«Nel 2024 il tasso di occupazione giovanile in Italia (34.4%) registra un aumento che però resta ben al di sotto della media europea (49,6%), un trend che resta invariato ormai da decenni. Il nostro non è solo un problema di crescita numerica, ma anche di qualità dell’occupazione che continua a caratterizzarsi per una profonda precarietà a cui si affiancano redditi bassissimi, con variazioni significative di genere. Questi numeri rappresentano uno scarto di opportunità e crescita».
Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio nazionale del giovani commenta i risultati dell’indagine sulla forza lavoro che vedono ancora una volta penalizzata la fascia di popolazione giovanile.
Oramai, secondo il sistema Excelsior, quasi un’assunzione programmata su due è difficile da coprire per le imprese, soprattutto perché non si riescono a trovare i profili ricercati. Quanto incide sulla ridotta partecipazione del giovani al mercato del lavoro il “mismatch” delle competenze?
Il persistente divario tra domanda e offerta di competenze è uno dei principali nodi irrisolti del nostro Paese. Manca un sistema di incontro. I percorsi formativi non sono allineati ai fabbisogni del mercato che continua a richiedere figure professionali scientifiche e tecniche. Scontiamo, inoltre, ancora un pregiudizio culturale che dobbiamo affrontare. Mentre nel Nord Europa vengono implementati e valorizzati percorsi tecnici professionali, oggi maggiormente richiesti dal mercato del lavoro, da noi i genitori continuano erroneamente a sperare per i figli una carriera universitaria. Occorre, Invece, invitare i ragazzi a intraprendere dei percorsi coerenti alle loro attitudini, orientandoli alle trasformazioni del mercato del lavoro. I dati, però, mostrano che oltre al mismatch c’è un sistema che non offre opportunità di lavoro stabile e di qualità. L’incidenza dell’11,8% di giovani lavoratori tra i 16 e i 29 anni a rischio povertà nel 2024, con un reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale, è un segnale preoccupante.
Dalla vostra indagine emerge che tra i giovani c’è più ricorso al tempo determinato e c’è più part time, e tutto ciò ha conseguenze sulle prospettive di vita.
Oltre un terzo dei giovani under 35 lavora con contratti a tempo determinato o stagionali. È una condizione che penalizza in particolare le donne: il 49.3% delle lavoratrici giovani ha un contratto part-time, a fronte del 29.7% degli uomini. Questa precarietà strutturale impedisce qualunque prospettiva di vita autonoma: acquistare una casa, costruire una famiglia, contribuire stabilmente al sistema previdenziale. È necessario rafforzare strumenti contrattuali che promuovano stabilità, qualità del lavoro e valorizzazione delle competenze.
Quali misure possono contribuire a migliorare questa situazione che vede i giovani fortemente penalizzati?
Serve un cambio di paradigma strutturale, con investimenti concreti nelle politiche attive del lavoro e in una filiera dell’orientamento più efficace, capace di legare scuola, formazione e occupazione di qualità. Non possiamo permetterci di perdere una generazione intera in un limbo di incertezza e insicurezza economica. È urgente agire con politiche mirate a promuovere contratti stabili e di qualità per i giovani, incentivando le aziende a investire sul lungo termine. L’obiettivo deve essere quello di costruire condizioni abilitanti affinché ogni giovane possa esprimere il proprio potenziale in un contesto lavorativo dignitoso, stabile e inclusivo. Solo così potremo garantire un futuro più stabile e dignitoso ai nostri giovani e al Paese intero.
-G.Pog.