accelerazione drastica nell’implementazione degli obiettivi smettendo di guardare all’incremento del PIL come l’unica variabile atta a misurare lo stato di salute e di progresso della società. La vita buona non è solo accumulo, ma relazioni, cultura, salute, bellezza. Ci vuole un nuovo umanesimo. Uno sguardo diverso sull’economia, che la veda per quel che dovrebbe essere: il buon governo della casa comune, non lo strumento per arricchire pochi. In fondo, la vera sfida è riscoprire il senso del bene comune. Dipende da noi, e ancora più da chi ci governa avere la lucidità e l’umiltà di comprenderlo e adoperarsi per iniziare davvero a cambiare rotta.

Carlo Petrini
da La Stampa del 4 giugno 2025

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