Un nuovo genere di PA per un nuovo genere di futuro: andare oltre le dichiarazioni di intenti
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Fare passi avanti nel cammino verso la parità di genere è possibile solo se le politiche, quelle tracciate dal legislatore e attuate dalla PA, saranno capaci di una visione che vada oltre le dichiarazioni di intenti. È necessario cogliere le reali opportunità offerte da strumenti come il Bilancio di genere o la Certificazione di genere, ma anche affrontare il tema delle disuguaglianze che possono essere accentuate da un uso distorto dell’intelligenza artificiale. Ne abbiamo parlato a FORUM PA 2025, in un incontro promosso dal Comitato strategico per le politiche di genere di FPA
20 Giugno 2025
A
Maria Ludovica Agrò
Responsabile scientifico FPA per l’attuazione del PNRR
Foto Rina Ciampolillo - https://flic.kr/p/2r5X8Zm
Indice degli argomenti
Nel 2025 ricorre il trentennale della Dichiarazione di Pechino, una pietra angolare posta dalla comunità internazionale, che si è riunita per stabilire un impegno comune per l’uguaglianza di genere e ha redatto un documento cardine completo di piattaforma d’azione con ambiziosi obiettivi, che allora sembrava realistico poter raggiungere nel quinquennio successivo e che invece, ancora oggi, non sono stati affatto raggiunti. In questo contesto, l’incontro “Un nuovo genere di PA per un nuovo genere di futuro”, promosso dal Comitato strategico per le politiche di generedi FPA, ha voluto rappresentare un momento aperto per discutere i nodi più significativi che frenano il cammino verso la parità, sia all’interno della PA che nella società civile, guardando alle opportunità e agli ostacoli principali che impattano sulle tre dimensioni – Persone, Tecnologie e Relazioni – al centro di FORUM PA 2025.
È difficile avere un pubblico numeroso sulla tematica di genere se l’argomento viene proposto in termini così diretti come si è scelto di fare per verificare, con un ennesimo banco di prova, quanto la tematica sia vissuta come priorità nella PA. Chi ha seguito ha assistito ad un dibattito che ha evidenziato alcuni temi da considerarsi strategici in un confronto fra rappresentanti del Comitato, che hanno presentato le priorità messe a punto nel corso dei due anni di attività, Francesco Frieri, DG Risorse umane e organizzazione della regione Emilia-Romagna che ha evidenziato la resistenza ai cambiamenti nelle organizzazioni riguardo all’attuazione delle politiche di genere pure ricche di regole comportamentali stringenti, e Francesca De Chiara, vice presidente di Monithon – un osservatorio di monitoraggio delle politiche pubbliche – che ci ha restituito il punto di vista della società civile.
È ora possibile rivedere la registrazione dell’evento.
FORUM PA 2025 | Un nuovo genere di PA per un nuovo genere di futuro
Politiche di genere: priorità e criticità
Queste le priorità strategiche e le criticità più importanti emerse dal dibattito:
- trarre benefici dalla diffusione dell’intelligenza artificiale anche in termini di parità di genere sarà possibile solo se sarà decuplicato l’impegno nelle politiche di orientamento giovanile allo studio delle STEM, per poter generare tecnologie ripulite da stereotipi duri ad essere sconfitti;
- è necessaria un’applicazione della Certificazione di genere non strumentale, che porti la PA a conoscere realmente in che condizioni opera sotto questo profilo e ad applicare un metodo che ne accresce la reputazione e consente consistenti e concreti passi avanti;
- vanno superate le forti resistenze al cambiamento nelle organizzazioni visto che l’equilibrio di genere e fra vita e lavoro è favorito nelle regole, ma non è facile applicarlo e farlo sedimentare nelle organizzazioni;
- la mancanza di obbligo a livello UE nella raccolta di dati su questo tema impedisce confronti e valutazioni precise sull’avanzamento della parità in Italia e in Europa, ed è ancora difficile reperire dati disaggregati per genere che permettano di conoscere a fondo, in tutte le sue sfaccettature, la situazione attuale;
- è necessario che il bilancio di genere statale e degli enti non sia una fotografia statica, ma serva ad azioni correttive delle lacune che emergono nell’ottica di far funzionare gli strumenti già a disposizione dei decisori politici;
- lo scenario internazionale su cui Linda Laura Sabbadini ha aperto uno squarcio è abbastanza sconfortante, a 30 anni dalla piattaforma di Pechino non sono stati fatti passi avanti tali da potersi ritenere soddisfatte ed è necessario mantenere alta l’attenzione sul tema, contribuendo in tutti i luoghi possibile a lanciare momenti di riflessione e azione comune valorizzando ogni possibile sinergia.
