Un’ecologia integrale per contrastare povertà e disuguaglianze - CNCA

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Il 5 e 6 giugno scorsi, a Trento, il CNCA ha organizzato l’incontro “Terra. Più lentə, più profondə, più dolci. Custodire per anticipare un mondo migliore per tutti gli esseri viventi”. L’evento è stato l’occasione per riflettere sulla Terra non come risorsa da sfruttare, ma come ecosistema vivente, un tessuto di relazioni dinamiche di cui siamo parte integrante. Questo implica una responsabilità collettiva, un riconoscimento che le nostre azioni hanno un impatto su tutto il pianeta e su tutte le forme di vita. Dobbiamo superare la logica dello sfruttamento e abbracciare una cultura della cura, passando da un modello estrattivo a uno rigenerativo, in una prospettiva di ecologia integrale che ci chiama a una profonda revisione del nostro rapporto con il pianeta e con la comunità umana. Non si tratta semplicemente di una questione ambientale, ma di una trasformazione radicale del nostro modo di abitare il mondo. Il principio cardine è l’interconnessione: tutto è in relazione, tutto è collegato.
Per il CNCA è questa la prospettiva in cui inserire le azioni a favore dei soggetti vulnerabili e contro la povertà e le disuguaglianze, focus del progetto “Perla. Pratiche per l’antifragilità”.

Nel corso dell’incontro si sono tenute due plenarie.

Nella prima si sono confrontati Caterina Pozzi, presidente del CNCA, Claudio Bassetti, presidente del CNCA Trentino Alto Adige/Südtirol, e Federica Giardini, filosofa.

Pozzi ha sottolineato l’importanza, per le organizzazioni di terzo settore, di essere catalizzattrici di legami tra territori, persone e ambiente: “Nel nostro agire quotidiano, proviamo a tenere assieme e cucire ciò che spesso viene tenuto separato: territori, persone, ambiente. Non si tratta solo di unire ambiti diversi, ma di ricostruire un tessuto comune capace di dare senso e forza collettiva alle trasformazioni in atto.”
In questo lavoro, per la presidente del CNCA, “ci guida una doppia memoria: una memoria di speranza, che custodisce i sogni, i gesti di cura, le pratiche di solidarietà e resilienza che generazioni di donne e uomini hanno coltivato, spesso in silenzio; una memoria sovversiva, che non si rassegna a un presente ingiusto, che rompe con l’indifferenza, che osa immaginare alternative, praticarle, condividerle. Cucire, in questo senso, è anche riconnettere storie, riattivare relazioni, ridare valore a ciò che sembra spezzato. È un lavoro politico, poetico e concreto insieme. Perché senza questo intreccio profondo tra le dimensioni della vita – persone, luoghi, natura – ogni transizione ecologica rischia di restare parziale, disincarnata.”
Pozzi ha, poi, evidenziato un ambito di impegno che le nostre organizzazioni dovrebbero aver ben presente: “Nel nostro fare prossimo – cioè in quel modo di agire che ci rende vicini, solidali, presenti – una questione cruciale è accompagnare le popolazioni più fragili, quelle che vivono sulle linee di frattura della crisi ambientale, economica e sociale. Tra queste fratture, una ancora poco visibile è la povertà energetica: la difficoltà, o l’impossibilità, di accedere a un’energia sicura, sostenibile, continuativa. Non è solo una questione tecnica o infrastrutturale: è una questione di giustizia, di diritti, di dignità.”

Bassetti è partito dal ricordo di Dante Clauser, una figura cruciale dell’impegno solidale in Trentino Alto Adige: “Don Dante ci ha insegnato a dare voce a chi non ce l’ha, o meglio: a fare spazio a voci che la società tende a escludere, a mettere ai margini. Questo principio rimane oggi più che mai attuale, in un mondo in cui guerre, disuguaglianze e crisi ecologiche continuano a colpire in modo sproporzionato chi è già fragile o vulnerabile.”
“Viviamo in un tempo segnato da ciò che potremmo chiamare ‘effetto serra’ e ‘effetto guerra’: due facce di uno stesso modello di sviluppo che divora risorse, alimenta conflitti, moltiplica le ingiustizie”, ho continuato il presidente del CNCA Trentino Alto Adige. “I cambiamenti climatici e le guerre – diverse per forma, ma uguali negli esiti di distruzione – sono espressioni di un sistema che ha smarrito il senso del limite e il valore della convivenza. A fronte di tutto questo, occorre una politica alta, capace di visione e coraggio, che vada oltre la gestione dell’emergenza e si fondi su un orizzonte etico e culturale chiaro. È urgente un nuovo umanesimo, non come richiamo astratto, ma come pratica quotidiana fondata sulla dignità, sull’ascolto, sulla giustizia sociale e ambientale. Un umanesimo che riconosce la complessità dei legami, la ricchezza delle differenze, e che si fa carico delle fratture prodotte dalla storia e dalle scelte economiche. Questo è il compito che ci interpella oggi: tenere insieme memoria e futuro, esperienza concreta e visione politica, persone e comunità, nella costruzione di una società realmente inclusiva e pacifica.”

