Chi sei, Napoli? - Azione Cattolica Italiana

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L’arte come motore di comunità. L’opera di JR come domanda identitaria

Foto: MUDD

«Chi sei, Napoli?» è il titolo dell’intervento site-specific realizzato dall’artista francese JR, che ha trasformato la facciata del duomo di Napoli in un mosaico di volti e storie raccolti in sette quartieri della città. 606 cittadini di ogni età e provenienza, compongono un ritratto collettivo che è al tempo stesso mappa sociale e gesto poetico. Con Chi sei, Napoli?, JR non intende rispondersi, ma allargare una domanda, consegnare una riflessione.

Le fotografie che ricoprono la facciata del duomo si offrono infatti come finestre aperte sulla città. Gli scorci che emergono, talvolta pop, perfino folkloristici, non riducono Napoli a una cartolina di luoghi comuni, non tradiscono l’unicità delle persone ritratte, non ne fanno caricature. Al contrario, chiedono rispetto, attenzione, delicatezza. Perché da quelle finestre si ha accesso privilegiato alla confessione pubblica, esposta, esibita di una città che pur vantando bellezze e primati, non edulcora, né mitizza o si rassegna alle proprie ferite.

Si è accolti da una comunità che si interroga, che riflette su se stessa, che abita con consapevolezza la propria complessità. Una città che convive ogni giorno con le sue contraddizioni: la bellezza e il disagio, la tradizione e la trasformazione, l’inclusione e la marginalità. Chi sei, Napoli? è una domanda scomoda, provocatoria, che tocca ciascuno. Quale volto scegliamo di mostrare? E quale, forse, dobbiamo ancora imparare a riconoscere? In questo senso, l’opera si fa specchio: restituisce alla comunità la possibilità di rivedersi, discernere, ridefinirsi. Come in ogni autentica esperienza artistica e spirituale, è la domanda – non la risposta – a rivelare ciò che ci abita più profondamente.

Foto: MUDD

Un mosaico di umanità: arte e comunità

Collocata sulla facciata del principale luogo di culto cittadino, l’installazione fotografa non solo i volti dei suoi abitanti, ma la loro appartenenza viva e mutevole a una storia comune. «Piacque a Dio santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza legami tra loro, ma costituendo di essi un popolo» (LG 9), cementandoli tra loro nell’amore del Cristo, edificandoli come cattedrale di pietre vive. È in questa appartenenza condivisa che prende forma la Chiesa come tempio vivo, secondo l’immagine ecclesiologica contenuta in 1 Pietro: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale» (1Pt 2,4-5).
L’opera di JR restituisce un’immagine concreta di Chiesa incarnata, che vive nella comunione e nella memoria condivisa, corpo vivente più che struttura. Una pala d’altare laica che celebra la dignità umana, la sua sacralità, accolta senza stereotipi e pregiudizi.

La spiritualità si esprime allora nella condivisione e nella memoria che si fa presente, nella cultura che genera identità e comunione. Una storia antica, stratificata, già vissuta, che si rende contemporanea e sempre nuova. Perché la storia di una città non appartiene solo a chi l’ha scritta, ma anche a chi eredita il compito di continuare a scriverla, giorno dopo giorno. Forse allora, come riconosciuto dal Giuliana Albano, condirettrice della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia della PFTIM, «la domanda “Napoli, chi sei?” può risuonare come riflesso della vocazione propria di ogni chiesa: essere spazio in cui l’uomo possa domandare a Dio chi è. E ricevere, tra mille volti, una risposta di accoglienza, di attesa, di appartenenza a un disegno più grande»[1].

In questa prospettiva, l’opera di JR si inserisce in un percorso più ampio che la Chiesa di Napoli ha scelto di abitare con slancio e profezia: un cammino che tiene insieme fede e vita, memoria e futuro attraverso l’arte.
Napoli guarda alla propria storia senza nostalgia, come a un’eredità da trasformare in risorsa. La città sceglie di partire dalla sua identità culturale per generare legami, costruire comunità, alimentare fiducia. Non per raccontarsi in modo consolatorio, ma per riconoscere, in mezzo a molte voci, il proprio volto più vero: quello fatto di uomini e donne che si impegnano per il bene comune con la bellezza.

Foto: MUDD

Ripartire dalla cultura: il Museo Diocesano Diffuso

In questa missione sono impegnati tanti giovani del centro storico, riproponendo, in forme nuove, il modello sociale già sperimentato dalla Paranza e dalla Sorte nel Rione Sanità. Grazie alla volontà del cardinale don Mimmo Battaglia e alla visione immaginativa di don Antonio Loffredo, è nato il progetto MUDD – Museo Diocesano Diffuso.

Lontano dall’idea di un museo circoscritto, il MUDD punta a valorizzare l’arte sacra custodita nelle numerose chiese del territorio, trasformandole in luoghi vivi, accessibili, restituiti alla comunità. Il cuore del progetto è la riapertura di edifici religiosi abbandonati o dimenticati, perché tornino a essere spazi di bellezza, memoria e incontro. Ma soprattutto, il MUDD vuole generare un impatto sociale concreto: contrastare la gentrificazione, creare opportunità, offrire formazione e lavoro ai giovani napoletani. È un sogno che ha già preso corpo cinque mesi fa, quando i primi venti ragazzi hanno cominciato a lavorare proprio nel Duomo – la madre chiesa della città – e a riaprire, tra le altre, la chiesa storica di Sant’Aniello a Caponapoli.

Ognuno di loro, con il proprio stile, la propria storia, i propri sogni, accompagna i visitatori in percorsi guidati gratuiti: una gratuità scelta e voluta, che non è solo gesto ma visione, fondamento di una cultura del dono e della condivisione, capace di rispondere all’indifferenza e all’egoismo del tempo presente. A sostenere il progetto è la Fondazione Napoli C’entro. Un nome che è già programma: “centro” perché nasce nel cuore della città; “ci entro” perché i luoghi non sono solo edifici, ma appartenenze, storie, identità; “c’entro” perché è una fondazione di partecipazione, dove ciascuno è chiamato a fare la propria parte, piccola o grande che sia. Il MUDD lavora su una nuova forma di missionarietà, che nasce dall’ascolto della città e di chi la abita, facendo della bellezza un sacramento quotidiano, generando frutti di giustizia e speranza economica e sociale.

La cultura è qui linfa per una rinnovata cittadinanza e vita di fede. È seme di un futuro possibile. L’esempio di una Chiesa che si fa motore per una città viva, luogo di visione, spazio di attese comuni e domande di senso, di relazioni autentiche e di orizzonti condivisi. È allora, tra i volti del duomo, nelle pietre vive delle sue chiese riaperte, nei passi dei giovani che guidano e custodiscono il proprio territorio, che si fa spazio la risposta alla domanda di JR. In fondo, ogni città – come ogni persona – è ciò che scopre di essere: un luogo di memoria, di lotta, di incontro, ma soprattutto di bene condiviso capace di generare altro bene.


[1] Giuliana Albano, L’opera di JR sul Duomo, una ferita che rivela, Il Mattino di Napoli (23/05/2025), p. 21.

Recapiti
Noemi Cangiano