Brevemente entriamo nel merito di questi punti.
Diffusione dell’intelligenza artificiale e parità di genere
L’obiettivo di colmare il divario di genere dando potere alle donne e aumentando la consapevolezza della diversità di genere nell’IA è ambizioso e finora le misure adottate non hanno dato risultati significativi. L’IA non è solo una tecnologia, ma una forza trasformativa che sta riscrivendo le regole del gioco in molti settori: le donne occupano una frazione delle posizioni di ricerca e dei ruoli di sviluppo nel settore del l’IA e la loro presenza diminuisce ulteriormente nella scala aziendale mano a mano che si sale verso le posizioni apicali e decisionali. Questo squilibrio si ripercuote sulla tecnologia stessa: i sistemi di IA ereditano la loro visione del mondo dai dati introdotti, i dataset utilizzati per addestrare questi sistemi spesso contengono bias preesistenti, che a loro volta riflettono le prospettive e le priorità dei loro architetti. Quando la leadership manca di diversità, la tecnologia che ne deriva rischia inevitabilmente di perpetuare i pregiudizi esistenti piuttosto che abbatterli, pregiudizi ancora più difficili da individuare e combattere.
L’intelligenza artificiale ha il potenziale per far progredire l’uguaglianza di genere, riconoscendo e affrontando le disparità di trattamento e amplificando la voce delle donne nel processo decisionale. Sviluppata e utilizzata in modo responsabile, l’IA può svolgere un ruolo fondamentale nel rompere il ciclo della violenza di genere e anche per posizionare le donne nelle traiettorie più promettenti del futuro professionale.
Anche per affrontare le disuguaglianze di genere legate all’uso dell’intelligenza artificiale, l’Unione Europea ha introdotto il Regolamento sull’IA (AI Act), una delle prime normative globali volte a disciplinare i sistemi di intelligenza artificiale. Questo regolamento mira a garantire trasparenza e responsabilità nell’uso di tali tecnologie e pone l’IA in subordine alla Carta dei diritti fondamentali della UE, che afferma che la parità di genere deve sempre essere assicurata.
Una delle innovazioni più significative dell’AI Act è l’introduzione di un quadro dinamico, che consente alla Commissione Europea di aggiornare le regole tramite allegati modificabili senza dover ricorrere alla procedura legislativa ordinaria. Il valore di una cornice legislativa che si fa carico delle criticità sopradescritte è da diffondere e rendere realmente efficace ed operante. L’IA è come uno specchio che riflette la società che la crea. Se vogliamo che rifletta una società paritaria, dobbiamo costruire sistemi che non solo evitino di perpetuare le disuguaglianze, ma che le contrastino attivamente e questo richiede non solo tecnologie migliori, ma anche una visione etica e un impegno sociale condiviso con un monitoraggio costante dell’efficacia delle misure messe in campo e la capacità di modificarle in vista di un obiettivo ineludibile.
Il futuro dell’IA non è scritto negli algoritmi, ma nelle decisioni che prendiamo oggi, una delle quali deve essere la volontà di aumentare la platea di ingresso delle donne nelle discipline STEM avvicinando molto precocemente, prima che si incardinino gli stereotipi, le piccolissime e i piccolissimi a questi studi. Un’azione concreta in questo senso sarebbe un grande risultato. Occorre prendere sul serio la necessità che sia garantita la diversità nella popolazione degli studenti che si appassiona a questi studi: saranno queste decisioni a determinare non solo l’efficacia della tecnologia, ma anche, e soprattutto, il tipo di società che vogliamo costruire.
La Certificazione di genere introdotta dalla PdR 125
Guardando alla Certificazione di genere introdotta dalla PdR 125 si deve sottolineare come la stessa non sia nata solo per le imprese, come sempre si legge, ma abbia stabilito un metodo attraverso il quale tutte le organizzazioni misurano attraverso diversi indicatori a che punto si trovano sul percorso della effettiva parità. Attuare la parità di genere nella PA ha dato sicuramente risultati importanti sotto un profilo di regole e di strumenti, ma la Certificazione può far fare davvero passi avanti significativi.