Giardini ha presentato TerraFormazione, uno spazio di sperimentazione e ricerca per contribuire a una transizione ecologica che sia anche culturale, etica e politica. educandoci all’idea che siamo abitanti e ospiti in uno spazio affollato e vivo, più che una specie dominante e indipendente da tutto e tutti: “TerraFormazione nasce con l’intento di affrontare la crisi ecologica non soltanto attraverso le competenze scientifiche tradizionalmente deputate a studiare l’ambiente, ma anche e soprattutto attraverso i saperi umanistici. In un’epoca in cui l’emergenza ambientale richiede risposte complesse, è urgente riscoprire e valorizzare approcci che mettano in discussione i quadri di orientamento con cui comprendiamo la realtà e cerchiamo soluzioni pratiche. La formazione umanistica, in questo contesto, ha un ruolo decisivo: non come semplice aggiornamento, ma come messa alla prova dei presupposti con cui interpretiamo il mondo. Si tratta di rimettere in movimento l’immaginazione, di attivare nuovi linguaggi e nuove posture, di aprirsi a intrecci complessi che i saperi disciplinari spesso separano. Come ha detto José Mujica, ‘la trasformazione della mentalità è la via maestra per la trasformazione radicale dei contesti’. Il lavoro formativo non può, dunque, limitarsi a fornire strumenti tecnici, ma deve riorganizzare sensibilità e visioni, per immaginare e rendere pensabili forme di azione che altrimenti non sarebbero neppure concepibili.”
“La crisi ambientale”, ha notato la filosofa, “produce un senso diffuso di fragilità e impotenza. Chi si sente minacciato tende a mettersi sulla difensiva e, spesso, a delegare la propria capacità decisionale. Ridurre questa percezione significa creare le condizioni per una maggiore partecipazione, fiducia e presa di responsabilità.”

La seconda tavola rotonda ha coinvolto Paolo Vidali, docente di Filosofia della scienza e della natura presso la Facoltà Teologica del Triveneto di Padova, Giannadrea Mencini, giornalista e scrittore, Laura Paladino, della Fondazione Italiana per la Bioarchitettura, e Rubina Pinto, di Legambiente e Forum Disuguaglianze e Diversità. Hanno condotto la tavola rotonda Paolo Cattaneo e Marco Vincenzi, in rappresentanza del CNCA.

Ha aperto i lavori Cattaneo, che ha sottolineato il concetto di “trasformazione”, “che rappresenta l’intelligenza del territorio e l’azione quotidiana che intraprendiamo. Questa azione si arricchisce attraverso la potenza dell’immaginazione, che genera connessioni proficue.”
Parlando poi dell’adolescenza, il componente dell’Esecutivo nazionale del CNCA ha notato: “Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Questa frase, che può essere riferita agli adolescenti, ci ricorda che essi sono una foresta potente e pervasiva, piante pioniere che rappresentano il nostro futuro. Spesso i media si concentrano sulle ‘cadute’ dei ragazzi, ma in realtà gli adolescenti sono la potenzialità del nostro futuro, se vogliamo continuare a coltivarla.”

Vidali ha iniziato il suo intervento sull’impatto degli esseri umani sulla Terra: “Partiamo da una prospettiva classica: quella che definisce il rapporto tra l’uomo e la biomassa terrestre. Siamo una porzione infinitesimale di questo sistema, ma allo stesso tempo la nostra influenza sulla biomassa globale è cresciuta esponenzialmente. Questo ci porta a interrogarci: cos’è la natura? Spesso la consideriamo qualcosa di sostanzialmente ‘altro’, distinto da noi, qualcosa in cui stiamo ma che differenziamo dalla nostra essenza. Questo approccio è già parte del problema. La natura non è un’entità esterna; noi siamo parte integrante dei suoi processi vitali.”
Vidali ha proseguito concentrando l’attenzione su alcuni principi culturali chiave in Occidente. “Il mondo viene visto come fatto di ‘cose’ separate: crediamo di poter isolare e gestire entità, quando invece tutto è interconnesso in sistemi più grandi. La separazione soggetto-oggetto è messa in crisi dal fatto che non riusciamo a separarci dall’ambiente (es. riscaldamento globale), che ci avvolge e i cui impatti sono ‘appiccicosi’. Dobbiamo pensare oltre questa separazione. La natura ci insegna che, come le piante, dobbiamo adattarci ai cambiamenti, modificando i nostri meccanismi per sopravvivere e prosperare anche con risorse limitate.”
Infine, Vidali ha sottolineato che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. “Con 150 milioni di migranti climatici stimati nei prossimi cinquant’anni, dobbiamo mettere al centro i più fragili e ridefinire il nostro rapporto con la tecnologia e la natura. Serve un’ecologia profonda, che sia cooperazione e reciprocità, non predominio. Dobbiamo essere i promotori di questa transizione, con una visione radicata nella giustizia.”

Paladino ha presentato le attività della Fondazione Italiana per la Bioarchitettura: “Il nostro lavoro si fonda su un principio fondamentale: aiutare la natura a sostenere la vita. Questo significa che ogni aspetto e ogni componente della società – dall’economia ai media – deve contribuire a questo scopo.
È il pensiero sistemico: un nuovo approccio che comprende la natura come sostegno della vita richiede un cambio di prospettiva e l’adozione del pensiero sistemico (o sintetico) nella nostra progettazione. Questo approccio implica pensare in termini di relazioni e reti: le interconnessioni tra tutti gli esseri viventi nel nostro ambiente, ma anche tra gli esseri umani stessi. Siamo tutti programmi all’interno di un unico sistema: noi tra noi, e noi con la natura. Ogni componente è interdipendente. Pensiamo al nostro corpo: abbiamo un cervello, un cuore, due polmoni. Nel momento in cui anche una sola di queste parti subisce un problema, l’intero sistema ne risente inevitabilmente. Lo stesso discorso vale per sistemi più ampi: ogni componente è legata all’altra ed ogni componente dipende dall’altra. Un esempio potente di questa interconnessione è la vita sul nostro pianeta: l’87% della vita è sostenuta dalle piante. Questo dato ci mostra quanto siano cruciali le relazioni all’interno della rete ecologica. La buona notizia è che, proprio perché i problemi sono sistemici, lo sono anche le soluzioni. Intervenendo anche su una singola funzionalità o componente, possiamo influenzare positivamente l’intero sistema e contribuire al suo miglioramento.”

Pinto ha sottolineato che “la crisi climatica è un problema di giustizia: i maggiori responsabili sono i più ricchi e gli uomini, mentre gli impatti ricadono principalmente su donne e persone marginalizzate. La transizione ecologica è possibile, ma richiede un cambiamento culturale profondo, superando l’antropocentrismo e le narrazioni tossiche che stigmatizzano comportamenti sostenibili (es. “soy boy”). Dobbiamo smantellare le strutture capitalistiche e patriarcali che alimentano le disuguaglianze e rinunciare ai nostri privilegi, riconoscendo la complessità intersezionale della sfida. La lotta per il clima è un lavoro di squadra. Dobbiamo uscire dai nostri schemi e creare nuove alleanze, trasformando le nostre città per renderle inclusive e sostenibili per tutti. La mobilità, gli spazi verdi e le comunità energetiche devono rispondere ai bisogni reali delle persone, combattendo le disuguaglianze e la povertà energetica. È tempo di ‘sognare di più’, ma con soluzioni concrete e replicate a livello locale.”