Certificarsi significa misurarsi e migliorarsi correggendo via via nel percorso biennale i gap esistenti e migliorare di pari passo anche il clima interno di lavoro. È un’azione che rafforza la trasparenza e che la PA può usare per migliorare la propria immagine e avere vantaggi reputazionali che aiutano ad attrarre i talenti e le giovani generazioni. Rappresenterebbe anche un modo per ispirarsi al tema della parità internalizzandone i principi e puntando a stabilire, come ha fatto il PNRR, questo obiettivo come trasversale in tutte le politiche pubbliche e in tutte le PA che le mettono in atto. I CUG in questo senso potrebbero incoraggiare la Certificazione e diffonderne la cultura.
Un esempio di PA virtuosa viene dall’Emilia-Romagna dove la Regione nel suo complesso, quindi sia l’ente locale che le agenzie regionali e le emanazioni amministrative, ma anche le nomine di Comitati scientifici o gestionali, osservano un rigido protocollo di parità che impone anche regole di comportamento emanate con soft low. La flessibilità che tiene conto nelle convocazioni di riunioni collettive di lavoro anche dei diversi carichi di cura che investono non tutte le donne, ma alcune persone più impegnate sul fronte familiare, e il favorire lo smart working disegnano un ambiente di lavoro sensibile a queste tematiche efficacemente capace di contrastare le diseguaglianze e condurre verso una piena parità.
Dunque si può fare varando un quadro composito di regole, azioni e misure ma anche di infrastrutture e veicolando con attenzione e costanza contenuti e formazione che consentano l’interiorizzazione di questi principi. La nostra cultura si fonda non solo su ciò che è tecnico, ma misurare quanto avviene all’interno di un PA e delle politiche di cui è competente è essenziale e, a questo proposito, sarebbe utile rendere obbligatorio introdurre tali misurazioni attraverso cinque indicatori sulle proprie risorse umane – ci si accorgerebbe di quanto la Certificazione di genere gioverebbe all’ente – e cinque indicatori sulle politiche di competenza.
Dati e monitoraggio civico
Questo ultimo argomento introduce il quarto punto, quello relativo ai dati e al monitoraggio civico. Attualmente gli indicatori sull’empowerment femminile sono totalmente assenti, se non per questioni che vengono sempre indicate come attinenti al “genere” ma che, in realtà, sono a vantaggio dell’intera popolazione se leggessimo correttamente il contesto – vedi la politica sugli asili nido – mentre se analizzassimo tutti i contesti con lenti di genere tali dati potrebbero diventare un asset sociale.
È evidente come il problema dello squilibrio di potere e le diseguaglianze esistenti nella società rispetto al genere si riflettano anche nella scienza dei dati. Bisogna assolutamente prendere in considerazione tutte le sfaccettature del problema, essendo i modelli di analisi disegnati da un ristretto gruppo di persone con esperienze simili e quindi inevitabilmente pieni di quella serie di pregiudizi intrinseci che ci portiamo dietro da molto tempo. È necessario connettere i dati di contesto per capire e poter adottare misure utili ad accelerare il percorso di parità.
La politica del dialogo con gli enti centrali di statistica sensibili è fortemente voluta da chi fa monitoraggio civico ma, pur in presenza di aperture, non si riesce facilmente ad ottenere un diverso orientamento nelle statistiche e nella raccolta dei dati. Dialogano gli Osservatori della società civile per convincere chi decide le statistiche, ma fino ad oggi la percentuale di risposte è minima. Per sostenere un reale cambiamento e consentire una attività strutturata che raccolga e segnali i fabbisogni territoriali occorre introdurre l’obbligatorietà degli indicatori di genere in tutti gli investimenti e le politiche.
Il bilancio di genere
Uno degli strumenti che la PA ha istituito e utilizzato per misurare il grado di parità nelle politiche all’interno delle organizzazioni è il bilancio di genere. L’analisi del bilancio secondo una prospettiva di genere si configura come uno strumento complesso volto, da un lato, a una individuazione delle risorse stanziate ed erogate in favore delle pari opportunità di genere (dentro e fuori dall’amministrazione) e, dall’altro, alla verifica degli impatti degli interventi su uomini e donne.
Oltre a evidenziare lo sforzo delle politiche di bilancio relativamente alle questioni di genere, questa metodologia favorisce una maggiore considerazione delle caratteristiche della popolazione di riferimento nel disegno degli interventi e nella loro implementazione, anche quando essi non siano destinati soltanto al genere femminile[1].
La debolezza di questo strumento, pur potenzialmente forte, è rappresentata dal fatto che il legislatore non ha imposto obbligatoriamente di provvedere con azioni e misure per correggere quanto emerge dal Bilancio di genere, facendone uno strumento di conoscenza statico e non dinamico, il che