Mencini è intervenuto sulla questione della biodiversità e del cibo: “Il controllo delle sementi da parte delle grandi multinazionali sta mettendo a rischio la sovranità alimentare globale e la biodiversità. Concentrandosi su poche varietà brevettate, queste aziende impongono ai contadini l’acquisto di semi e pesticidi, limitando la libertà di scelta e l’adattamento locale. Ma c’è speranza! Molte realtà in Italia stanno dimostrando che un’alternativa è possibile. Attraverso lo scambio di semi tradizionali e la valorizzazione di varietà antiche, le comunità stanno recuperando la biodiversità e la resilienza agricola. Esempi come le cooperative che recuperano terreni abbandonati, le “biblioteche dei semi” e i progetti di agricoltura sociale dimostrano che possiamo costruire un futuro in cui il cibo è prodotto in modo equo e sostenibile. Queste iniziative non solo generano valore economico, ma creano anche connessioni sociali e rafforzano i territori. È la prova che, insieme, possiamo superare la logica del profitto a tutti i costi e coltivare un futuro più giusto per tutti.”
Mencini ha, poi, evidenziato il legame profondo tra benessere sociale e salute ambientale: “Troppe ansie e sofferenze nascono dalla crisi climatica. Dobbiamo integrare l’approccio ambientale in ogni nostra azione, guardando ad esempi come l’agricoltore che adatta le sue pratiche alla siccità. Fondamentale è garantire che la qualità sia accessibile a tutti, non solo a pochi: la sostenibilità deve essere inclusiva.”

Vincenzi ha collegato i temi della tavola rotonda alla storia della nostra federazione: “La storia del CNCA è costellata di momenti che, da eventi specifici, si sono trasformati in veri e propri paradigmi di cambiamento. Questi non sono semplici accadimenti, ma punti di svolta che hanno ridefinito il nostro approccio e il nostro linguaggio. Pensiamo, ad esempio, al periodo dell’Aids: quella crisi ci ha fornito un nuovo linguaggio e un modo diverso di affrontare temi come la malattia, la morte e la cura delle persone, influenzando il nostro rapporto con le amministrazioni locali e le nostre stesse organizzazioni. Similmente, l’attenzione al mondo dei ragazzi e delle ragazze negli ultimi anni ci ha fornito una lente attraverso cui reinterpretare le sfide sociali e politiche. Questi eventi, come più recentemente il tema del gioco d’azzardo, ci hanno spinto a interrogarci sul futuro. Ci hanno fatto comprendere che l’‘intensità’ – quella forza propulsiva che ancora ci manca – e le ‘vibrazioni’ – intese come l’aspetto fisico-ambientale di cui siamo parte – sono elementi cruciali. Forse, non siamo noi a dover ‘salvare la natura’ o ‘Madre Terra’, ma è il contrario: dovremmo essere noi a renderci più umili e a permettere che questo cambiamento nelle relazioni e nei conflitti avvenga. Questo ci porta, ad esempio, all’idea di affrontare il tema della pace e della giustizia riparativa esplorando modi per gestire i conflitti oltre la mera punizione. La nostra storia è, quindi, un continuo processo di scambio e arricchimento, in cui le situazioni si sono trasformate in paradigmi. Questo è il nostro approccio, profondamente sociale ed ecologico.”
Vincenzi ha concluso così il suo intervento: “Ci troviamo di fronte a un interrogativo cruciale: il nostro impegno deve limitarsi alla ‘prestazione’ che svolgiamo o dobbiamo andare ‘oltre’, alzando lo sguardo dal quotidiano? Credo che la risposta stia nel guardare bene dentro il quotidiano, ma con una visione diversa. Si tratta di capire come possiamo reinventare gli equilibri. Come organizzazioni e operatori, spesso ci sentiamo sovraccaricati. Ma è fondamentale chiederci: dobbiamo forse andare oltre la nostra zona di comfort e cercare nuove strade? Infine, ricordiamo le parole di Jean Vanier: ‘La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà desiderata’. Questo concetto risuona profondamente con il nostro percorso e con quello delle persone che ci hanno accompagnato in questi decenni. Se ciò che proponiamo diventa qualcosa che le persone desiderano, allora avremo davvero innescato un cambiamento profondo.”

Infine, vogliamo ricordare che – dal lavoro degli otto gruppi di confronto in cui si sono divisi i partecipanti – è scaturito un glossario dalla A alla Z con parole chiave per guidare il cambiamento.

Alessia Pesci, Esecutivo nazionale CNCA

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